giovedì 31 maggio 2007

IL CAPITALE UMANO? SIETE VOI


Capitale umano. E’ un solo grido, dai sette colli alle Alpi, da Roma a Trento. Capitale umano significa persone, lavoratori. E’ su di loro, su di voi, che le economie più avanzate devono puntare. Ne parla da ieri il festival dell’economia di Trento, e ne ha parlato oggi il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, nelle sue Considerazioni finali, appuntamento tradizionale del 31 maggio.

Capitale umano significa formazione, punto chiave che interessa i giovani e meno giovani in guerra tutti i giorni sul mercato del lavoro. Sento tanti ragazzi che si lamentano e dicono: ma che abbiamo studiato a fare, ma che ci facciamo con la laurea, le imprese non ci vogliono...quasi quai preferiscono i diplomati, con meno aspettative e più disponibilità.
Ma a Trento ieri Corrado Passera , ad di Intesa-SanPaolo, ha detto che l’Italia è in emergenza. Sapete perché? Perché abbiamo poca formazione, poca istruzione, pochi laureati. Sembra una contraddizione. «Non è solo una questione di numero di laureati - ha detto Passera - bensì di occupabilità di questi laureati. C’è poi un problema di formazione lungo tutto l’arco della vita». Oggi, sempre a Trento, ha fatto una relazione sulla formazione Brian Keeley, economista inglese: "In Italia un lavoratore si aggiorna per quattro ore l'anno, in Svezia per 40 ore...."Quale sintesi migliore del nostro scarso investimento in formazione?
L’altro tasto su cui ha battuto Passera ieri è «l’assenza di meritocrazia e la totale mancanza di mobilità sociale». Insomma, il punto è: cosa si studia, come si finalizza, quante occasioni ci sono di valorizzare le conoscenze. Ma questo, certo, non dipende dai singoli, che possono solo cercare la loro strada stretta verso le posizioni migliori.
E oggi a Roma Draghi, in uno dei passaggi chiave del suo discorso, ha chiesto un forte investimento nella scuola: un «forte cambiamento», che coinvolga docenti (il reclutamento, la distribuzione geografica e i percorsi di carriera sono governati «da meccanismi che mescolano precarietà e inamovibilità») costi (le risorse per studente destinate all'istruzione scolastica «sono più elevate in Italia che nella media dei paesi europei») e gli atenei («dovrebbero potersi fare concorrenza nell'attrarre studenti e fondi pubblici»). Il governatore ha ricordato che l’Italia è ancora uno dei paesi dove è più basso il tasso di occupazione: sono pochi gli italiani che lavorano o anche solo che ”cercano” un lavoro, soprattutto tra le donne. La nota positiva è che l’economia è in crescita. Ma per chi cerca un lavoro, ora e non domani, è come veder partire un treno mentre arriva in stazione. Riuscirà a prenderlo?

mercoledì 30 maggio 2007

MONTEZEMOLO A SCUOLA COPIAVA, ORA CHIEDE BEI VOTI


Ci sono due mondi che non si incontrano mai: le aziende italiane, i loro rappresentanti, e i giovani di belle speranze (deluse).


Luca Cordero di Montezemolo, presidente degli Industriali e fustigatore di politici, oggi ha rappresentato il primo mondo in un convegno alla Luiss a Roma: «La mission di tutte le università italiane - ha detto - è quella di avvicinare i giovani al mondo del lavoro e per farlo c'è bisogno di atenei di qualità» ha detto agli studenti della sua università in occasione dell'undicesime edizione del career day «I giovani e il lavoro - la Luiss per l'orientamento», giornata dedicata alla caccia di nuovi talenti da parte delle aziende italiane e straniere. Per mettere i ragazzi a loro agio, Montezemolo ha raccontato: «A scuola ero il campione del mondo del copiare, anche chi copia ha speranze di successo».


Poi però si è fatto serio: «Il rapporto tra mondo delle imprese e studenti è il tema dei temi - ha continuato - dobbiamo far sì che fin dalle scuole elementari le materie studiate si avvicinino il più possibile al mondo delle professionalità. L'università deve essere attiva e non passiva».


Gli studenti presenti erano tutti armati di curriculum e l’hanno potuto lasciare a novanta aziende, tra le quali la Banca d'Italia, Eni, Bmw, Fiat, Coca Cola. Puntare sulla meritocrazia, ha detto Montezemolo. Che significa premiare i più bravi e dare a tutti l’opportunità di avere successo. Però, ha ammesso, l’Italia è bloccata, e per ora predica bene ma razzola male.


Infatti, e qui parliamo di quell'altro "mondo", le statistiche sono deprimenti: secondo un’indagine sugli stipendi di laureati e diplomati, fatta dalla società OD&M per Miojob e Repubblica, i laureati italiani sembrano ben poco incentivati. I loro stipendi sono mediamente più alti di quelli dei diplomati, 24 mila euro l’anno, ma solo di un’inezia. E negli ultimi due anni sono cresciuti di meno. E’ comprensibile poi che molte voci dicano: ragazzi andate all’estero che qui non vi si fila nessuno. E infatti a leggere i blog è tutto un recriminare, un accusare. E forse hanno ragione i miei amici ingegneri che , nonostante le statistiche a loro favore, si sentono poco valorizzati. Illuminanti i racconti di quelli che dicono: all’estero mi danno un bello stipendio e mi trattano bene. Certo, bisogna essere bravi. Ma in Italia, spesso, bravi e non bravi sono uguali. Evviva le piccole imprese italiane.

martedì 29 maggio 2007

PRECARI E CONTENTI, EX COMMESSA DI SUCCESSO

Questa è la storia di Francesca Venturo , laureata in arti e scienze dello spettacolo con 110 e lode, con l'idea di fare il lavoro che le piace: l'insegnante. Anche la sua storia, però, come quella di tanti giovani, è cominciata con un lavoro di ripiego. Poi il lavoretto è diventato un lavoro quasi stabile, anche se non era quello che voleva. Ma lei è riuscita a trasformare tutto in un'avventura. Ha scritto un libro esilarante sulla vita da commessa, per il quale sta ancora cercando un editore, e ha trasformato la sua tesi di laurea in un libro serio, "Parola e travestimento nella poetica teatrale di Edoardo Sanguineti", ed Fermenti. Ora fa finalmente la maestra, precaria , ma è il lavoro che voleva fare. C'è riuscita. Qui lei stessa racconta la sua storia:

"Andy Warhol aveva detto che ognuno di noi, nella vita, ha diritto ad almeno quindici minuti di celebrità.Ma la categoria dei precari ha di gran lunga superato le previsioni di Warhol: tutti i giorni si parla di loro, di noi.Gli insegnanti precari che popolano questa nazione non si contano più. Siamo frotte di postadolescenti – perché oggi l’adolescenza sembra non avere mai fine- che hanno sgobbato sui libri, dalle elementari alla laurea, al ritmo incessante e intimidatorio di un adagio che faceva più o meno così: «studia, studia se vuoi farti una posizione nella vita! Mica vorrai andare al mercato a vendere le uova, o in un negozio a fare la commessa! Mica vorrai fare il cameriere o, ancor peggio la PARRUCCHIERA! Studia o non sarai nessuno!».“Qualcuno” di sicuro lo siamo diventati, e non un “qualcuno” qualunque, visto che un giorno si e due no siamo sui titoli delle prime pagine, noi siamo diventati precari qualificati. Poi se ci metti che la tua prof di lettere ti aveva mandato al cinema a vedere l’attimo fuggente e il giorno dopo eri salito in piedi sul banco gridando con la mano sul cuore «oh capitano mio capitano!», il danno è fatto e non c’è più rimedio; ti iscrivi alla facoltà col maggior numero di disoccupati post lauream col cuor leggero.

LAUREATA E PORTINAIA

Ed eccoti qua precario, idealista e contento, però hai fatto esperienza, ed è questo che conta nella vita, le esperienze. Dunque: hai sostituito la portinaia durante l’estate e sei riuscito a scoprire che la vecchietta del quinto piano è gelosa del generale in pensione del piano terra perché la nuova inquilina del secondo piano, quella formosetta, quella giovane di cinquantaquattro anni, ogni volta che lo incontra fa cadere le chiavi a terra e si china a raccoglierle proprio davanti a lui; hai fatto la segretaria tutto fare in un sindacato dove non sei mai stata regolarizzata per il bene degli iscritti – i lavoratori veri- altrimenti avrebbero pagato il triplo per l’iscrizione (e qualche buona azione bisogna farla ogni tanto); hai servito il caffè al bar del teatro centrale, però che bello hai conosciuto tanti personaggi anche se ancora non sapevi cosa fosse un contratto; hai lavorato come volantinatrice dove ti pagavano dopo il millesimo volantino consegnato, come cameriera di pub vestita da piccola bavarese col grembiulino turchese, il bustino e la camicetta frou frou, ed infine, con la tua laurea in tasca, sei approdata all’agognato contratto.

QUELLE MAGLIETTINE...

Sì, certo, un contrattino: quello di commessa part-time.Così hai capito: non basta sapere cosa vuoi fare da grande, cosa vuoi diventare, non basta studiare: serve, sia ben chiaro, ma non basta. E mentre lavori come commessa cominci a perdere la pazienza; si perché dopo tre anni di: “scusi magliettine a vulcano?” “senta, avete sopra?” “io sto cercando un’accoppiata” “ma colori meno festivi?” “pantaloni a mezzo sedere?” “mi da qualcosa per sembrare un’altra?” “no questa giacca mi fa troppo Gestapo”, se prima ridevi divertita alle bizzarre espressioni delle madames clienti, ora il cervelletto comincia a litigare col cervellone.

UNA LAVORO SICURO ALLE ORTICHE

Quindi lasci tutto, anche il contratto part-time a tempo indeterminato e ti butti nella mischia: vai a fare la maestra –precaria s’intende- perché otto anni prima avevi superato il concorso e ora incominciano a chiamarti per le supplenze, tua madre, dopo aver appreso la tua eroica decisione, ti urla dietro con un misto di rabbia e preoccupazione: «Non puoi rinunciare ad un contratto di commessa per andare ad insegnare è una follia!» ma ormai la decisione è presa: chi te l’avrebbe mai detto che saresti tornata a scuola? Magari non dietro i banchi perché stavolta i banchi ce li hai davanti, però fa un certo effetto.E’ proprio allora che per la prima volta nella tua vita tiri le somme di una vita giocata sul presente, senza troppe aspettative dal futuro che fino ad allora ti sembrava un miraggio. Dunque: tanti lavoretti più una laurea più una stanza tutta per te in un appartamento da condividere con le amiche (si perché a casa coi tuoi non se ne poteva più) uguale: ti accorgi che tutto sommato non suona proprio male.

INVENTARSI UNA NUOVA VITA

Allora ti inventi una nuova vita, un po’ più a misura, un po’ più calzante: prendi tutte le frasi buffe delle madames, quelle richieste strambe che ti hanno fatto ridere tanto e innervosire un po’ e, durante le ore di buco, le metti insieme e scrivi un libro che fa il giro del web. Intanto, tiri fuori la tesi dal cassetto, quella che hai tanto amato e che ti ha fatto sudare tutte le sante notti dell’estate 2002, la spolveri, la infiocchetti e la spedisci agli editori finché qualcuno ti risponde e ti dice che ti pubblicherà.Nel frattempo continui a lavorare con contratto a tempo e a gridare “oh capitano” perché non hai mai smesso di crederci, consapevole che anche i passaggi più oscuri e stretti, quelli che ti trovi a percorrere senza capire bene come ci sei arrivata o come ne uscirai, prima o poi portano sempre dove avevi pensato di arrivare."
E questo è il blog di Francesca: la sindrome della commessa

lunedì 28 maggio 2007

Growing Up Fast (Crescita Rapida)

Donne, lavoro, dicriminazioni, famiglia. Questo video è stato girato per spingere gli uomini a condividere le responsabilità familiari e consentire alle donne di vivere più serenamente il lavoro. Non so se funziona, ma non è male. L'ho trovato segnalato sul sito www.donne-lavoro.bz.it

domenica 27 maggio 2007

DIALETTICA DELL'EGUALITARISMO

Oggi non sarò breve.


Partirò da una frase che è, che dovrebbe diventare, una bandiera: "C' è un punto di non ritorno, oltre il quale l'egualitarismo diventa generatore di ingiustizia".


L'ha scritta Luca Ricolfi in un bell'articolo sulla Stampa. In poche righe Ricolfi traccia una filosofia fulminante, cui ha trovato anche un titolo delizioso, "Dialettica dell'egualitarismo", parafrasando un mitico testo, "Dialettica dell'Illuminismo" di Theodor Wiesengrund Adorno e Max Horkheimer, filosofi della Scuola di Francoforte (non ancora annacquata). Ricordo quando lo studiai all'università. Ero sbigottita. L'illuminismo, faro dei miei entusiasmi di ragazzina che combatte contro tutti gli oscurantismi, si rivela capace di generare il suo opposto: il mito dell'invincibilità della ragione, e quindi rischia di trasformarsi in nuova fonte di oscurantismi. Oggi questo concetto ci è abbastanza familare. Pensiamo però che Adorno e Horkheimer scrissero negli Stati Uniti tra gli anni '30 e '40, da dove assistevano alla catastrofe dell'Europa: i regimi totalitari e poi una guerra come il Novecento trionfante non avrebbe mai immaginato...dove erano i successi della Ragione, che nei decenni precedenti erano stati magnificati? L'illuminismo, scrivono Horkheimer e Adorno, "pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni". Purtroppo però il risultato è un fallimento: "La Terra illuminata splende all'insegna di trionfale sventura". L'illuminismo ha creduto ciecamente in se stesso, ha tradito i suoi principi, in nome di una adesione acritica alle sue parole d'ordine. L'illuminismo non ha riconosciuto la presenza del mito al suo interno e si è quindi rovesciato in mito esso stesso. Il mito della razionalità diventa macchina, organizzazione, necessità. Da strumento di liberazione, l'illuminismo diventa esercizio di autoconservazione. Il mito di Ulisse che si fa legare per ascoltare il canto delle sirene, viene descritto in questa chiave da Horkheimer e Adorno. E acquista nuovo valore: la capacità della Ragione di apprezzare anche l'irrazionale.



Così, tornando a Ricolfi e alla nostra democrazia, come l'illuminismo, l'egualitarismo sta vivendo la sua stralunata sorte dialettica: da strumento di liberazione si sta rovesciando in mito conservatore. "Fino a un certo punto livellare le differenze produce eguaglianza, ma oltre quel punto produce nuove e più profonde diseguaglianze"..."Quel punto di non ritorno - scrive Ricolfi - è ormai da lungo tempo stato attraversato".


Altro che abolizione del concetto di precariato, per eliminare le ingiustizie di cui soffrono i giovani sul mercato del lavoro, come qualcuno predica populisticamente (come se il precariato dipendesse da una legge, e non dal mercato globale), altro che diritti ancora più uguali per tutti. Questa è la certificazione della diseguaglianza, di una società organizzata in "caste" (parola che ormai va di moda e ci sarà un motivo se il libro di Stella e Rizzo, "La casta" ha tanto successo). Questa è la resa all'immobilismo sociale, all'impossibilità e alla non volontà di riconoscere ad ognuno ciò che gli spetta.



Una vera sinistra dovrebbe dare a tutti e a ognuno la possibilità di trovare il "proprio" posto nel mondo, non pretendere che tutti si adeguino al livello più basso, secondo una logica vecchia, veramente conservatrice. La sinistra non può non vedere che l'ingiustizia più grossa oggi la subiscono i giovani di talento che non godono di una famiglia di alto livello alle spalle, che vanno in un'università di massa che non li garantisce, che non li promuove. E al tempo stesso, questo immobilismo priva la società di talenti che potrebbero innalzare il livello generale.


E qual è il concetto attorno a cui dovrebbe ruotare questa logica democratica e innovatrice, che volesse sfuggire al rischio di rovesciamento dell'uguaglianza in ingiustizia? E' il concetto di merito, di competenza, di eccellenza. E' la capacità di ognuno di essere bravo in qualcosa, senza snobismi. E' la necessità, per una società che vuole crescere nel segno della democrazia, di premiare gli sforzi e i risultati, senza frustrare chi si impegna. Ed è la necessità di elevare il livello di istruzione e di approfondire la formazione.


Vorrei segnalare, su questo punto, uno scritto di una studiosa che a me piace molto per la sua acutezza e semplicità, Marina Murat, docente di economia internazionale all'Università di Modena e Reggio Emilia. Ha scritto la Murat, in un paper su "Le nuove sfide del mercato globale": "i mercati internazionali offrono un'immensa riserva di lavoro poco qualificato, ma offrono anche lavoro qualificato". E allora? Come prevedere da che parte si deve indirizzare il mercato?. La risposta è che non è possibile prevedere con esattezza qual è la direzione giusta. Ma le linee direttrici sono tre: un eventuale reddito minimo garantito, un aiuto vero ai lavoratori licenziati che devono riqualificarsi, e terza cosa, più importante di tutte, l'investimento massiccio nell'istruzione, anche se le specializzazioni eccessive, proprio perché non sappiamo da che parte va il mercato, possono essere controproducenti.


Se la chiave dello sviluppo e del miglioramento del mercato del lavoro sono istruzione e formazione, ecco che si chiude il cerchio del merito e della democrazia. L'egualitarismo oggi deve lasciare il passo alle uguali opportunità, al riconoscimento delle differenze, e a una logica di premi e sanzioni, senza finti buonismi. Solo così potrà tornare ad alzare la bandiera della giustizia e della riforma sociale.

venerdì 25 maggio 2007

IMMOBILISMO, PIGRIZIA E ETICA DEL TEMPO LIBERO

AGGIORNATO

Ho già accennato alla contrapposizione tra etica del lavoro e etica del tempo libero. Credo che sia una chiave dei nuovi rapporti sul lavoro e nella società. Vorrei aggiungere un concetto interessante, che è stato sviluppato stamattina su RaiUno nella trasmissione Radio Anch'io: la pigrizia. La pigrizia può essere vista non solo come una parte di , un lato importante ma marginale, bensì farne un concetto che spiega il dilagare di un atteggiamento nazionale. Nella puntata della trasmissione di oggi se ne parlava a proposito di un libro di un giornalista, Roberto Petrini, "Economia della pigrizia". Una chiave solo apparentemente semplice, che però apre molte porte, dal lavoro alla vita familiare, alla creatività, alla ricerca e innovazione industriale e universitaria. Nella foto il libro Oblomov , dello scrittore russo Gontcharov , eterna icona della pigrizia.

Ora, vicino a pigrizia mettiamo "Immobilismo". Così finisce per saldarsi, secondo me, nella cultura italiana, l'etica del tempo libero che pervade ora il mondo occidentale, e il tradizionale amore della pigrizia. Non dimentichiamo che gli italiani hanno spesso fatto loro lo slogan del Gattopardo: "che tutto cambi perché nulla cambi". Questa in fondo è spesso stata, nel corso della storia, la nostra lettura della realtà e la nostra filosofia di vita, a parte alcuni decenni del dopoguerra, fino agli anni '70 (e solo per una parte della società). Ma l'idea "nulla cambi, nulla comunque cambierà", è talmente scritta sulla pelle degli italiani (per secoli popolo vittima di scorrerie altrui e quindi poco protagonista delle decisioni pubbliche) che poi si salda entusiasticamente ad altre correnti emergenti nel più ampio calderone mondiale.
Interessante l'articolo sul blog del lavoro di Time su flessibilità e tempo libero. Oggi tutti vogliono più tempo per organizzarsi la vita, mentre è in drastica diminuzione la percentuale di chi accetta di lavorare per il lavoro in sé. A confronto ci sono i dati di una ricerca fatta nel 1992 e ripetuta ora. La domanda è: "vuoi un lavoro con più responsabilità? Nel '92 rispondeva "sì" il 68% degli uomni e il 57% delle donne. Nel 2007 risponde sì il 52% degli uomini e il 36% delle donne. E stiamo parlando degli Stati Uniti d'America, la patria del lavoro e del carrierismo. Ecco perché penso che l'etica del lavoro stia rapidamente cedendo terreno all'etica del tempo libero, giusto o sbagliato che sia. E in Italia (per il discorso della pigrizia di cui sopra), il terreno era già fertile...

giovedì 24 maggio 2007

LA LOTTA GIOVANI-VECCHI E L'ITALIA IMMOBILE


Erasmus a Roma e il lavoro nel settore dei Beni Culturali. Erano questi i due temi di cui volevo parlare oggi . Su Erasmus leggete il Messaggero di oggi. E sui Beni Culturali, rinvio ad un prossimo post. Ma, di fronte alla banalità dell'Italia che invecchia e della politica "vecchia", che sommergono i giornali di oggi, non posso tacere. E l'unica cosa che posso dire è: giovani svegliatevi, se ci siete.
Svegliamoci tutti (io ancora sono tra i quarantenni) e cerchiamo di affermare un nuovo modo di pensare. Se ne siamo capaci. Ma non crediamo che esista al mondo una classe politica, ancora valida e in salute, che ceda il potere di sua spontanea volontà. O vogliamo il potere graziosamente "trasferito", concesso, octroyé, come si diceva un tempo delle costituzioni-truffa, concesse al popolo da sovrani falsamente "illuminati" e ben attaccati al loro trono?
Se in Italia si è allungata enormemente la vita media, se a 70 anni si è ancora giovani, in salute, e mentalmente attivi (spesso più di certi giovani), c'è forse qualcosa che non va? Leggetevi l'intervista concessa da Giuliano Amato (anche lui un vecchione, ma lucido, direi) a Massimo Giannini sulla Repubblica. Le pensioni andrebbero riformate per il bene dei giovani. Ma l'età media degli elettori si sta alzando rapidamente e presto supererà i 50 anni. Il problema non sono i giovani sessantenni che non si fanno da parte. Sono i giovani, che tra poco saranno talmente rari da avere problemi ancora più gravi di quelli che hanno oggi. Sono i giovani (e le donne!) che non riescono a essere forza d'urto, non riescono a proporre una visione del mondo alternativa e vincente, quantomeno "emergente".
Riferendomi alle analisi fatte sui dati Istat, questo non è un paese di vecchi che è tornato ad emigrare, come ha scritto qualcuno. Piuttosto, è un paese di pochi giovani (e c'è differenza), dove qualcuno comincia a spostarsi, ma la mobilità è ancora scarsa. Manca ancora la mobilità territoriale e anche sociale. E di conseguenza, ma solo di conseguenza, anche politica.
Faccio un esempio: cari giovani, oggi il lavoro è più flessibile di un tempo, ma continua ad essere difficile, perché si investe poco nei talenti, nell'istruzione, nel merito, nella ricerca. Invece di chiedere la stabilità per certi lavori "precari", perché non chiedete un po' meno garanzie per chi sul lavoro vi ha preceduto ed è inamovibile? Per banalizzare ancora di più: perché i giovani non si uniscono alla battaglia contro i fannulloni? O sognano di poter prima o poi diventare "fannulloni" anche loro? Ma allora non si lamentassero se chi può ( cinquantenni e sessantenni), non molla il posto.

martedì 22 maggio 2007

LA BORSETTA? PIU' PICCOLA DELLA GONNA... (consigli a neo-laureati in cerca di lavoro)


"La borsa non dovrebbe mai essere più grande della gonna". Questo è il primo consiglio ai neo laureati che vanno a un colloquio di lavoro, letto nel blog di Time e fornito dal centro di placement della University of Southern California. Il che significa che troppo spesso non sono le borse ad essere esageratamente voluminose (anzi, vanno di moda molto piccole), ma le gonne, che tendono al microscopico (nella foto un modello di Cavalli). E, se permettete, mettersi troppo in mostra non è il modo migliore per cominciare a conquistare un briciolo di credibilità. Quello che vale per le ragazze, vale anche per i maschi: niente abbigliamenti trendy al colloquio di lavoro, niente jeans. Cercate prima di capire qual è la cultura del nuovo ambiente in cui potreste entrare.
Non tutti i consigli di Time e dell'università della California , però, sono così indiscutibili. Per esempio, il secondo è: "Vi fanno un'offerta. Non accettate". Quanti italiani dovrebbero seguirlo? Pochi. Anche se io ne conosco, e penso che a volte si faccia bene a dire di no. Ma bisogna avere un'idea molto precisa dei propri progetti, essere realisti, non sopravvalutarsi ed essere disposti a lavorare ancora più duramente. (Per esempio segnalo in un precedente post la biografia del capo di At&T, che prima ancora di finire l'università scongiurò il datore di lavoro dove aveva svolto uno stage di dargli un lavoro, qualsiasi lavoro. Non ha seguito i consigli di Time. E ha fatto bene) .
Terzo consiglio, per la "Me Generation": non sei tu al centro del mondo. Forse in futuro diventerai un leader, ma per ora vuoi un primo impiego. Il tuo successo dipenderà da quanto saprai lavorare e andare d'accordo con quelli che sono sopra di te. Ironicamente, aggiunge l'autore, questo ti renderà unico. Ai loro occhi non hai diritto a nulla, fino a che non provi di valere qualcosa, attraverso un sacco di duro lavoro e capacità di collaborare. E questo vale, per gli italiani, eccome!
Quarto consiglio: fedeltà! E qui la realtà americana sembrerà quella di un mondo rovesciato rispetto all'Italia. Il consiglio è di rimanere in un'azienda più a lungo di quanto si faccia di solito. La media di permanenza di un neolaureato nel suo primo lavoro negli Stati Uniti è di 18 mesi. Ma se rimaneste due anni potreste fare un sacco di esperienza in più, lavorare in varie aree dell'azienda, e scoprire per cosa siete veramente tagliati. Gli italiani penseranno che il loro problema è inverso: troppo spesso sono costretti a stage brevi in varie aziende, mentre loro vorrebbero avere contratti più lunghi. Eppure, applicato con intelligenza, questo consiglio serve a tutti: potrebbe anche significare che quando fate uno stage o un contratto breve, potreste essere voi a chiedere di rimanere più a lungo, alle stesse condizioni: senza diventare impazienti. Questo vi metterebbe in buona luce e, alla lunga, vi darebbe la forza per chiedere qualcosa di meglio.
Quinto consiglio, molto "american" e in totale contraddizione con tutto quello che avete imparato qui fin dalla culla: "I genitori non sono una referenza". Non li fate chiamare, non li fate intervenire, dicono gli esperti Usa. In Italia la maggioranza delle persone (soprattutto quelle che hanno difficoltà a trovare un lavoro) pensa che le relazioni familiari siano il modo più sicuro per sistemarsi. Io però ho sempre fatto tutto da sola e se dovessi assumere un giornalista che fa intervenire un genitore sarei molto maldisposta...fate voi.
I consigli proseguono con il suggerimento di evitare di mandare e ricevere messaggini al lavoro, evitare cuffiette nelle orecchie, allargare i propri interessi, sul lavoro e fuori, e infine, quando se ne presenta la necessità, essere capaci di dire grazie, anche per iscritto e magari con un biglietto scritto a mano.

domenica 20 maggio 2007

DONNE E DISCRIMINAZIONE - LA VENDETTA. TRENTA COSE DA SAPERE


Sul Corriere della Sera di oggi c'è un notevole pezzo di Gian Antonio Stella sulle donne in politica. Anzi, sull'assenza delle donne italiane nella politica e nei posti di governo, in un confronto a dire poco pietoso con il governo di centrodestra del francese Sarkozy e con tutto il resto del mndo civilizzato. Meno male che l'ha scritto un uomo, un bravo giornalista: Qualunque disgraziata avesse fatto altrettanto si sarebbe guadagnata i soliti sospiri di sopportazione e magari qualche frase paternalistico o, peggio, l'etichetta "femminista", usato come un epiteto.

Na, caro Stella, come stupirsi che nella politica italiana le donne non contino niente? E' così in tutta la società: con il solito alibi dellle società maschiliste secondo il quale in casa la "regina", quella che comanda veramente è lei. E lì stia. E' ancora così. Avevo cominciato a snocciolare i dati su donne, lavoro e figli. Qui ne ho altri. Riguardiamoli tutti insieme, perché fanno impressione. e si comincia a delineare un significato: forse le donne stanno utilizzando contro la società italiana l'unica arma loro rimasta. Sono discriminate e si vendicano non facendo figli.



  1. IN ITALIA LAVORA IL 45% DELLE DONNE - LA MEDIA IN EUROPA E' DEL 60%


  2. IL77% DELLE ATTIVITA' DOMESTICHE IN ITALIA E' SVOLTO DALLE DONNE


  3. LE DONNE IN ITALIA LAVORANO IN MEDIA 8 ORE AL GIORNO, GLI UOMINI INVECE 7 ORE AL GIORNO


  4. SOLO 1/4 DEL LORO LAVORO E' REMUNERATO, CONTRO I 2/3 PER GLI UOMINI


  5. UNA DONNA SU DUE NON E' REMUNERATA PER IL LAVORO CHE SVOLGE


  6. AL SUD SOLO 4 DONNE SU 10 HANNO UN LAVORO


  7. TRA LE DONNE DEL SUD CON BASSA ISTRUZIONE SOLO UNA SU 3 HA UN IMPIEGO


  8. TRA I 15 E I 24 ANNI LE LAUREATE SONO IL 60% - I MASCHI IL 49%


  9. A TRE ANNI DALLA LAUREA IL GUADAGNO DEI LAUREATI SUPERA DEL 29% QUELLO DELLE LAUREATE


  10. SOLO IL 3,6% DELLE LAUREATE APPARTIENE ALLA CATEGORIA "LEGISLATORE, DIRIGENTE, IMPRENDITORE".... GLI UOMINI SONO L'11,7%


  11. TRA LE DONNE CON FIGLI PICCOLI SOLO IL 53% LAVORA


  12. DOPO LA NASCITA DI UN FIGLIO SOLO IL 30% DI CHI LAVORAVA RIPRENDE IL LAVORO


  13. IL 18%TRA I 25 E I 34 ANNI LAVORA IL 58,8% DELLE DONNE - MA TRA GLI UOMINI 25-34 ANNI IL TASSO DI OCCUPAZIONE E' DELL'80%


  14. I BAMBINI CHE VANNO AL NIDO SONO IL 13,5% - AL SUD IL 5,4%


  15. AL NORD TRA LE DONNE DI 35-44 ANNI ACCOPPIATE E CON FIGLI LAVORA IL 68,2% - TRA LE SINGLE IL 91%


  16. AL SUD LAVORA IL 36,5% DELLE DONNE TRA I 35 E I 44 ANNI ACCOPPIATE E CON FIGLI- TRA LE SINGLE DEL SUD LA PERCENTUALE E' DEL 70,5%


  17. SI CALCOLA CHE 100 MILA DONNE AL LAVORO IN PIU' FAREBBERO AUMENTARE IL PIL DEL 0,28% LA SPESA PUBBLICA


  18. PER LA FAMIGLIA POTREBBE CRESCERE DEL 30%


  19. PER RAGGIUNGERE LA MEDIA EUROPEA DOVREBBERO LAVORARE IN ITALIA 900 MILA DONNE IN PIU'


  20. IL LAVORO NERO O IRREGOLARE IN TUTTA ITALIA E' STIMATO VICINO AL 14%, CIRCA TRE MILIONI DI PERSONE - AL SUD E' OLTRE IL 22%


  21. IL LAVORO A TEMPO DETERMINATO E' DEL 14,7% PER LE DONNE - DEL 10,5% PER GLI UOMINI


  22. IL PART-TIME TRA LE DONNE E' DEL 26%, MA PREVALENTEMENTE AL NORD - IN EUROPA E' DEL 30%


  23. IL TASSO DI NATALITA' IN ITALIA E' DI 1,2 FIGLI PER DONNA


  24. IL TASSO DI NATALITA' IN FRANCIA E' DI 2 FIGLI PER DONNA


  25. IL TASSO DI OCCUPAZIONE DELLE DONNE CON FIGLI MINORI DI 6 ANNI IN ITALIA E' DEL 53%


  26. IL TASSO DI OCCUPAZIONE DELLE DONNE CON FIGLI MINORI DI 6 ANNI IN FRANCIA E' DEL 65%


  27. IL RAPPORTO TRA POSTI NIDO E NUMERO BIMBI IN ITALIA E' DEL 10%


  28. IL RAPPORTO TRA POSTI NIDO E BAMBINI IN FRANCIA E' DEL 40%


  29. I BAMBINI NATI FUORI DAL MAYTRIMONIO DA NOI SUPERANO DI POCO IL 10%


  30. I BAMBINI NATI FUORI DAL MATRIMONIO IN FRANCIA SONO UNO SU DUE

venerdì 18 maggio 2007

DONNE: COMINCIAMO BENE..., MA CONTINUIAMO MALE



Ieri sono stata ospite a un'interessante trasmissione su Rai Tre: "Cominciamo bene", condotta da Elsa Di Gati e Fabrizio Frizzi. La puntata era sulle donne e il lavoro, titolo "La parità che non arriva". Si partiva dall'esempio delle operaie della fabbrica di pantaloni vicino Napoli, di cui ho parlato in un precedente post. Si è discusso molto di discriminazioni "pesanti": operaie licenziate perché erano state in maternità, infermiere licenziate dopo una malattia, impiegate comunali licenziate perché donne. E si è parlato soprattutto di Sud, di lavoro nero, di concorrenza delle fabbriche cinesi. Temi duri per la televisione, di cui non è facile occuparsi.
Il tempo purtroppo non è bastato per approfondire anche di quella discriminazione, meno clamorosa ma ancora più diffusa, che tiene a casa oltre la metà delle donne italiane. Tante di quelle con figli. Lo sapete che alla domanda "pensate che un figlio soffra se la madre lavora?", in Italia il 77% delle risposte è "Sì"!? In Danimarca la risposta è affermativa solo nel 18% dei casi! Fossero madri degeneri queste danesi? Però fanno più figli di noi.
Ma in Italia non ci sono i nidi, non si aiutano le donne a lavorare, prima di tutto non le aiutano i loro mariti (il 77%del lavoro familiare spetta alle donne), figuriamoci lo Stato o le imprese... in Italia si fanno pochi figli, mentre nei paesi in cui le donne lavorano di più, nascono più bambini. E, ironia della sorte, sono spesso anche più educati dei nostri vezzeggiati e tutelati figli unici.
Ecco un po' dei dati che avevo preparato per la trasmissione, ma come spesso capita in tv, non c'è stato tempo per parlarne.


  • IN ITALIA LAVORA IL 45% DELLE DONNE - LA MEDIA IN EUROPA E' DEL 60%
  • AL SUD SOLO 4 DONNE SU 10 HANNO UN LAVORO
  • TRA LE DONNE DEL SUD CON BASSA ISTRUZIONE SOLO UNA SU 3 HA UN IMPIEGO
  • TRA LE DONNE CON FIGLI PICCOLI SOLO IL 53% LAVORA
  • DOPO LA NASCITA DI UN FIGLIO SOLO IL 30% DI CHI LAVORAVA RIPRENDE IL LAVORO
  • I BAMBINI CHE VANNO AL NIDO SONO IL 13,5% - AL SUD IL 5,4%
  • TRA LE DONNE DI 35-44 ANNI ACCOPPIATE E CON FIGLI LAVORA IL 68,2% AL NORD - TRA LE SINGLE IL 91%
  • AL SUD LAVORA IL 36,5% DELLE DONNE TRA I 35 E I 44 ANNI ACCOPPIATE E CON FIGLI- TRA LE SINGLE DEL SUD LA PERCENTUALE E' DEL 70,5%
  • IL TASSO DI NATALITA' IN ITALIA E' 1,2 FIGLI PER DONNA
  • IL TASSO DI NATALITA' IN FRANCIA E' DI 2 FIGLI PER DONNA
  • IL TASSO DI OCCUPAZIONE DELLE DONNE CON FIGLI MINORI DI 6 ANNI IN ITALIA E' DEL 53%
  • IL TASSO DI OCCUPAZIONE DELLE DONNE CON FIGLI MINORI DI 6 ANNI IN FRANCIA E' DEL 65%
  • IL RAPPORTO TRA POSTI NIDO E NUMERO BIMBI IN ITALIA E' DEL 10%
  • IL RAPPORTO TRA POSTI NIDO E BAMBINI IN FRANCIA E' DEL 40%

giovedì 17 maggio 2007

PRECARIO E CONTENTO, UN BLUESMAN A MILLE EURO


Pubblico, senza modifiche, questa splendida lettera di un "precario e contento", Massimiliano Colosimo, 33 anni, detto Max Cosmico: grazie al lavoro insoddisfacente (dice lui) si sta dedicando anima e corpo alla sua passione, il blues. I risultati mi sembra che non siano niente male, e mi sa che può anche migliorare. Ah, se non ci fosse il precariato, che disastro: avremmo un bluesman in meno e un pantofolaio in più!
" Eccomi qui. Un 33enne del ventunesimo secolo alle prese con le sue frustrazioni e pronto a fare i conti con questa inaspettata precarietà lavorativa.
Inaspettata perché, sui banchi di scuola delle medie, del liceo, dell’università, dei vari corsi post universitari, del master, tutto mi sarei prefigurato tranne che ritrovarmi a 33 anni a fare un lavoro tutto sommato centrato rispetto alle mie ambizioni (mi occupo di consulenza in ambito marketing) ma con uno stipendio di mille (dico 1000) euro al mese. E con un “Co.Co.Pro.” eterno e rinnovato, tale e quale, di anno in anno. Uno stipendio che in senso assoluto può essere decente (diciamo al di sotto dei limiti della sopravvivenza, se si aspira ad un minimo di indipendenza economica e dunque un affitto da pagare) ma che è senz’altro ridicolo se rapportato alle mie competenze, al tempo e al denaro investito in formazione, alle responsabilità di cui il mio lavoro mi investe.
Ridicolo soprattutto guardando i miei compagni di scuola, che hanno trascurato gli studi e che ora guadagnano il doppio (se non il triplo) di me, avendo avuto la lungimiranza di buttarsi subito nella “trincea del lavoro” (inconsapevolmente, hanno fatto – ex post - la scelta giusta). Ridicolo quando mi ritrovo, nel mio lavoro, di fronte ad operai che mi guardano con invidia e sospetto, tutto bello incravattato e sbarbato, pensando che io guadagni chissà cosa, quando so per certo che costoro guadagnano tre volte tanto il mio stipendio, senza contare i fiorfiori di contributi che gli consentiranno una vecchiaia agiata, nel tepore domestico, accanto ai figli che si sono potuti permettere di procreare e persino mantenere.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere.
Questa precarietà, questo sfruttamento, questa profonda sperequazione economica mi ha aperto gli occhi. Ha risvegliato in me uno spropositato spirito di riscossa e di rivalsa. Ho incanalato questo rancore, questa insoddisfazione lavorativa in qualcosa di positivo, di artistico. Il precariato mi ha offerto lo stimolo per alzare la testa, per non subire passivamente questo schifo. Per diventare a tutti gli effetti “artefice del mio destino”.
Ho riveduto, a 33 anni, le priorità della mia vita. Basta giacca e cravatta, basta “certo, me ne occupo io”, basta “il progetto sarà pronto entro lunedì”, basta “il nostro obiettivo è la soddisfazione del cliente”, basta “creare valore aggiunto”; il mio obiettivo deve essere prioritariamente la mia soddisfazione, non accrescere il fatturato di qualcun altro.
La legge Biagi mi ha donato, paradossalmente, l’incentivo ad affrancarmi da questo orrendo sistema, mi ha fatto disinnamorare di questo modo di intendere il lavoro. Piuttosto che venir sfruttato per 1000 euro al mese, senza certezze sul futuro, preferisco dedicarmi ad inseguire i miei sogni artistici, trasformando questi nel “mio lavoro”. Quei sogni infantili che cullavo nella mia testa quando avevo 10 anni, di diventare un artista, ricco e famoso.
E così ho ripreso in mano la chitarra, mi sono messo per la prima volta a scrivere canzoni. Canzoni che parlano di sfruttamento, di ingiustizie, di frustrazioni, ma anche di spirito di riscossa. Del resto è lo stesso spirito che animava i primi bluesman.
E sono convinto, oggi, a 33 anni, che questa mia insperata determinazione mi porterà a concretizzare i miei sogni, molto più che titoli di studio e stage e contro-stage per arricchire il mio curriculum vitae (ma non il mio portafoglio).
La legge Biagi mi ha fatto del bene. Mi ha fatto riappropriare delle mie passioni, mi ha spinto a credere fortemente nei miei obiettivi personali. Non gli obiettivi del cliente e del datore di lavoro."

lunedì 14 maggio 2007

PRECARI E CONTENTI


Finora non l'ho sbandierato, ma ormai ne devo parlare: entro l'estate uscirà il mio libro "Precari e contenti", Marsilio editore.
Prima di discutere i contenuti devo dire che ancora non so se la copertina sarà effettivamente quella che trovate qui accanto. Comunque si vedrà.
Nel libro ci sono venti storie di giovani e lavoro. Tra queste anche la mia, nella quale si racconta come e con quali travagli attraversai la lunga strada dall'università al giornalismo, oltre venti anni fa. E questa storia serve anche da termine di paragone tra quel mercato del lavoro (anni '80) e quello di oggi.
Le altre sono vicende di giovani (ma c'è anche qualcuno vicino ai 40!) che sono in qualche modo riusciti a trovare delle opportunità nel lavoro. Perché io credo che qualche opportunità, in questo disastrato mercato del lavoro, si possa e si debba trovare. A certe condizioni.
Le storie personali possono ispirare, dare dei suggerimenti e delle idee, a chi ancora è incerto e confuso. Questa almeno è la mia aspirazione: "insegnare" a muovere i primi passi nel lavoro. E anche contribuire al dibattito politico-economico sul mercato del lavoro e sulla flessibilità.
Venerdì scorso su questo tema sono stata intervistata da Ecoradio. Chi vuole ascoltare l'intervista può aprire la pagina qui e poi cliccare sul nome.
Il seguito alla prossima puntata.

domenica 13 maggio 2007

SQUALI PER MANAGER

Nuotare tra gli squali per imparare a gestire le emozioni e per acquisire sicurezza sul lavoro. Si può. All'Acquario di Cattolica ci si può iscrivere a un corso per 20 dirigenti d'azienda, organizzato dall'Adecco Management School. Ne parlano anche Dose e Presta sul Messaggero di domani....!

STIRATRICI PRECARIE? MAGARI...PER LORO IL LAVORO E' NERO


Ci sono lavoratrici che prendono 356 euro per un mese in fabbrica, a cucire e stirare pantaloni. E c'è chi lavora da casa, cuce scarpe e guadagna un euro e 20 centesimi a paio. In nero. Sono per lo più donne del Sud. Per loro la legge Biagi è un oggetto misterioso: flessibilità, part time, contratti a progetto o a tempo determinato sarebbero un sogno, altro che. Invece hanno esperienza solo di sfruttamento, in un ambiente e in un territorio che per le stesse imprese è una giungla. La loro, sì, è terribile incertezza, precarietà, violazione di diritti. Tutte cose che, come si vede, esistevano ed esistono ancora proprio dove non viene applicata la legge, che la si voglia chiamare legge sulla flessibilità buona, o semplicemente legge del lavoro. Le storie raccontate da Maria Lombardi e il mio commento "Flessibilità contro lavoro nero" li potete leggere sul Messaggero di oggi.
Aggiungerò, forse provocatoriamente, che troppo spesso la precarietà è lamentata da persone che per loro fortuna vivono ben lontane da questo tipo di problemi. (Nella foto "Le stiratrici" di Degas)

venerdì 11 maggio 2007

Ikea perfect mother ...

vogliamo essere così!

...E LE ITALIANE, TROPPO PERFETTE PER ESSERE MAMME IMPERFETTE

Le donne italiane lavorano troppo poco (fuori di casa) rispetto alle loro "colleghe" europee, eppure fanno molti meno figli... Si parla di agevolazioni fiscali per le donne, si parla di più servizi all'infanzia per aiutarle, poi qualcuno, come Luca Cifoni, si spinge a ipotizzare che le donne italiane siano vittima dell'etica del tempo libero, che io stessa ho lanciato, quasi a dire: non hanno poi tanta voglia di faticare.
Bè, doversi difendere è quasi offensivo. Non solo le donne lavorano mediamente più degli uomini (8 ore al giorno contro le 7 dei loro compagni), ma spesso accumulano ruoli e doveri che rendono tutto più pesante, al limite dell'impossibile. Perciò si moltiplicano gli studi e le proposte per aiutare le donne a fare un lavoro regolare e retribuito fuori di casa. Per esempio la voce.info di oggi riprende il tema: scarta la proposta di Alesina e Ichino di tasse più basse per le donne, scarta anche l'idea di tassare il reddito monofamiliare, e spinge invece sul tasto dei servizi disponibili. Quindi nidi, assistenza ai non autosufficienti, colf e badanti detraibili dal reddito. Anche perché le donne che lavorano devono anche superare l'opposizione dei loro mariti!
Ma, detto tutto ciò, mi chiedo se non ci sia anche un fattore in più nella scarsa propensione italiana delle donne a fare figli e al tempo stesso a lavorare. Lo chiamerò fattore "P" . Dunque, non è che per caso siamo vittime della sindrome della perfezione?
Avevo adombrato questa possibilità già nel post in cui raccontavo della famiglia francese con 5 figli e delle reazioni delle mamme italiane. Ma insisto: prima di lanciarci vogliamo che tutto sia sicuro. E nell'attesa della perfezione...niente. Vogliamo il lavoro "sicuro", ma anche il divano in soggiorno, la casa di livello adeguato e vicino ai "nonni", gli appuntamenti con piscina, palestra, musica, e quant'altro per i pargoli. E aspettando la perfezione, forse si rimanda un po' troppo la vita attiva. In altri Paesi vedo che ci si mette insieme, si "vive", si fanno figli, forse con un po' più di nonchalance. Magari prima ancora di sposarsi (e di spendere 20 mila euro per un matrimonio in piena regola, con festa e vestito bianco), magari con una casa un po' inadeguata. Insomma: noi italiani sogniamo sempre la vita perfetta, e ci lamentiamo. Dovremmo, tutti, essere capaci di "buttarci" un po' di più. O no?

giovedì 10 maggio 2007

LE SCUOLE CHE SCONFIGGONO DISOCCUPAZIONE E LAVORO PRECARIO

(link aggiornati)

L'istruzione costa, ma non dimentichiamo che, in paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, andare all'università può costare molte migliaia di euro l'anno: se le famiglie non possono permetterselo, sono i ragazzi stessi che si danno da fare per ottenere delle borse di studio (tutt'altro che facili) o un prestito in banca. Una ragazza norvegese e un'altra americana che conosco, uscite dall'università e trovati i primi lavori temporanei, stanno già pagando le rate del prestito che avevano avuto per studiare. Niente di strano, per loro.
L'importante, però, è non sbagliare nella spesa. Se, cioè si spendono soldi per corsi e master che non valgono niente, l'investimento è sicuramente sballato e il risultato frustrante. Ho conosciuto un laureato in giurisprudenza che poi ha cambiato città e ha speso una bella sommetta per un master sulla comunicazione che, ovviamente, non gli ha dato nessuna possibilità di lavoro in più.
Tuttavia, se l'istruzione è ben mirata, serve, eccome. Su Job24 del Sole 24 Ore di ieri c'è un articolo di Walter Passerini che riporta l'ultimo rapporto Unioncamere sulle assunzioni di laureati e diplomati: sembra che sia un buon momento, con una stima dell'occupazione in crescita e con una domanda di lavoro di maggiore qualità: 20 mila nuovi laureati e una grande crescita anche dei diplomati nel 2007.
Attenzione, però, la scelta del campo di competenza è un fattore chiave. Non basta essere laureati, come non basta essere diplomati. Già avevo raccontato in un post di marzo e in un articolo sul Messaggero, il caso dei master per manager dell'università di Modena dove, grazie alla legge Biagi, gli iscritti sono assunti prima ancora di finire la specializzazione. L'ulteriore prova in un interessante articolo di Anna Maria Sersale sul Messaggero di oggi: ci sono istituti superiori tecnici industriali che sfornano giovani super-ricercati dalle aziende. Tra questi istituti di Verona, Udine, Torino, e anche il Galilei di Roma. L'86% di questi giovani trovano facilmente un'occupazione.

mercoledì 9 maggio 2007

ERASMUS, CHE INVIDIA


Permettetemi di essere invidiosa! Erasmus...solo il suono mi fa pensare a tutto quello che mi sono persa, essedomi io laureata prima che il programma nascesse. Per andare all'estero ho dovuto lavorare in fabbrica e come au pair. State certi che un'esperienza in un'università straniera mi avrebbe fatto un gran bene (e non solo alla conoscenza, bensì anche al cuore!.
Sono passati 20 anni da quando è nato il programma di scambi tra università europee Erasmus, ci sono passati 173 mila studenti italiani e un milione e mezzo di europei, sono stati scritti libri, girati film sulle loro esperienze indimenticabili.
Prodi oggi ha lanciato una proposta: rendiamo obbligatori 6 mesi all'estero per tutti quelli che si devono laureare. Mitico! Al povero Mussi, ministro dell'Università e della Ricerca, sono venuti i capelli dritti. Ha subito precisato che la proposta è bella, ma di massima, si vedrà. Io credo che cambierebbe molte, molte cose, se si facesse. Anche perché, non sottovalutiamo, portare all'estero i nostri studenti deve significare anche portare in Italia gli stranieri...e bisogna attirarli gli studenti stranieri!

martedì 8 maggio 2007

I GIORNI DELLA FLESSIBILITA'...O DELLA PAURA?


«Vivete in un Paese che tutti voi volete più prospero, più giusto, più funzionante, come un sogno, ma coloro che sognano e sperano hanno però paura del cambiamento, perchè cambiare significa assumere rischi». Ecco il rimprovero, più ancora che una risposta, del presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo agli studenti che lo hanno "interrogato" al workshop "I giorni della flessibilità, come affrontare la società del rischio" all'Università Luiss di Roma.
Una platea di oltre 200 studenti oggi pomeriggio ha fatto, per una volta, le domande sul tema della flessibilità e del mercato del lavoro. Sotto esame Antonio Catricalà, presidente dell'Autorità garante per la concorrenza, Renata Polverini segretario generale Ugl, Bruno Tabacci, deputato Udc, Maurizio Sacconi, senatore di Forza Italia, e Michel Martone docente della Luiss . Anche a non voler essere filo-confindustriali o anti-qualcosa, le trovo che le risposte sono degne di riflessione.
LE DOMANDE DEGLI STUDENTI
"In quali settori sono più urgenti le liberalizzazioni?"
"Chi pagherà le nostre pensioni?"
"Come si concilia la riforma del Tfr con il precariato?"

MONTEZEMOLO
"Veniamo da anni di trasformazione e di poca cultura del mercato, con leliberalizzazioni vicine allo zero e un mercato ancora così chiuso. È il Paesedelle corporazioni"
"Ma c'è una parola chiave che è il merito perchè spesso si richiama al rischio e alla capacità.
"Occorre moltiplicare le opportunità ma anche distribuire il rischio", "è strano che certa sinistra non se ne renda conto, ma nel mondo di oggi le grandi diseguaglianze hanno a che fare con il rischio perchè viviamo in una società in cui il rischio è allocato in modo non simmetrico".
Montezemolo ha quindi fatto l'esempio dei dipendenti del
pubblico impiego che anche quando "nullafacenti e perfino delinquenti non sono licenziabili" in contrapposizione ai dipendenti privati "più o meno vulnerabili". Il presidente di Confindustria ha anche parlato della diseguaglianza tra "imprese visibili al fisco e imprese invisibili e a pubbliche amministrazioni in bancarotta permanente e permanentemente ripianate".
Domani seconda puntata.

lunedì 7 maggio 2007

ASPETTO UN URLO...MA SENTO SOLO LAMENTI


(Updated)
Vorrei sentire un urlo, un ruggito: "Non ci sto". Ma non sento nulla. Solo flebili lamenti.
Oggi vari giornali si occupano dei cosiddetti "giovani", categoria che va dai quindicenni agli over 35. E già qui c'è qualcosa che non va.
Comunque.... Repubblica dice che i ragazzi sono "sospesi", e punta soprattutto su quella fetta, non maggioritaria per fortuna, ma sicuramente rilevante, di ragazzi che lasciano la scuola prima del diploma. Circa il 20%. Di loro si dice che sono stressati dalla scuola, stanchi per i lavori precari, si direbbe complessivamente un po' depressi, anche se in cima ai loro sogni c'é "una vita serena". Penso che i pensionati siano più frizzanti e anche più salutarmente incazzati.
Sulla Stampa i loro fratelli maggiori che vanno all'università vengono definiti fannulloni e senza ambizioni. Si dedicano alle belle lettere, finiscono l'università, in media, quando sono in vista della trentina. E in fondo preferirebbero studiare indefinitamente.
Sto esagerando, spero, ma sarebbe normale che questa generazione sognasse di cambiare le cose, si ribellasse a una logica loro imposta dalla pubblicità, zeppa di luoghi comuni, intrisa di svenevolezza. E mi fa arrabbiare immaginare quelli che annuiranno leggendo l'intervista ad Aldo Nove a Repubblica , nella quale parla di "una generazione che ha subito il furto del futuro...Come potrebbero i ragazzi che hanno 16 anni essere ottimisti?" Ottimisti? Ma quando mai i sedicenni sono stati ottimisti? I sedicenni hanno sempre sognato di costruirsi un futuro diverso, lo hanno spesso strappato a morsi. Il "giovane Werther" dell'omonimo libro sui "Dolori..." in confronto era un rivoluzionario! E poi qualcuno mi ha rimproverato perché ho osato suggerire che forse si è instaurata un'etica dominante del tempo libero, che ha tolto a tanti la voglia di cambiare, di sforzarsi, anche di soffrire un po'.
Vorrei additare a chi ha qualche sprazzo di interesse per la realtà l'esempio di una cinquantenne come Ségolène Royal, che almeno oggi merita di essere ricordata. Ha perso. Ma ha sorriso, con una grinta, una forza, una capacità di soffrire sovrumana e ha detto: "Non finisce qui". Segnalo il bel pezzo su di lei (e sulle donne) di Lucia Annunziata.
Per approfondimenti sulla "Generazione connessa" leggere qui.

domenica 6 maggio 2007

QUEGLI "SCONTI" CHE FANNO ARRABBIARE GLI UOMINI


Il viceministro dell'Economia, Vincenzo Visco, non è d'accordo con l'idea di Alesina e Ichino, sulle agevolazioni fiscali per il lavoro delle donne. Veramente esordisce sul Sole 24 Ore di oggi dicendo che la proposta discende da una teoria rigorosa, ma ribatte richiamandosi in gran parte alla tradizione (Visco è un uomo!). La controproposta di Visco è quella di ridurre il costo del lavoro per le imprese che favoriscono il lavoro femminile (e questo credo che sia fortemente positivo) e di aumentare i servizi e i trasferimenti a favore dei figli. Il rischio è che si favoriscano così solo le donne che fanno figli (il che è solo uno degli obiettivi). Comunque, è importante quello che dice Visco ( e che ricordo ai miei lettori maschi e femmine, in riferimento ai discorsi a tavola di cui parlavo nell'ultimo post): "Le statistiche disponibili mostrano che i Paesi con maggiore fertilità sono anche quelli in cui le donne lavorano di più".

sabato 5 maggio 2007

GIOVANI E DONNE: LA PENSIONE SI ALLONTANA


Mercoledì si apre il "tavolo" sulle pensioni. Ci sarà il governo, ci saranno i rappresentanti dei sindacati. Era stato promesso che ci sarebbero stati anche rappresentanti dei giovani, molto più interessati di quanto si dice a ciò che sarà deciso. Vedremo. Intanto va letto questo passo dell'articolo di Tito Boeri sulla Stampa di oggi, "Tesoretto e pensioni": se si ridurrà lo scalone e se non si rivedranno i coefficienti di calcolo, "chi oggi inizia a lavorare sarà destinato a devolvere per il resto della vita lavorativa più del 50% del proprio stipendio ai pensionati".
Allo stesso tempo, in un'intervista a Luca Cifoni sul Messaggero, Enrico Morando (Ds), ammette: "Mi sembra ormai arrivato il momento di affrontare il nodo dell'età di uscita delle donne. La mia opinione è che anche per loro il limite di vecchiaia potrebbe arrivare gradualmente ai 65 anni degli uomini: ma i relativi risparmi andrebbero reinvestiti a favore delle donne che lavorano, quindi per pagare contributi figurativi per la maternità di chi ha un'occupazione saltuaria o non a tempo pieno". Ce n'è di che discutere.
Per approfondimenti cfr l'articolo di Vincenzo Galasso "Pensioni: per i giovani il futuro è adesso" su lavoce.info

venerdì 4 maggio 2007

PIU ' LAVORO, PIU' FIGLI. E GLI UOMINI INTANTO...


Intorno a un lungo tavolo di campagna, coppie e famiglie non solo italiane: ariva un lui e una lei francesi, lavorano in Italia, la mamma ha in collo una piccoletta di pochi mesi, e a ruota seguono quattro ragazzine bionde tra i cinque e gli undici anni. Gridolini di ammirazione e stupore tra gli italiani, e naturalmente scatta la discussione. E' sempre un po' un replay di Italia-Francia, noi e loro. Primo fatto degno di nota: le bambine francesi sono sedute educatamente, mangiano senza bisogno di incitamenti e se non mangiano non se ne accorge nessuno. Il padre spiega: a casa facciamo i turni perché tutte vogliono aiutare, darsi da fare con la sorellina più piccola, allora abbiamo fatto uno schema di turni settimanale.
Gli italiani al tavolo hanno uno o due figli massimo.
In Francia, si sa, sono incentivati gli asili nido, le baby sitter e gli aiuti alle famiglie. "Da noi ci sono agevolazioni fiscali - conferma la famiglia francese a tavola - e anche i prezzi dei prodotti per l'infanzia sono più bassi. Vestiti, cibo, giocattoli, tutto costa un po' meno"
In Italia è più difficile. "Eh, ma non si potrebbe lavorare, se una donna volesse fare più di uno o due figli", nota una delle commensali. Mi permetto di dire che, fatti due figli, gli altri pesano meno: si bada meno a tante piccolezze, si riciclano i vestiti, si organizzano dei turni, e forse l'educazione di tutti ne guadagna. "Eh, ma tutti questi figli poi bisogna seguirli, portarli in piscina, a musica, a fare tutte le varie attività... non è la stessa cosa tre o cinque". I francesi sorridono e parlano poco. Tutti ovviamente hanno, dal loro punto di vista, ragione.
Però... però in Italia le donne hanno il record negativo di partecipazione al mercato del lavoro (46%, contro percentuali vicine al 60% nel resto d'Europa, e del 70% nei paesi scandinavi) e, allo stesso tempo, il record negativo di figli pro-capite. In Francia, si lavora e si fanno figli. In Svezia si lavora e si fanno figli. Anzi, gli economisti sostengono che gli incentivi al lavoro delle donne potrebbero far crescere anche la natalità!
Eppure, anche in questo blog, appena si parla di incentivi al lavoro femminile, gli uomini italiani subito protestano. E anche se le donne italiane vogliono ovviamente lavorare e mettere a frutto studi e qualità professionali, vogliono anche somigliare alle proprie madri quanto a perfezione nel loro ruolo di mamme, mogli e angeli del focolare. E rincorrono i figli intorno al tavolo per aiutarli a mangiare la pasta o la "fettina".
In Italia spesso vedo giovani coppie con un buon lavoro, che aspettano di essere abbastanza sicuri di potersi permettere le rate per il divano e la casa con il soggiorno, prima di pensare a sposarsi e poi, con calma, fare un figlio. In Francia ho visto giovani (e meno giovani), vivere in certi tuguri che non avrei neanche sospettato. E la maggior parte dei figli nascono fuori, anzi prima, del matrimonio. In Italia questi ultimi sono in crescita, ma ancora sono solo il 13%.
Aggiungo che le donne italiane lavorano in casa mediamente molte più ore delle donne europee. E gli uomini italiani molto di meno...

mercoledì 2 maggio 2007

ETICA DEL TEMPO LIBERO CONTRO ETICA DEL LAVORO

Ci sono vari temi che premono in questa settimana del primo maggio, in cui avrei voluto scrivere parecchio, ma sono stata bloccata da difficoltà tecniche di collegamento a Internet. Due temi sopra tutto: uno, le donne; due, l'etica del lavoro.Comincerò da quest'ultimo, stimolata anche da un articolo di Paolo Pombeni sul Messaggero del 1° maggio, dal titolo "La voglia di faticare, l'orgoglio e l'etica del lavoro".
Negli ultimi anni molte cose si sono modificate nel mondo del lavoro, non sempre in peggio. Si potrebbe dire, veramente, che sono mancati miglioramenti decisivi, soprattutto in Italia: la qualità del lavoro è ancora bassa, i laureati sono pochi e hanno perfino difficoltà a trovare occupazioni all'altezza della loro formazione e delle loro aspettative, il mercato è poco trasparente e ci sono scarsi canali di collegamento tra formazione e aziende. Tuttavia, qualche passo avanti c'è stato e, se si confronta la situazione attuale con quella degli ultimi decenni, non si può certo dire che si stava meglio prima.
Qualcuno sostiene che dieci anni fa fosse facile trovare un lavoro, e che lavoro: stabile e di alto livello. Nente di più falso. La disoccupazione giovanile e la disoccupazione intellettuale si sono manifestate drammaticamente alla fine degli anni '70 e per una ventina d'anni non è mai migliorato niente, soprattutto nel Meridione d'Italia. Le prime legioni di diplomati e laureati, che allora si affacciavano trionfalmente al mondo del lavoro (e che pensavano di avere sconfitto la scuola e l'università di élite degli anni '60) negli anni '80 diedero una bella musata. Per loro non c'era lavoro, e non c'erano neanche lavori temporanei, non esistevano gli stage, non avevano ancora preso piede le specializzazioni che ti accompagnano verso qualche esperienza temporanea. Però esisteva già, come adesso, il lavoro nero, per il quale eravamo famigerati in tutta Europa. I giovani si lamentavano, protestavano, lottavano. La loro stella polare erano le lotte operaie. Gli economisti parlavano un giorno sì e l'altro pure di pieno impiego come obiettivo irrinunciabile, ma era come parlare della terra di Utopia. E intanto tra i giovani la disoccupazione era oltre il 30%. Nel totale della popolazione era oltre l'11%.
C'era comunque ancora l'etica del lavoro, che impregnava la cultura socialista così come quella capitalista, che era prevista nella nostra Costituzione e che resisteva anche ai miti dell'immaginazione al potere del '68.
Adesso il lamento, la protesta, la sensazione di disagio si è fatta più forte. Si è coniato il termine "precario", che da aggettivo è diventato sostantivo e poi descrizione di una condizione esistenziale, che va ben oltre la realtà della flessibilità nell'epoca della globalizzazione, e della fine dell'organizzazione del lavoro fordista. Eppure tra stage, tirocinii, uffici di placement, uffici di lavoro temporaneo, esperienze all'estero, sono tanti quelli che trovano qualcosa in questo mercato del lavoro. Magari non è il posto dei loro sogni, non è il lavoro perfetto e all'altezza della loro preparazione. E' giusto che una generazione non si accontenti e che si batta, anche più di come sta facendo, per migliorare la propria condizione. Ma c'è qualcosa di più e di diverso, su cui mi sono arrovellata per mesi.
COME NASCE L'IDENTITA' PERSONALE
Perché la qualità delle proteste ha un sapore così diverso? Perché, perfino le parole d'ordine del sindacato e dei partiti di estrema sinistra suonano così strani? Il motivo è più semplice e più complesso di quanto siamo disposti ad accettare, e che risponde alla domanda di Paolo Pombeni: esiste ancora l'etica del lavoro? No, la verità, è che nella nostra società , non solo italiana, ma in tutto l'Occidente, l'etica emergente non è più quella del lavoro, ma quella del tempo libero. E il lavoro è solo un mezzo per realizzare l'obiettivo primario: l'utilizzo del tempo libero.
Sottolineo che questo non è un giudizio di valore. Anzi: è necessario partire da una comprensione della realtà, per riuscire a dare risposte alla proteste e alle incomprensioni. Molti di noi, praticamente tutti quelli che hanno più di 40-45 anni, partono da un'etica dominante diversa da quella che si è diffusa tra gli attuali giovani, tra i 15 e i 30-35 anni. Ogni generazione ha un proprio modello emergente, ed è giusto che sia così. La ma etica, e quella di chi governa il paese e le aziende è ancora un'etica del lavoro. Come dice Pombeni, è ancora l'etica della fatica, dello sforzo. Aggiungerei: un'etica in cui la mia identità si definisce attraverso il lavoro.
IL LAVORO COME MEZZO, NON COME FINE
La generazione Y nata dopo il 1979, e ancora di più forse i loro fratelli minori, non capiscono questa logica, non la condividono. La loro è un'etica diversa, per la quale ancora non si è trovata la definizione adatta. Forse etica del sé, forse etica del tempo libero. Quello che è certo, è che sono pochi quelli che definiscono se stessi in funzione del lavoro che svolgono o che vogliono raggiungere. Qui il discorso si farebbe lungo, e meriterà di essere ripreso. Ma io sospetto che il punto sia questo. Di fronte alle difficoltà del mercato del lavoro, la reazione di chi sta sviluppando una cultura del tempo libero, non è quella di aggrapparsi a qualunque appiglio per andare avanti, felice comunque di trovare delle opportunità. No, la reazione è di stizza: rabbia, di fronte a un sistema che intralcia il proprio desiderio di espansione personale, che chiede troppo prima di dare qualcosa, che procede ciecamente su una logica economicistica, rispetto a persone che non valutano affatto le leggi dell'economia. Persone che hanno vissuto la propria infanzia e gioventù nella inconscia convinzione che l'economia, la società, fossero finalmente piegate alle esigenze dell'individuo. Ripeto, e ripeterò ancora, che qui non c'è nessun giudizio di valore. Sto solo cercando di capire.
La differenza tra etica del lavoro ed etica del tempo libero ci può dare una chiave. Non è detto che la nostra etica della fatica sia per forza migliore. Chi è cresciuto con l'etica del lavoro non riesce a capire, letteralmente, i problemi di chi ne è fuori. Temo però che chi vive nell'etica del tempo libero non si renda conto, in realtà, di essere spesso "agito", manipolato, sfruttato, più di quanto avrebbe mai immaginato, da una società inevitabilmente e profondamente, almeno per ora, basata sulle forze dell'economia.

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