giovedì 29 marzo 2007

LE IENE INCIAMPANO SULLA LEGGE BIAGI


La legge Biagi non copre il caporalato. Le Iene stavolta hanno sbagliato bersaglio. La trasmissione di lunedì 26 è partita lancia in resta per dimostrare che la legge Biagi non solo sarebbe la fonte del lavoro precario in Italia, ma giustificherebbe perfino forme di bieco sfruttamento. Ha dimostrato invece che la legge viene a volte utilizzata a sproposito, per coprire nefandezze di antico retaggio, ed espressamente vietate dalla legge stessa. Contro i responsabili dello sfruttamento denunciati nella trasmissione, insorge il centro studi Marco Biagi e il giuslavorista Michele Tiraboschi, direttore del centro e allievo di Biagi: "Quello che viene mostrato dal servizio delle Iene è espressamente vietato dalla legge, è illegale", attacca. Il senatore Sacconi (Fi) prepara un'interrogazione parlamentare. E c'è maretta anche tra le aziende di lavoro temporaneo, che si sentono screditate dal comportamento di una di esse, la Metis.
Duecentocinquanta contratti in un anno
Il servizio delle Iene descrive la condizione di un gruppo di lavoratori sulla linea di autobus Enna-Catania. Lavoratori precari, chiamati a giornata con un contratto di somministrazione. Anzi, non uno, ma anche 200-285 contratti di un giorno durante l'anno. Protagonisti: le società Interbus e Etnatrasporti, l'agenzia di lavoro temporaneo Metis e un ispettore del lavoro di Enna. E i lavoratori, senza tutele, senza riposi, senza malattia, senza rimborsi spese, costretti oltre tutto a mandare ogni giorno un contratto firmato per fax alla società. Il giornalista, scandalizzato, ripete: "Questo è caporalato". L'amministratore delegato di Metis: "Forse c'è un problema, ma la legge lo consente". Mauro Rocca, amministratore delegato delle società di trasporti, alla iena Alessandro Sortino con un sorriso bieco: "Lei ha ragione, ma la legge lo consente". E gli ispettori del Lavoro: "La legge Biagi lo consente. Che volete fare... E' una legge che ha rovinato i lavoratori".
Un quadro raccapricciante. Ma sbagliato.
Tiraboschi: "Feriscono e sconcertano gli ispettori del lavoro"
"Il comportamento dell'azienda di Enna - dice Tiraboschi - in base alla legge Biagi è fraudolento e suscettibile anche di sanzioni penali. Basti dire- aggiunge - che secondo la legge il contratto non può essere rinnovato più di 4 volte. Non certo 250 o 280!" Che poi l'ispettore del Lavoro, invece di rilevare la evidente irregolarità, e lo sfruttamento, si nasconda dietro il luogo comune della legge Biagi, non si sa se fa piangere o ridere. Dice Tiraboschi: Ferisce e sconcerta osservare che anche in soggetti preposti al controllo del mercato del lavoro locale, interpellati in occasione del servizio tv, abbiano associato il nome del professor Biagi e della sua legge alla pretesa, e infondata, legittimazione di pratiche di sfruttamento di lavoro altrui. Pratiche che la legge Biagi, nel caso di specie e in generale, vieta, con sanzioni rivolte alle agenzie del lavoro che, per quanto autorizzate, rischiano di vedersi sospeso il provvedimento di autorizzazione".
In ogni caso direi che gli ispettori del lavoro di Enna suggeriscono loro stessi una pista, quando dicono: "E' come quando c'era la vecchia legge 193 sulla intermediazione di manodopera"...ma la legge Biagi è nata proprio per dare delle garanzie in più! Se poi si scoprirà che ha bisogno di qualche ritocco, non sia un tabù. Le Iene, in fin dei conti, hanno fatto un'opera meritoria nello scoprire un caso di sfruttamento indegno. Ma chi va oltre e si attacca a parole d'ordine e luoghi comuni sbagliati, dovrebbe essere ben conscio della responsabilità che si prende.

mercoledì 28 marzo 2007

LAVORO NERO


Abbiamo uno dei peggiori mercati del lavoro d'Europa e del mondo. Questo voglio dirlo perché me ne convinco sempre di più. E non vorrei essere fraintesa, anche se poi dico che è inutile piangersi addosso. Purtroppo siamo ignoranti (pochi laureati), e le imprese sono di basso livello, non si fa ricerca e il merito è un'araba fenice. Detto tutto ciò, mi chiedo perché si fa una battaglia così furiosa sul lavoro precario e non si parla mai del lavoro nero.
Secondo gli ultimi dati Istat disponibili, in Italia ci sono circa due milioni di precari. Lo so che altri calcoli comprendono anche una quota di partite iva, fino ad arrivare a cifre poco verificate, come tre o, perfino, quattro milioni. I numeri, purtroppo, spesso dipendono dalla scelta ideologica. Mi dispiace che questo avvenga sulla pelle delle persone. Ma tant'è. E il lavoro nero? Secondo l'Istat i lavoratori che vivono in questi abissi del mercato sono oltre 3 milioni e mezzo. Anche qui, credo che sia difficile pretendere cifre certe. Comunque, i lavoratori in nero sono più di quelli precari, che almeno hanno un contratto fanno un'esperienza che possono "rivendersi" al prossimo lavoro, hanno un'occasione, almeno un'occasione di inserimento.
Mi ricordo che si parlava moltissimo di lavoro nero negli anni Settanta e negli anni Ottanta. Aggiungo che allora il lavoro nero era normale in tutti i contesti: era un modo per cominciare a fare il giornalista, il professore universitario, il medico, e qualunque altro lavoro. Ci sono giornalisti che hanno cominciato negli anni Sessanta e Settanta, che hanno lavorato gratis e come abusivi in redazione per anni. Allora, guarda un po', quegli assistenti, quei medici in nero, si chiamavano precari! Poi li regolarizzarono. E per i più giovani tutto diventò più difficile, perché non c'era più spazio: gli ex precari avevano occupato tutti i posti. La storia purtroppo si ripete. Nella scuola per esempio ora si punta a regolarizzare i precari e di concorsi non si parla.
L'Italia mantiene ancora negli anni Duemila il primato del lavoro nero tra i paesi industrializzati. Si parla di una quota del Prodotto interno lordo pari addirittura al 25% . In altri paesi invece sarebbe il 13-15%.
Ingenuamente molti potevano pensare che, almeno, con il lavoro flessibile si sarebbe spazzata via una bella fetta di lavoro nero... invece no! In Italia è rimasto. Solo che non va più di moda parlarne. O no?
(cliccando sul titolo di questo post c'è il link alla ricerca Censis sul lavoro nero)

lunedì 26 marzo 2007

INTERVISTA A BLANPAIN: LA GLOBALIZZAZIONE, IL LAVORO E LA FELICITA'


La settimana scorsa sono stata a un convegno internazionale sul lavoro e la globalizzazione. Ho intervistato per il Messaggero un giuslavorista belga molto famoso, che insegna anche in Italia, a Modena e a Salerno: Roger Blanpain. Il professore è drastico: "Una percentuale di lavoro temporaneo è fisiologica, non si può eliminare. E' la globalizzazione, bellezza. Chi si oppone combatte contro i mulini a vento".
La percentuale di flessibilità che Blanpain considera non eliminabile è del 30%. Fa venire i sudori freddi, visto che in Italia siamo ancora al 12%. Comunque lui si considera un inguaribile ottimista: "Il 70% dei posti di lavoro continuerà ad essere a tempo indeterminato, perché le aziende fanno fatica a trovare dei buoni lavoratori. E quelli che hanno se li vogliono tenere stretti. . Il problema sono le competenze: le aziende cercano tanti lavoratori che non riescono a trovare. E naturalmente ci sono disoccupati che spesso non hanno le competenze giuste per trovare un lavoro. Ma sappiate che la globalizzazione, oltre alla flessibilità, crea anche un sacco di posti di lavoro, quindi è positiva."
Come vivrà però quel 30 % di lavoratori a termine?
"Bisogna essere flessibili, abbastanza flessibili da adattarsi alle regole dell'internazionalizzazione. In Italia, come in altri paesi, il mercato del lavoro è ancora troppo rigido. Quelli che stanno meglio sono i paesi Scandinavi, la Gran Bretagna, l'Irlanda, che sono meno rigidi e più aperti agli investimenti stranieri ".
Ma esiste un esempio di buona flessibilità?
"Certo. Flessibilità non vuol dire che non si debba avere protezione sociale. Prendiamo la Danimarca. I sindacati qui sono molto forti ma hanno contrattato un sistema di politiche attive per l'impiego: chi perde il lavoro prende un sussidio dell'80% dello stipendio. Un sussidio alto. Ma per un tempo breve: solo sei settimane. Dopo di che deve trovare un altro lavoro oppure aggiornarsi, studiare. Altrimenti perde il sussidio. E funziona, perché in Danimarca lavora il 72% della popolazione, un tasso altissimo.". In Italia invece il tasso di attività è intorno al 50%.
Ma le politiche attive per il lavoro sono costose...Chissà se il bilancio pubblico italiano potrà mai permettersele
"Forse sono un po' costose all'inizio, ma poi fanno risparmiare moltissimo. E soprattutto portano felicità"
Felicità? Sì, felicità. Il professor Blainpain , a 75 anni ben portati, attivo tra insegnamento in lungo e in largo e un lavoro con una società in proprio, sottolinea che lui alla felicità ci tiene e ci crede: "Se si è felici - mi spiega - si lavora meglio e si produce di più".

domenica 25 marzo 2007

MA L'OCCUPAZIONE AUMENTA... DOMANDE ANTIPATICHE

Farò arrabbiare qualcuno, pazienza. Faccio la giornalista in un grande giornale, il Messaggero. Mi sono occupata di cronaca e di economia. Ho fatto il capo delle Cronache nazionali. Mi occupo di mercato del lavoro da un po' e devo dire che sono stata spinta a cominciare da tutto il gran parlare e dalle lamentele sui precari. In Francia, stessa cosa. Fammi andare a vedere che cosa vivono questi poveracci....mi sono detta.
Anch'io in fondo ne sapevo qualcosa di ricerca del lavoro, perché negli anni Ottanta, quando mi sono laureata e mi sono messa a cercare un lavoro, non si scherzava. I dati ufficiali parlavano di un tasso di disoccupazione intorno all'11%. E lì è rimasto inchiodato per parecchio tempo. Secondo l'Ocse la disoccupazione giovanile in Italia era al 35,5% nel 1987, poi è scesa gradualmente dal 1997 , per arrivare nel 2003 al 29,7%. Oops, sono dati che riguardano giovani tra i 15 e i 24 anni. Forse "troppo" giovani per lavorare? Gli ultimi dati del dipartimenti del Lavoro Usa dicono che in Italia nel 2005 la disoccupazione giovanile è ancora alta: 21% tra i 20 e i 24 anni, e quasi 37% tra i 15 e i 20. Altissima, va detto. Però è scesa, no? Allora la prima domanda è: come mai la disoccupazione giovanile oggi è scesa rispetto a 10 e a 20 anni fa?
I precari. In Italia i lavoratori con contratto a termine (fonte Eurostat )sono circa due milioni, il 12,3% . Qualcuno aggiunge nel calcolo anche una parte di lavoratori autonomi. Si arriverebbe a 3 milioni 800 mila. Ma questa è una statistica non comparabile con gli altri paesi. Teniamoci al lavoro a termine: in Spagna è il 33,3%. Esagerati. La media europea comunque è il 14,5%. Negli Stati Uniti ovviamente non si può calcolare, perché qualunque lavoro può essere terminato in qualunque momento, compatibilmente con gli accordi tra le parti, quindi non c'è distinzione tra tempo indeterminato e a termine . In tutto il mondo la flessibilità è certamente in aumento. Molti analisti sostengono che è il risultato della globalizzazione. La domanda è : perché l'Italia non dovrebbe essere coinvolta dal processo di flessibilizzazione del lavoro?
I laureati. L'Italia ha solo l'11% di laureati sul totale della popolazione. Negli Usa, dove per frequentare l'università e prendere una laurea si spendono decine di migliaia di dollari, sono il 39%. In Francia i laureati sono il 24%, in Irlanda il 28%, in Gran Bretagna il 29%, in Portogallo il 16% (sempre più di noi). E' vero che la laurea non è una garanzia in Italia. E' vero che spesso le aziende preferiscono un bravo diplomato a un normale laureato. In questo forse più che in qualunque altra cosa, si segnala l'arretratezza del nostro tessuto economico, dell'incapacità delle aziende di investire sul capitale umano. Ma domandiamoci anche: è adeguata la formazione scolastica, universitaria e post-universitaria al mercato del lavoro?
Quando si esce da scienze dalla comunicazione e non si ha un'idea precisa del lavoro che si pensa di andare a fare, che cosa ci si può aspettare? Già. Ma vedo che si lamentano anche molti ingegneri. Sicuramente anche per loro il titolo di studio si è svalutato. Però, sento parlare di neolaureati a 28 anni! ventotto anni. Si è fuori da qualunque statitica sul mercato del lavoro dei giovani. E' chiaro che le aziende vanno a cercare chi, a quell'età, ha almeno un paio di anni di esperienza, magari dei master di specializzazione, dei corsi all'estero. Non sareste un po' diffidenti se doveste assumere un dipendente che ci ha messo 9 anni a laurearsi?
Va aggiunto che non solo negli ultimi tre mesi i posti di lavoro sono aumentati di 333 mila unità, ma negli ultimi sei anni, dal Duemila a oggi, il numero dei lavoratori è cresciuto da circa 20 milioni a oltre 23 milioni. E' sempre molto poco. In Italia il tasso di occupazione è del 44,9 per cento. Praticamente lavora un adulto su due. Tra le donne solo una su tre, e questo è un record negativo vero, perché la media europea delle donne lavoratrici è il 50% (per gli uomini uil 64,7%). Ma in Italia ci sono 3 milioni e 600 mila lavoratori "in nero", che sfuggono completamente alle statistiche. Allora qui le domande sono due: perché non si parla mai dei lavoratori in nero? E, ammesso che una buona parte dei nuovi lavori siano precari, è meglio un lavoro precario, oppure un lavoro in nero, oppure nessun lavoro?
Queste sono le domande che sicuramente vi faranno arrabbiare, ma credo che almeno facciano riflettere. Certamente il mercato del lavoro da noi è orribile, così come è sciagurata la formazione e la mancanza di canali di accesso al lavoro. Per non parlare della condizione tutta particolare che si vive in molte parti del Sud, là dove forse c'è la vera disoccupazione. Tutto questo lo sappiamo e sarà faticosissimo cambiarlo. Ma dobbiamo riflettere. Perché se non rischiamo di andare nella direzione sbagliata. Questo per ora è tutto. Prossimamente vorrei parlare di due argomenti: 1) il tipo di laurea (ingegneri, filosofi, matematici?) rispetto al mercato del lavoro. 2) i lavoratori che le aziende cercano disperatamente e non trovano.

martedì 20 marzo 2007

PAMELA, STEFANO, SERGIO E LA LEGGE BIAGI


Pamela Secci ha solo 25 anni, viene da Asuni, un paese in provincia di Oristano, in Sardegna. Ha grinta, determinazione, umiltà. Ha la stoffa di una vera manager e io scommetto che ce la farà.
DA LETTERE A LAVAPIATTI
Dopo la maturità ha lasciato il paese e si è buttata nella grande città, anche se con delle idee un po' vaghe. Voleva fare la giornalista. Si è iscritta a Lettere all'università di Roma. Ma durante gli anni dell' università si è rimboccata le maniche e ha sempre lavorato: bar, ristoranti, pub, alberghi, ha fatto la cameriera, la lavapiatti, ha sistemato le camere, ha pulito banconi. Tranquilla. "Alla fine - mi ha raccontato - quando mi sono laureata avevo la possibilità di andare a lavorare in un ufficio di assicurazioni a Roma. Ma un giorno mi ha telefonato mia zia, che aveva saputo di un master della Cremonini". Il master è nato da un accordo dell'università di Modena con la Regione e la Cremonini, una nota azienda alimentare. Questi accordi sono previsti dalla legge Biagi (e c'è chi dice che crea solo precarietà) e consentono un percorso di studio e di formazione finalizzato all'assunzione in azienda. Anzi, di più: chi supera gli esami di ammissione e poi si impegna nello studio e negli stage, al momento del diploma viene assunto con decorrenza dal primo giorno di iscrizione al master. E nel frattempo, visto che studia e lavora, prende una retribuzione, commisurata a un "contratto di apprendistato di alta formazione" (un po' lungo, ma si chiama così): 900 euro al mese circa.
LA MANAGER FA IL CAFFE'
"Ho partecipato alle selezioni - continua Pamela - e quando ho saputo di essere stata presa ho dovuto fare una scelta. Il fatto è che a me piace comandare". I suoi amici, che avevano ascoltato in silenzio, a quel punto sghignazzano, perché loro lo sanno bene che a Pamela piace comandare. Ma le vogliono bene lo stesso.
Così Pamela ha deciso di tentare la carriera da manager: ha fatto le valigie ed è andata a vivere a Firenze. Da lì viene a Modena, quando c'è da seguire le lezioni o fare gli esami, ma soprattutto da lì parte per andare a lavorare in azienda. Ha cominciato nei punti "Moto", sull'autostrada: otto ore dietro a un bancone a fare caffè, tost, pizzette. Lavora al bar. Strano per una futura manager? No. " E' un lavoraccio, all'inizio ero spaventata perché erano ritmi a cui non ero abituata. Si lavora in turni di otto ore, e a volte capita anche di fare la notte, perché i "Moto" sono aperti 24 ore su 24. Impari ad avere mille occhi, a pensare cento cose. Non hai mai il tempo di riposarti. Però ti rendi conto delle esigenze del personale, dei turni, di come vanno organizzati. Impari veramente la gestione delle risorse umane. E i colleghi più anziani mi hano aiutata tutti". L'hanno aiutata, anche se presto Pamela li comanderà, perché uscirà dal master con la qualifica di assistant manager, cioè vicedirettore di punto vendita. E poi, chissà: Pamela, come i sui compagni di corso, punta a diventare presto almeno direttore e potrebbe salire ai piani alti dell'azienda.
GLI SCALATORI...
Lo stesso percorso sta facendo Sergio Castellano, di Torre del Greco, laureato in Scienze e Tecnologie Alimentari alla Federico II di Napoli, (ha già abbandonato la macchina del caffè ed è stato acchiappato dalla Cremonini, per dei compiti delicati nella sede di Modena) che per questa opportunità ha rinunciato a un altro dottorato già vinto. E ha una forte determinazione anche Stefano Ponticella, di Gaeta, laureato in Scienze politiche, avvistato alla stazione Termini di Roma mentre preparava dei corroboranti caffè per i passeggeri in transito, e già si preparava alla prossima esperienza dietro ai banconi di "Pizza e Vizi" e di McDonald's.
Pamela, Stefano e Sergio fanno parte di un gruppo di 15 ragazzi, che stanno facendo questo primo master in alta formazione e che così hanno trovato un lavoro interessante.
...E I RINUNCIATARI
All'inizio però erano in 35. Che fine hanno fatto gli altri 20? Quando gli hanno dato il grembiule e li hanno messi dietro al bancone se la sono data a gambe. Il perché, se devo immaginarlo, non è molto lusinghiero. Ma forse è semplicemente perché avevano la possibilità di fare lavori migliori. Beati loro.

GENERAZIONE PRECARI IN TRENO

Sette e mezza di mattina, in treno, al di là del corridoio tra i sedili, sono seduti due ragazzi. Avranno 25-28 anni, e sono diversissimi. Uno indossa una immacolata camicia bianca con polsini e gemelli, sfodera un computer e fulmineamente lo connette a internet con la sua carta sim, mentre parla incessantemente a bassa voce al cellulare attaverso un auricolare quasi invisibile. L'altro ha una testa di riccioli disordinati, adolescenziali, porta un maglione blu sopra una camicia azzurrina casual, scribacchia su una cartata di fogli, tra appunti vecchi e nuovi che maneggia come un giocoliere. Si guardano e ....si sono già incontrati da qualche parte, ma dove? Ma tu hai fatto l'università a Roma? Sì...anch'io. Economia? No, Ingegneria. Ah, no...però sono vicine...magari alla mensa. Sì, sì, sicuramente. Sì sì. E tu dove lavori? Ah, io invece,.... vado spesso a Milano. Due giorni alla settimana sono a Bologna...Comincia uno scambio fitto di informazioni sul lavoro, sulle esperienze, sulle prospettive di carriera, sulle amicizie. Si studiano, si prendono le misure. Uno se la tira un po'. L'altro è più curioso. Saltano fuori i casi di amici e amiche, anche loro alle prese con il percorso migliore da azzeccare. Quel posto non fa fare carriera. Chi vuole rimanere senza muoversi rischia di finire a fare report che nessuno legge. Per chi vuole spostarsi questo è il momento buono. Esperienze negative: da lì me ne sono andato di corsa, proprio non faceva per me. Altro che precari disperati. Alla fine hanno avuto un'illuminazione: Ma tu, vai a Ostia? Sì, ...ah! Ecco dove ci siamo visti: stessa spiaggia, stesso mare.

sabato 17 marzo 2007

WHAT ABOUT TEMPORARY WORK?

I spoke with an american girl today, Shelley, 24, coming from Minnesota, United States. She is looking for a job in Italy at the moment, and I was trying to explain her what's all the fuss about temporary work in Italy. I told her that young people in Italy find more and more temporary jobs and that makes them anxious about their future. In the past people here used to think of a job as something that will last for their whole lives. She was listening to me wide-eyed and with a funny face. "So, what?", she said. Well, you know, this has become a big issue in Italy, I pressed on. But she couldn't understand. "Well, I have alredy had different jobs in my life, and as a student I used to do all sorts of different jobs back at the University", she answered. I tried to make it a little clearer saying that the opposite of a temporary job is when you work for a firm and cannot be fired, no matter what. Was she surprised! I found myself in the akward position of having to explain the torments of italian young people to a person that regarded all this only as a bigger opportunity. Something positive, after all. Which is what I mostly think! "More temporary work means more opportunities" she concluded.
I know, I know, our culture, our tradition is different but.... Has any young Italian ever tried to talk about it with an american guy? Or with a british, irish or northern european, for that matter. Why not try?

venerdì 16 marzo 2007

PRECARI E CONTENTI?


A 18 anni misi piede per la prima volta in una fabbrica, in Inghilterra. Lì, alla catena di montaggio stile Tempi Moderni, erano fianco a fianco operai, che dopo vent'anni non si aspettavano più nulla, e ragazzi che, da tutte le parti del mondo, arrivavano per imparare l'inglese, per conoscere un mondo nuovo, per studiare, o anche semplicemente per guadagnare denaro sufficiente a vivere per l'anno successivo nel loro paese di origine. Molti venivano dall'Africa, dalla Turchia o dai paesi dell'Est.
Un giorno mi capitò, proprio come a Charlie Chaplin nel film, di non riuscire a tenere dietro al ritmo del nastro trasportatore. Nella fabbrica si lavorava carne di tacchino. Il mio compito in quel momento era il confezionamento dei pezzi di tacchino, che poi venivano inviati più avanti per l'etichettatura. Improvvisamente mi resi conto che i pezzi di tacchino si accumulavano e che non riuscivo a impacchettarne qu anti avrei dovuto. Rischiavo di finire sommersa dai tacchini. Ma mi ripresi. E la sera, con i miei compagni, si parlò di alienazione dell'uomo nel lavoro, di Marx e dei Manoscritti Economico-filosofici del 44. E
Per quanto l'esperienza possa sembrare spiacevole, per me era un'opportunità. E ancora di più lo era per i miei compagni di lavoro venuti da tutte le parti del mondo: per loro quel lavoro era un passo verso un futuro nuovo.
Da allora mi sono chiesta: perché il lavoro non deve essere, sempre, per tutti, un mondo di opportunità? Questa domanda, che non si è mai placata in me, si è riaffacciata in modo prepotente, da quando in Italia si è cominciato a parlare di lavoro precario. Ho cominciato a indagare e a parlare con tanti giovani. E mi sono fatta l'idea cha ciò che alcuni vivono come una tortura quotidiana, per altri può essere un trampolino per la vita. E mi sono chiesta cosa mancasse perché sempre più persone potessero vivere il lavoro come una scala fatta di tanti gradini verso la propria realizzazione personale. La domanda finale è: attraverso il lavoro, anche se precario (ma cosa non è precario nella nostra vita?) come si fa a realizzarsi? Si può essere felici? Insomma, si può essere precari e contenti? La mia risposta è sì. Si può, si deve, giovani e anche non giovani. Anzi, più andiamo avanti nella vita e più dobbiamo cercare delle opportunità. Raramente saranno gli altri a offrircele. Ma, ogni volta che ne scoveremo una, saremo un po' più vicini a noi stessi.

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