martedì 27 novembre 2007

SOGNANDO DANIMARCA



C'è un paese che ormai viene costantemente portato ad esempio, sia per la condizione dei lavoratori, sia per quella delle donne. E' la Danimarca. Su La Repubblica del 26 novembre il paese è descritto come "La fabbrica dei papà perfetti". Non a caso. Perché come stiamo sottolineando da un po', è solo nel paese in cui i papà si sentono responsabili dei problemi familiari e in particolare dei figli, che le donne possono liberarsi un po' del loro insostenibile fardello. Come abbiamo raccontato nel post dedicato all'avvocato Giulia Bongiorno, se un'azienda ha gli stessi oneri di "paternità" e/o di "maternità" nei confronti dei dipendenti, non avrà nessun motivo per preferire l'assunzione di un uomo a quella di una donna.

Non a caso la Danimarca ha una percentuale di donne che lavorano del 77,4% (rispetto al 46,3% dell'Italia), e ha anche un tasso di natalità superiore a quello dell'Italia: da noi siamo a 1,3 figli per donna (già in risalita) mentre in Danimarca il numero di figli per donna è 1,7 ..... Da noi le donne ambiscono a essere mamme perfette, spesso sono costrette a stare a casa, eppure le culle sono vuote. Bel risultato!.

Ma, a sentire gli esperti danesi, (vedi l'intervista all'esperto danese nel bollettino n. 42 della fondazione Marco Biagi) la Danimarca non è così lontana: hanno una forte sindacalizzazione dei lavoratori e una grande centralità dei contratti di lavoro nazionali. Proprio due caratteristiche che sono proprie anche dell'Italia. E' vero però che in Danimarca c'è una tradizione "partecipativa" e di collaborazione lavoratori-imprenditori che da noi manca. Comunque vale la pensa diventare tutti un po' più "danesi".


Infine, anche nel numero di Newsweek della settimana scorsa la Danimarca viene additata ad esempio per le riforme nel mercato del lavoro per paesi con gravi problemi di declino e difficoltà nel settore della produttività e del mercato del lavoro. L'esempio su cui si dilunga Newsweek è quello del Giappone, ma a molte affermazioni che riguardano il Giappone basterebbe sostituire la parola "Italia" e ci si accorgerebbe che il ragionamento funziona lo stesso.

sabato 24 novembre 2007

PARITA', LAVORO, PENSIONI: LA LUNGA STRADA DELLE DONNE

"Sul lavoro le donne fanno molta più fatica dei loro colleghi maschi ad affermarsi, in termini di stabilità, retribuzione e carriera". Testuale, dall'ultimo rapporto Isfol.
Ciò avviene nonostante le donne studino più degli uomini: nel 2006 il 57,3% dei laureati è costituito da donne. Unico difetto, se lo si può considerare tale: le ragazze continuano a preferire in larga misura lauree del settore umanistico. Questo certamente non sempre le mette alla pari nel mercato del lavoro. Ma i dati chiave sono altri tre:1) molte donne non entrano proprio nel mercato del lavoro, e sono quasi 10 milioni quelle in età lavorativa che non cercano un impiego (il numero degli uomini è circa la metà)
2) in Italia lavora solo il 47% delle donne (l'obiettivo fissato dall'Europa per il 2005 era il 57%)
3) il 67% delle donne ritiene il proprio orario di lavoro troppo lungo e fa fatica a conciliare il lavoro con gli impegni familiari. Insomma, ciò che dovrebbe essere normale (e per gli uomini lo è: cioè avere una vita familiare e anche un lavoro cui dedicarsi) per le donne è sempre il risultato di un doppio salto mortale. Quelle che ci riescono, garantisco, fanno una fatica enorme!

Aggiungo l'appello della campagna dei radicali "Proteggimi di meno, includimi di più", che propone l'innalzamento dell'età pensionabile per le donne, per portarlo alla pari con quello degli uomini. Ecco i due bei video della campagna e il link per firmare l'appello



mercoledì 21 novembre 2007

IL "LAVORO" NON PIACE PIU'?


Ho già avanzato in passato l'idea che negli ultimi anni in Occidente si sia diffuso un distacco da quella che era una volta "l'etica del lavoro" a favore di una nuova "etica del tempo libero": E' un'idea un po' provocatoria, in un periodo nel quale si parla di lavorare di più, nel quale alcuni orari di lavoro si allungano e si dilatano anche nelle serate e nei weekend, nel quale si lavora anche da casa o dalla vacanza con computer, palmari e cellulari.



In questa direzione sembra andare, sotto forma di interrogativo, il numero in edicola di "è lavoro", l'inserto di Avvenire. Francesco Riccardi scrive: l'impressione è che "il lavoro piaccia sempre meno. Nel senso che viene rifiutato perché considerato non all'altezza delle proprie aspirazioni e (legittime) attese, soprattutto da coloro che hanno raggiunto livelli di istruzione mediamente più elevati...Il lavoro ha sempre avuto aspetti alienanti o frustranti, ma nei decenni passati rappresentava al tempo stesso lo strumento principe dell'affermazione della propria identità, del proprio ruolo all'interno della società. Oggi solo alcune professioni, nel sentire comune, sono in grado di definire un'identità personale".



Intorno a questa "suggestione" ovviamente il ragionamento è complesso. perché tanti salteranno su a dire che questo per loro non è vero, che anzi ci sono discriminazioni e barriere all'accesso. E infatti Riccardi parla anche di questo. Però, nell'epoca della società "liquida" (cfr Zygmunt Bauman) e dell'individuo dall'identità mutevole, c'è anche il sentimento di tanti giovani che non si sentono più definiti dal lavoro. O comunque non hanno bisogno del lavoro per "vivere", ma solo per sopravvivere. Sarà vero?

martedì 20 novembre 2007

I VERI MASCHI SONO I "MAMMI"





Se ne vedono e sentono sempre di più: uomini che si occupano dei bebè, che prendono i congedi per paternità, che fanno le pulizie, che giocano con le figlie, che fanno le stesse cose delle mamme. Tra i padri celebri, se ne vedono anche all'estero: tipo Milliband, il ministro degli Esteri britannico, che ha preso il congedo di paternità nonostante gli impegni intarnazionali. E' successo anche nel governo di Berlino. In Italia, ma non solo, la domanda sotterranea è: ma questi padri non finiranno per essere un po' meno maschi"?


Se lo chiede anche il settimanale Time, con un bell'articolo pubblicato nell'ultimo numero, Fatherhood 2.0 , che è come dire Paternità 2.0. E la domanda, di fronte ai padri-mammi, si trasforma in un'altra: cosa significa essere un uomo oggigiorno? Si è modificata l'idea di mascolinità?
La risposta di Time, settimanale prima di tutto americano, è che sì, gli uomini sono cambiati, non solo i padri. Sono cambiati in meglio. E questi loro cambiamenti , questo allontaamento dalla vecchia idea di "maschio", li aiuta sul lavoro, nel matrimonio nei rapporti con i bambini...e li fa sentire meglio, sia fisicamente che mentalmente.
Due possbili svantaggi: 1) sempre di più madri e padri tengono più al rapporto con i figli che a quello fra di loro; 2) non sempre le aziende sono pronte ad accettare questi nuovi padri, che non mettono il lavoro davanti a tutto, e alcuni uomini sono ancora riluttanti nel prendere dei congedi per paternità.
Tutto questo negli Stati Uniti.
In Italia, paese dei "veri maschi" e delle "super mamme", siamo ancora più lontani. Però, se è vero che la vera rivoluzione, dopo quella delle donne, ora la stanno facendo i nuovi maschi,...bè può essere molto interessante. Anche perché vale la pena di riflettere su questo punto chiave: se anche i padri sacrificassero un po' il lavoro per i figli, le madri sarebbero automaticamente meno svantaggiate!

lunedì 19 novembre 2007

ITALIA, TROPPO COMPLICATA PER GOOGLE




C'è un concorso internazionale, di cui ho scoperto l'esistenza solo leggendo un post tristemente esilarante sul sito di Gianluca Salvatori: è il concorso Android Developer Challenge, lanciato da Google. Gli esperti di tecnologia e computer sicuramente capiranno meglio di me di cosa si tratta. Ma la cosa chiarissima è che l'Italia, quasi unica al mondo, sembra che non possa partecipare a questa gara, indovinate perché? Per l'eccesso di complicazione burocratica. Gianluca giustamente soprannomina "Borbonia" il Paese nel quale avviene tutto ciò.

Ora, nella migliore tradizione, spunta invece un esperto di diritto informatico Guido Scorza che dice invece che si può: ha trovato il cavillo giusto! Tutto ciò mi sembra talmente usuale, talmente tipico di ciò che avviene in Italia che merita comunque una riflessione. E invito anche chi ne capisce qualcosa in più a tentare di spiegarcela. Vedremo come va a finire.

venerdì 16 novembre 2007

I TUAREG SI TURANO IL NASO E PROPONGONO LE QUOTE

LINK AGGIORNATI

Un piccolo libro dalle grandi ambizioni, Generazione Tuareg, un libro che unisce visione, brillantezza, coraggio e senso politico. Lo consiglio a tutti: under 30 sfiduciati e pessimisti, e under 50 impantofolati. E soprattutto lo consiglio a chi cerca una bussola, non potendone più di luoghi comuni, di lamentele, di accuse dirette a fantomatici responsabili, che sono sempre gli altri, della "mistica della precarietà", che io stessa cerco di combattere con tutte le mie forze. Non certo per togliere orza ai giovani della generazione "precaria", ma per dargliene, perché come conviene Delzio, il problema del nostro mercato del lavoro, non è l'eccesso di flessibilità. Piuttosto è un'eccesso di rigidità, all'interno della quale la flessibilità viene vissuta come eccezione, come condanna, non supportata da servizi e strutture, a loro volta, flessibili.

Delzio, direttore dei giovani imprenditori di Confindustria, forte di esperienze qualificate e internazionali, si inserisce in quello che ormai è un filone, e ne abbiamo parlato anche su questo blog più di una volta: il filone "più merito, più mercato = più opportunità, più democrazia". Se posso chiosarlo, è il filone che vuole finirla con la credenza, durata anche troppo, che l'appiattimento al livello più basso faccia un favore ai più svantaggiati. Ho già citato qui il libro di Floris, Mal di merito: lo rifaccio per segnalare una pagina sul Messaggero di oggi.

Non è democratico, per esempio, far credere che l'università uguale per tutti, a costi bassissimi, sia una conquista: non è altro che la certificazione della sua inutilità, perché "chi può" farà altro, studierà in posti più prestigiosi, entrerà nel mercato del lavoro per altre strade, lasciando con un palmo di naso chi credeva che bastasse quel suo povero pezzo di carta a conquistare chi sa che cosa."Per cambiare l'Italia - dice Delzio (che ha ambizioni politiche) in una delle ultime pagine del libro - la nostra generazione deve abbandonare definitivamente l'illusione del ritorno all'età dell'oro, la ricerca spasmodica e frustrante delle certezze perdute". E' un passaggio chiave. Ciò che è stato (o che molti credono che sia stato) per fortuna non tornerà più: d'altra parte, ai giovani non piacerebbe neanche un po' quell'Italia anni Sessanta nella quale sono cresciuti i loro padri. Quindi "dobbiamo riaccendere la speranza", dice Delzio: I giovani devono "riaccendere i motori" dico io.

La mia copia del libro Tuareg è piena di sottolineature di diversi colori e di "orecchie" sulle pagine: è l'unico modo per appropriarsi di un libro, e questo dimostra che l'ho trovato veramente ricco di spunti. Molte delle cose che dice sono le stesse che dico io, che diciamo qui ormai da mesi. Voglio sottolineare solo un passaggio, tra i tanti, una nota operativa: "In situazioni di crisi della rappresentanza, di fallimento del mercato della politica, di resistenza culturale, le quote sono l'unico rimedio possibile. Rimangono una soluzione d'emergenza, ma diventano un "male necessario" per avere più giovani in Parlamento. E' necessario stabilirlo per legge..." QUOTE. Questa parola, riferita per decenni alle donne, per molto tempo mi sembrava intollerabile, mi faceva ribrezzo: era il segnale di uno stato di minorità, mi sembrava una misura paternalistica, una "concessione" autoritaria. E, vista la mia tendenza a rifiutare autorità che non siano anche autorevoli, ho sempre avversato questa idea. Ma anche io alla fine ho capitolato: le quote sono l'unico modo, veloce, di rottura, per rovesciare una situazione che in Italia può trascinarsi ancora per decenni, forse per secoli (e non è un modo di dire). Delzio ha ben presente il fatto che, in questo momento, donne e giovani sono accomunati da molti elementi. Entrambi sono portatori di novità, ma non riescono a sfondare il "soffitto di vetro": Quindi, sì alle quote per giovani e donne, e via.

giovedì 15 novembre 2007

PRECARI NELLA PA, SERVE IL CONCORSO


Stabilizzazione dei precari: la sinistra di lotta e di governo ha ottenuto quello che voleva, anche l'ala diniana ha avuto la sua piccola vittoria, ma soprattutto ha vinto la logica che una qualche selezione ci vuole: tutta l'Unione ha votato l'emendamento di Natale D'Amico che garantisce l'assunzione a tempo indeterminato solo a coloro che sono entrati tramite «procedure selettive di natura concorsuale». Viene escluso inoltre «il personale di diretta collaborazione degli organi politici» (i portaborse). Per i Co.Co.Co, in sede di concorso, verrà riconosciuto in termini di punteggio «il servizio prestato presso le pubbliche amministrazioni per almeno tre anni, anche non continuativi», nei cinque anni precedenti alla data del 28 settembre 2007.


Quale sarà poi l'applicazione di questa norma, cioè se servirà ad evitare assunzioni di massa ope legis (e relativo "tappo" a qualunque nuova assunzione per i prossimi dieci anni), e se rimarrà un po' di spazio per dei giovani bravi, è quello che dovrà essere verificato. Ma il principio è salvo.

martedì 13 novembre 2007

E LUCA DISSE: RAGAZZI FATE COME ME...






Luca ha raccontato di quando, finita l’università, pensava di fare l’avvocato. Un avvocato di diritto internazionale, un avvocato d’affari, roba forte, mica un avvocato qualunque, uno che aveva studiato alla Columbia University. E invece lo chiamarono dall’Italia e finì ad occuparsi di macchine. Certo, non macchine qualunque: si trattava di Ferrari, e lui è Luca Cordero di Montezemolo, oggi presidente di Confindustria. La sua esperienza non è esattamente riproducibile, ma la sua voglia di dare una carica agli studenti che aveva di fronte stamattina era evidente. Montezemolo ha parlato all’inaugurazione dell’anno accademico all’università di Modena, nell’Auditorium della Fondazione Marco Biagi, che lo aveva invitato. Poco prima aveva concluso un discorso sul merito come fattore principale di giustizia e di innovazione sociale ed economica. Aveva invitato ad abbandonare gli ideologismi e a difendere la legge Biagi, che ha svecchiato le rigidità del mondo del lavoro e ha fatto scendere la disoccupazione. Aveva parlato dell’esigenza di dotare l’Italia di ammortizzatori sociali, per difendere anche i lavoratori più svantaggiati dalla flessibilità. E soprattutto aveva rivolto un pensiero al governo, che dopo aver concluso il protocollo sul welfare ora si trova di fronte a 500 emendamenti in Parlamento. Montezemolo ha esortato il governo a difendere quell’accordo. “Se verrà modificato sarà un attentato alla pratica della concertazione” ha detto, anche se nessuno vuole togliere al Parlamento la sua sovranità. Ma sarebbe grave dare un colpo alla concertazione, che oggi va ripresa e rinnovata: “si trasformerebbe la concertazione in un inutile gioco di società. E non si può umiliare ol ruolo negoziale delle parti sociali”.
Ma, detto tutto ciò, Montezemolo ha chiuso il discorso scritto e ha cominciato a solleticare l’uditorio: tutti ragazzi e ragazze. Ha chiesto delle domande e ha quasi costretto una bella bionda a chiedere qualcosa…che poi è stata anche una domanda giusta, sullo scarso appeal delle facoltà scientifiche, dove si iscrivono troppo pochi studenti. “Studiate – ha esortato Montezemolo, anche se ci sarebbe stato da chiedergli quanto studioso fosse lui a 20 anni – studiate, ma non solo sui libri – ha aggiunto -. Leggete l’Herald Tribune, che non parla di politici e delle loro dichiarazioni, ma è una finestra sul mondo. Studiate quello che vi sta intorno, siate curiosi, andate in gito. Fatevi una fidanzata straniera. Non pensiate che l’università debba ssere condominiale, muovetevi, apriteli alle sfide. Abbiate coraggio, e pretendete che chi è bravo venga messo in condizioni di vincere”.
Alla fine della seconda parte gli applausi non erano formali, qualche futuro manager domani potrà ricordare di essere stato galvanizzato anche da un discorso così…
Qualcun altro dirà: e gli altri? I meno fortunati? Chi non è tanto bravo, chi non studia in facoltà prestigiose, chi non si chiama Montezemolo? Ricette in tasca credo che non ne abbia nessuno. Ma in tanti ormai stanno battendo sul tasto della meritocrazia: leggete un bel libro del giornalista Giovanni Floris “Mal di merito”. Anche lui non vede altra strada, proprio per i più svantaggiati. Per chi vuole salire più in alto dei propri genitori, per chi vuole realizzare i propri sogni: cercare di essere più bravo. Fortunato quel Paese che riesce a premiare i migliori, soprattutto se non si chiamano Luca Cordero di Montezemolo. L’Italia, come ci racconta Floris per circa 200 pagine, per ora ci riesce pochissimo.

sabato 10 novembre 2007

COME SALVARSI DALLA PRECARIETA'...E ANCHE DAL POSTO FISSO



Parlerò del mio libro agli studenti dell'università di Modena, martedì 13 novembre pomeriggio. (Nella foto Piazza Grande, nel centro di Modena)



Sarò alla Fondazione Marco Biagi, "presentata" dal professor Michele Tiraboschi, alle 17,30. Sono molto ansiosa di ascoltare e rispondere alle domande degli studenti.
Insieme a me ci sarà un altro collega, sia di giornali che di libri: Massimo Sideri, autore di "Come salvarsi dal posto fisso", Il Filo editore. Il suo è un pamphlet,divertente e provocatorio; "Precari e contenti" invece è un libro giornalistico con due obiettivi:
1) sfatare l'idea che il mercato del lavoro in Italia per i giovani sia il peggiore della nostra storia. Non è vero, ci sono anche tante opportunità. Ma permangono difetti enormi e vecchi di decenni, che andrebbero prima o poi affrontati, se vogliamo modernizzarci e dare più speranze di futuro ai giovani. Questi ultimi devono adattarsi a un mondo di cambiamenti, e in questo tutta la società li dovrebbe accompagnare e appoggiare.
2) il secondo obiettivo è rivolto ai singoli: data la situazione attuale, che è quella che è, vi racconto le storie di chi è riuscito a trovare un proprio posto nel mercato del lavoro, perché forse vi possono suggerire qualcosa su come cavarvela anche voi, quali errori evitare, su cosa puntare. Non è facile, ma i singoli si devono pur "salvare" . Non hanno il tempo di aspettare palingenesi di là da venire.

giovedì 8 novembre 2007

NEI PANNI DI UN IMPRENDITORE






Voglio approfittare della palla alzata da Max Cosmico su imprenditori e produttività, per segnalarvi il blog di un imprenditore che ci segue da un po' e che secondo me scrive cose interessanti. ..A lui sembrano più che normali , ma è questione di punti di vista! Siccome è importante mettersi qualche volta nei panni di chi è dall'altra parte della barricata, vi invito a leggere questo post, dal titolo "PESI E SPALLE" , sul blog "l'imprenditore":
"Fare l'imprenditore è un bel lavoro. Si fa solo se è una passione, visto che..... "



Chi ha voglia e tempo, si legga il libro di un collega giornalista, che a un certo punto si era messo in testa di aprire una piccolissima attività commerciale: Luigi Furini "Volevo solo vendere la pizza", Garzanti. E' molto divertente...!


mercoledì 7 novembre 2007

I MASTER SERVONO VERAMENTE?






Spesso si sente dire: ho un master, io! Il mio amico Max Cosmico, nel suo "Mille euro blues" canta: "Ho una laurea e un Mba (Master in Business Administration)" Eppure, non sempre chi lo dice è molto soddisfatto dei risultati di questi master. Perché ? Ma allora si potrebbe invece dire che il master non serve a niente? La verità è che non si può generalizzare: come per la laurea, il pezzo di carta, tanto caro a una tradizione italica, non basta. Bisogna vedere la qualità dello studio che si è fatto, dove, con chi, con quali risultati. Le ricerche di Almalaurea sull'utilità occupazionale dei master non danno risultati chiari: a volte, in alcuni settori, il master aumenta le probabilità di lavoro; in altre non fa differenza; in altre ancora si può dire che può essere anche dannoso, perché rimanda ancora di più l'ingresso sul mercato del lavoro.

Sull'inserto di Avvenire di oggi ,"è lavoro", c'è un bell'articolo di Mauro cereda sui "Masterizzati del Sud", dal quale risulta che la maggior parte dei giovani laureati che frequenta master al Nord, proviene dal Sud. Da una parte è una scelta giusta, perché ovviamente chi ha studiato in aree più svantaggiate pensa di fare un buon investimento lavorativo andando al Nord. Ma l'importante, non si finirà mai di dirlo, è valutare l'istituzione che propone il master, i possibili sbocchi occupazionali, capire se ci sono aziende coinvolte (che quindi possono avere interesse ad assumere chi ne esce con buoni risultati). L'articolo conclude: un master ben fatto è garanzia di occupazione".

Ma, aggiungerei, un master mal fatto è peggio che inutile: provoca solo frustrazione, fa spendere soldi e crea aspettative che rischiano di andare deluse.

martedì 6 novembre 2007

CONCORSI E PRECARI NON VANNO D'ACCORDO



Prima di tutto una buona notizia. Vi ricordate di quel lettore che aveva raccontato qui la sua storia di Ivano bibliotecario precario ma felice? Dei suoi anni di volontariato, della sua passione e dedizione per la biblioteca, poi trasformatasi in lavoro...doveva fare finalmente un concorso, ma aveva paura di non farcela. La paura a volte è benefica, perché ci fa dare il meglio di noi stessi: Ivano ce l'ha fatta. Al concorso per assistente bibliotecario è arrivato primo e ora tocca il cielo con un dito. La sua passione è stata ricompensata. E' anche un po' una piccola soddisfazione per me, che in lui avevo creduto.
A proposito di concorsi, ecco il secondo argomento: i precari nelle amministrazioni publiche. Prendersela con loro sembra proprio una cattiveria: non solo sono precari, non solo li pagano poco, in più spesso fanno il lavoro anche per i loro vicini di scrivania (dipendenti pubblici a vita) che a volte lavorano poco, senza rischi per il posto. Eppure...

...eppure anche io come Nicola Rossi (ieri sul Corriere della Sera) e Marco Follini (oggi), credo che non sia per niente giusto assumerli per legge, anzi stabilizzarli, come pudicamente si dice, e come prevede la finanziaria in un articolo abbastanza controverso. Sempre perché ritengo che chi ha una visione politica debba pensare all'equità e al futuro. Altrimenti si pongono le premesse per altre ingiustizie e altre calamità. Si è deciso di assumere a tempo indeterminato un tot di persone nella PA? Si facciano dei concorsi. Si vuole riconoscere il lavoro svolto? Si assegni un punteggio equo a questo lavoro. Ma, per favore, si dia la possibilità a chi viene dopo di loro di trovare delle opportunità, e non solo un muro, cementato dal'assunzione di massa dei vecchi precari.
Poiché noi donne partiamo sempre dalle esperienze personali per conoscere la realtà, vorrei ricordare che già negli anni '70 erano nati i precari dell'università. Erano brillanti laureati che si erano messi a lavorare con i loro professori, senza particolari formalità. Dopo qualche anno, per legalizzare questa massa di lavoro qualificato ma irregolare, furono assunti tutti, ope legis come si diceva allora. Noi giovani che arrivammo subito dopo trovammo l'università "intasata" da questi assistenti (alcuni bravi, altri no) e molti di noi rinunciarono alla carriera universitaria e alla ricerca. La stessa cosa è successa nella scuola. E così si sono stroncati tanti giovani che a 23- 24 anni non chiedevano di meglio che fare un bel concorso e tentare di vincerlo per merito. Ecco perché sono contraria alla "stabilizzazione" dei precari nella PA senza concorso.
Ultima notazione, Epifani, leader della Cgil, è stato contestato da un gruppo di studenti all'università Roma Tre. Gli contestano l'accordo sul welfare, la legge Biagi, un presunto giro di vite nella scuola, tutto. Penso che la maggioranza degli studenti dovrebbe apprezzare i tentati di mediazione di Epifani, oppure contestarlo per motivi esattamente opposti. Nel proprio interesse.

lunedì 5 novembre 2007

LA SQUADRA ROSA DI VELTRONI? NON HA IL VERO POTERE


La squadra rosa di Veltroni è la grande notizia...o no? Il fatto che nello staff del leader del Pd siano state nominate più donne che uomini è certamente un segnale da salutare con soddisfazione. Una bella notizia, molto "politically correct". Però i big del partito si sono subito affrettati a precisare che chi deciderà veramente sarà la direzione del nuovo partito (secondo tradizione). E, sempre secondo tradizione, in quella direzione entreranno i nomi che contano, tra i quali l'unica donna per ora sembra essere la senatrice Anna Finocchiaro, nome di spicco, ma purtroppo rara avis. Per le donne, insomma, per ora ci sono solo seconde file. Come sempre. Purtroppo, quando si scatena la guerra per il vero potere, le donne sono regolarmente accantonate. Per quanto tempo ancora lo accetteranno, sempre con il sorriso sulle labbra?

sabato 3 novembre 2007

GIOVANI E LAVORO, COSA HA VERAMENTE DETTO DRAGHI





A mente fredda, dopo qualche giorno, vorrei tornare su quello che ha detto Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia. Mi spingono a farlo varie cose:


1) l'incredulità di fronte a quello che hanno, che abbiamo, riportato sui giornali;

2) la lettura del testo integrale del governatore;

3) la lettura di un bell'articolo sul Riformista .
Allora, in primo luogo, i giornali hanno titolato sostanzialmente sui salari ("troppo bassi in Italia rispetto al resto d'Europa") e sui giovani ("il loro problema è la precarietà"). Mi sembrava strano che Draghi avesse detto delle cose del genere, con quel significato che gli è stato attribuito, e cioé: i salari vanno alzati; e i lavori precari devono trasformarsi in lavori non precari...
In secondo luogo, leggendo il testo si capiscono varie cose: primo che Draghi è non solo un grandissimo esperto, ma che ha anche una capacità divulgativa fantastica. E si tira un sospiro di sollievo.
In terzo luogo, sul Riformista di martedì 30 ottobre Gustavo Piga ha scritto un articolo di sintesi estremamente efficace, oltre che indignato. Ha sottolineato alcuni passaggi della relazione di Draghi, come quello che dice che dal '92 a oggi, i consumi pro-capite degli italiani sono cresciuti (come ognuno dotato di memoria può testimoniare) ma meno dei loro redditi. E negli ultimi tempi i consumi sono stagnanti.Piga alla fine suggerisce a Draghi (anzi , più delicatamente dice a via Nazionale), di contattare direttamente il popolo dei blog (!). Forse così sarà capito meglio.
Quanto ai giovani e al lavoro, continua l'articolo, Draghi ha riportato le cifre che chiunque si occupi di questi temi, conosce: dagli anni '90 in Italia l'occupazione è aumentata più che in altri paesi europei, e la disoccupazione è diminuita (anche se l'occupazione totale è ancora al di sotto degli obiettivi).
Leggiamo il testo direttamente: "Il tasso di occupazione delle persone di età compresa tra i 25 e i 35 anni è aumentato di circa cinque punti percentuali. Tuttavia, a opportunità di impiego decisamente maggiori (sic) di quelle offerte, alla stessa età, alle generazioni precedenti, si è accompagnata una sensibile riduzione dei salari d'ingresso".

Poi Draghi parla di discontinuità e imprevedibilità dell'esperienza lavorativa dei giovani, enormemente aumentata rispetto al passato, e questo costituisce un freno alla spesa e quindi ai consumi.

Ma qual è il punto? Il punto è che, per far cresce stabilmente il reddito, "la produttività è la variabile chiave". .Non ce ne sono altre.

Continua Draghi: "Le giovani generazioni guadagnano meno delle precedenti perché la loro produttività è meno adeguata al paradigma tecnologico corrente di quanto non lo fosse la produttività delle generazioni entrate nel mercato del lavoro nei decenni passati al vecchio paradigma. Riportare la produttività su un sentiero rapidamente ascendente risolve il problema di offerta dell'economia italiana, consente aumenti retributivi, rafforza la domanda interna."

Ciò detto, un governatore della Banca d'Italia si poteva fermare. Draghi invece va avanti e segnala tre punti d'intervento:

1) l'istruzione

2) strumenti per ripartire equamente i costi derivanti dalla maggiore flessibilità (flexicurity?)

3) innalzamento dell'età effettiva di pensionamento

Infine Draghi conclude così:

"Destinatari e protagonisti di questo processo sono in particolare i giovani. La politica economica avrà successo se li aiuterà a scoprire nella flessibilità la creatività, nell'incertezza l'imprenditorialità".

giovedì 1 novembre 2007

LA SAI L'ULTIMA SULLA LEGGE BIAGI?








Se non fosse tragico. sarebbe veramente comico.... Sulla legge Biagi se ne sono dette tante che sfido qualunque giovane di media cultura, qualunque cittadino non particolarmente esperto, a capirci qualcosa. Dopo le Iene, Grillo, parole in libertà e comici assortiti, si potrebbe fare una rubrica umoristica della serie "la sai l'ultima sulla legge Biagi?"
Le ultime le racconta Michele Tiraboschi, giuslavorista esperto quanto pochi altri sulla legge e certo poco incline a buttarla a ridere. Potete leggerlo sull'ultimo bollettino Adapt.

Una è che Diliberto, riprendendo un articolo del Manifesto, ha sostenuto che la legge Biagi è stata condannata dall'Ilo, un'agenzia dell'Onu. Addirittura. Tiraboschi, citando invece il verbale dell'Ilo, fa notare che le parole di critica della legge erano di una rappresentanza di sindacalisti italiani, verbalizzati dall'Ilo...! Errore di fatto o manipolazione che sia il risultato uscito sulla stampa (per fortuna in questo caso incredula) è stato che anche l'Onu attaccava la legge...!?
La seconda viene addirittura da Innocenzo Cipolletta, presidente delle Fs, il quale (secondo me in buona fede e con le migliori intenzioni, va detto) sostiene che la premessa della legge va in direzione opposta a quanto previsto nella legge e da Biagi stesso. Anche qui Tiraboschi rileva una contraddizionen e per dimostrarlo non fa che citare il testo. Nel decreto legislativo di attuazione si parla di "disposizioni (...) finalizzate ad aumentare (...) i tassi di occupazione e a promuovere la qualità e la stabilità del lavoro, anche attraverso contratti a contenuto formativo e contratti a orario modulato compatibili con le esigenze delle aziende e le aspirazioni dei lavoratori". Ugualmente nell'articolo uno della legge 30 vera e propria (perchè ciò che viene definito legge Biagi comprende sia una legge delega che un decreto di attuazione e numerosi altri decreti e circolari, vedi Riforma Biagi su Adapt), si parla di "garantire trasparenza del mercato del lavoro (...), di migliorare le capacità di inserimento professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di una prima occupazione". Non si trova contraddizione, né ovviamente niente di tutto ciò di cui la legge è sempre accusata. Anzi, a leggerla, la legge Biagi sembra il manifesto di lotta dei precari.

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