martedì 30 ottobre 2007

CONTRO IL SOFFITTO DI VETRO





Da oggi nasce un mio nuovo blog, "Soffitto di vetro" sul sito del Messaggero.it

Il "soffitto di vetro" è la metafora della barriera invisibile che le donne incontrano nei luoghi di lavoro, quando tentano di salire ai "piani alti". E' stata utilizzata per la prima volta nel 1986 in un articolo sul prestigioso giornale finanziario americano Wall Street Journal. Da allora si è diffusa in tutto il mondo ed è stata utilizzata molto anche in Italia: in particolare due libri analizzano il problema delle donne al potere e del soffitto di vetro (Soffitto di vetro e dintorni. Management al femminile, di Maria Cristina Bombelli, e Oltre il soffitto di vetro, di Linda Austin) .Utilizzerò questa immagine per parlare di donne e lavoro, ma non solo. Si parlerà anche di giovani. Anche loro, infatti, vivono la loro condizione di nuovi arrivati sul mercato del lavoro, di precari, di paria della società, di bamboccioni (come si dice ora), esattamente con lo stesso stato d'animo: come se davanti a loro ci fosse una barriera invisibile e invalicabile. Il problema è come affrontarla. E su questo forse non siamo tutti d'accordo.

lunedì 29 ottobre 2007

IL ROSA SHOKKING SI ADDICE ALLE PRECARIE



Un libro delizioso, che si vorrebbe fosse tutto vero! "Voglio un mondo rosa shokking" di Rossella Canevari e Virginia Fiume (Newton Compton editori) racconta le vicende di due sorelle e delle loro amiche e famiglie, in una società complicata, tra lavoro, fidanzati, aspettative grandisoe e aspettative deluse. Dal mio punto di vista è particolarmente divertente la vicenda dei lavori a termine, delle offerte "che non si possono rifiutare", ma anche di una maternità da single, con tutti i dilemmi che ne seguono. Insomma, un libro moderno, per il quale le autrici si sono fatte ispirare dalla realtà, e che può dare ispirazione a chi si trova in situazioni analoghe. Poi, sulla scrittura si può dire che in qualche punto avrebbe potuto essere un po' più rifinta, ma sono sottigliezze barbose. Il linguaggio è diretto e moderno, si fa leggere. E finalmente non si tratta di una storia pessimista e distruttiva. Anzi, fa capire quante opportunità si possono presentare in una vita più o meno normale, anche con la flessibilità. E' un privilegio che non tutte le generazioni hanno avuto, godetevelo, visto che ne avete anche alcuni svantaggi. Infine: occhio al personaggio della nonna, e non dico altro!

sabato 27 ottobre 2007

COSA FRENA LE DONNE AL LAVORO



Al convegno di ieri su donne ed equiparazione dell'età pensionabile (Proteggimi di meno e includimi più) Giulia Bongiorno, avvocato formidabile, ha raccontato questa storia: "Nel corso di uno dei tanti colloqui che faccio per assumere collaboratori per il mio studio (che non riesco mai a trovare, per cui siamo sempre a corto di organico...) ho conosciuto una giovane avvocatessa, bravissima. Dov'è il trucco, mi sono detta? Come mai una persona così in gamba ancora non ha un lavoro? Dopo le mie insistenze la brava avvocatessa ha ammesso il suo problema: ha un figlio piccolo. In uno studio sommerso di lavoro, ovviamente, una dipendente che si deve assentare per il bambino piccolo, malattie e vari piccoli imprevisti, può essere un problema, questa è la verità. Io l'ho assunta e poi ho telefonato alla banca dove lavora il marito, dicendo: io vorrei assumere questa persona, però voi mi dovete garantire che concederete anche al marito di assentarsi per le malattie del figlio, così da dividere l'onere tra me e voi. Altrimenti sarete responsabili della mancata assunzione di questa avvocatessa".

L'avvocato Giulia Bongiorno ha così, in questo aneddoto, efficacemente riassunto alcuni dei problemi delle donne e del lavoro: i costi per le piccole aziende, la condivisione con gli uomini, il supporto sociale, i pregiudizi. Tutto ciò si lega anche alle questioni più generali del mercato del lavoro e dei bassi stipendi per i giovani (e per le donne ancora di più) di cui ha parlato mirabilmente il luminoso Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia.

venerdì 26 ottobre 2007

DONNE: PIU' LAVORO, PIU' LIBERTA'


AGGIUNTO LINK
per ascoltare il convegno



Oggi si discute di donne e welfare in un convegno organizzato dai radicali e dal gruppo welfare to work: "Proteggimi di meno e includimi di più". Si discute di equiparazione dell'età pensionabile per le donne, ma anche di tutto ciò che servirebbe alle donne per lavorare meglio e di più: asili nido, meno tasse, orari più flessibili...che poi servirebbe a tutti, anche agli uomini, per una migliore qualità della vita. Ne avevo già cominciato a parlare in un precedente post e poi nella trasmissione a radio radicale, che potete ascolatare qui accanto.
Al convegno di oggi ci saranno Emma Bonino,, Rita Bernardini, Valeria Manieri, Cinzia Dato, Maria Teresa Amorosino, Maria Leddi Maiola, Margherita Boniver, Donatella Poretti, Fiorella Kostoris, Natale Forlani, Giulia Bongiorno, Benedetto della Vedova, Marco Pannella, Natale D'Amico, Alessandra D'Amico. Modera Angela Padrone. QUI POTETE ADERIRE ALL'APPELLO. Qui c'è il BLOG IN PANCHINA VACCI TU

giovedì 25 ottobre 2007

FLESSIBILI MA "IN SICUREZZA" IN EUROPA


Come essere precari e contenti? In tanti me lo chiedono, increduli. A parte che il titolo del libro era solo un modo per dire "sveglia, usciamo dai luoghi comuni", il senso del mio lavoro è duplice: da una parte invitare i giovani, singolarmente, a non arrendersi, e a studiare tutte le strade per "salvarsi", trovando un proprio posto nel mondo. Per questo racconto delle storie che possono essere da esempio, da stimolo, che possono dare delle idee. Dall'altra parte, i giovani devono fare un lavoro collettivo: premere perché la loro flessibilità sia ripagata con delle tutele, come in altri paesi, anche più "flessibili" di noi. Per questo si legga il dossier del centro Marco Biagi sulla flexicurity, parola chiave per fare in modo che la flessibilità non sia precariato. In particolare raccomando la lettura delle schede su paesi che si sono già avviati ampiamente sul terreno della flexicurity: dalla Spagna (che ha il 34% di lavoratori a termine, contro il nostro 13%), alla Danimarca, a Irlanda, Olanda, Spagna, Austria. Credo che la discussione dovrebbe partire da questi esempi.

martedì 23 ottobre 2007

UNA COMPLESSITA' IRRIDUCIBILE



Sono stati due dibattiti molto diversi, con pubblico e relatori di culture e background che più lontani non si può, eppure io vedo che le conclusioni convergono, che ci si appelli a Marx o a San Precario.

Lunedì si trattava di un gruppo di persone e di un pubblico molto orientato a sinistra. Una sinistra storica, che affonda le proprie radici nell'operaismo di Mario Tronti, nel Pci da cui viene Aldo Tortorella, nel femminismo della differenza di Ida Dominijanni (giornalista del Manifesto), nel gruppo di Magistratura Democratica di Papi Bronzini, e poi nella storia di Sergio Bologna, docente di storia del movimento operaio a Padova negli anni '70, e autore di "Lavoro autonomo di seconda generazione" e di quest'ultima fatica "Ceti medi senza futuro?" Ognuno dei relatori ovviamente ha svolto un discorso profondo e articolato, quale ormai nei dibattitti non siamo più neanche abituati a sentire: Tronti ha perfino citato i Grundrisse di Marx. Il senso generale però ha girato intorno a un concetto: il mercato del lavoro è diventato più complesso. Non si può più parlare solo di lavoro ma di "lavori" e quei lavori non si possono ridurre tutti al paradigma del lavoro dipendente a tempo indeterminato. Il lavoratore autonomo che non ha un contratto da lavoratore dipendente (e spesso neanche lo vuole, perché così sceglie la propria libertà) è una realtà crescente in tutti i paesi occidentali, negli Usa si parla di un 30% dei lavoratori (che da noi sono in realtà spesso classificati come micro imprese perché hanno la partita Iva). In questo caso, è evidente, non si può tutelare un posto di lavoro, ma si deve tutelare il lavoratore. Il punto è come. La riorganizzazione del welfare sembra l'unica strada. Purtroppo noi stiamo ancora a preoccuparci dello "scalone".



Secondo dibattito, stamattina: il mondo del lavoro che cambia inquieta anche gli studenti della Luiss, che infatti sono venuti in parecchi, anche se in teoria avranno meno problemi di altri. E se Fabrizio Buratto ha fatto di tutto per impersonare il personaggio di giovane precario "scontento", sono sicura che molti di quegli studenti invidiavano la sua posizione di scrittore e di autore televisivo: lui stesso ha spiegato che ha seguito un proprio "demone" evitando giurisprudenza e dedicandosi a studi più "precarizzanti". Quindi il suo risultato è tutto sommato egregio. Strepitoso è stato l'intervento di Pier Luigi Celli, che ha raccontato di quando da ragazzo lavorava come "stradino", e metteva i cubetti di porfido nelle strade per mantenersi agli studi; ha raccontato di quante persone nella sua vita ha dovuto licenziare, di quanti ha assunto; ha parlato della molteplicità di identità di ognuno, dei diversi lavori che affronteremo nella vita, di come niente sia mai lineare, cristallino: bisogna sporcarsi le mani. Il professor Roberto Pessi, preside di Giurisprudenza, con ironia ha ricordato la complessità del sistema produttivo, la difficoltà di un mercato (quello italiano) che non cresce, dove la produttività è praticamente ferma da tempo. E ha detto una semplice verità, che tutti noi continuiamo a ripetere: sarebbe bello se ci fosse lavoro a tempo indeterminato e garantito per tutti, ma la nostra società non lo produce, allora che fare?


Due sono le cose da fare: primo, riuscire a cavarcela come individui, con tutte le cose che scrivo nel libro; secondo: individuare degli obiettivi a livello collettivo, come ha detto molto bene il professore Michel Martone. Perché questa generazione riesce ad avere così poco? Perché non si batte per i propri diritti, per i famosi sussidi, ammortizzatori sociali ecc, e lascia che invece venga abolito lo scalone (per i 58enni?) Perché è vittima di un egoismo generazionale, ha detto Martone, che vede in giro troppa sonnolenza tra i giovani. I lettori di questo blog sanno bene di che si parla: con i 7 miliardi che servono per finanziare l'abolizione dello scalone, moltissimo si sarebbe potuto fare per i i giovani "precari" di oggi e di domani. Ma lo stesso tentativo che io ho fatto di sollevare un po' di rumore su questo, ricordate che è stato accolto tiepidamente. Difficile poi lamentarsi.
Nessuna delle persone con cui ho discusso in questi giorni ha pronunciato la frase "no al precariato", perché ovvia e inutile. Molto ci siamo invece arrovellati sul come.



domenica 21 ottobre 2007

APPUNTAMENTI PER DOMANI E MARTEDI'

Settimana di appuntamenti a Roma:
LUNEDI' 22, ORE 15,30 "Ceti medi senza futuro?" Se ne discute in via Santa Chiara 4/a

MARTEDI' 23, ORE 11,30 "Precari e contenti" Se ne discute alla Luiss, aula Nocco in via Parenzo, 11






Allora il dibattito che modererò domani pomeriggio è su un libro interessante, che raccoglie le analisi di uno studioso del mondo del lavoro e che è rivolto in particolare al mondo del lavoro autonomo contemporaneo, quello che lui chiama "di seconda generazione". Si tratta del libro "Ceti medi senza uturo" di Sergio Bologna, edizioni DeriveApprodi. Perché dietro l'espressione "lavoro autonomo" in effetti, c'è un intero mondo, poco conosciuto e poco discusso e troppo spesso misurato solo con il metro del lavoro dipendente, sbagliando. Un mondo che mischia flessibilità subita, flessibilità scelta e una sorta di imprenditoria in scala ridotta. Tutto ciò in un panorama che è quello dell'organizzazione del lavoro moderna "post fordista". Insomma c'è da scoprire molto, per chi vuole capire cosa sta succedendo veramente nel mercato italiano e non solo. Appuntamento alle 15,30 presso l'ex Hotel Bologna-Senato della Repubblica, in via di Santa Chiara 4/a, Roma. Partecipano alla discussione, oltre all'autore, Papi Bronzini, Klaus Neundlinger, Ida Dominijanni, Aldo Tortorella, Mario Tronti. Modera: Angela Padrone .








Martedì mattina invece, sotto esame ci sarà il mio libro, Precari e contenti, Marsilio editore. Un tentativo, come molti ormai sanno, di guardare al mondo del lavoro dei giovani uscendo dai luoghi comuni e cercando piuttosto la chiave per trovare la propria, difficile, strada nel lavoro. Nell'aula Nocco della Luiss, via Parenzo 11, ne discuteranno Pier Luigi Celli, Michel Martone, Fabrizio Buratto, Roberto Pessi e la sottoscritta.

sabato 20 ottobre 2007

RIFORMISTI UNITI NELLA LOTTA...O NO?







Una giornata dedicata al lavoro dei giovani, ma di giovani se ne sono visti pochi. In compenso si sono viste e sentite cose degne di una commedia di Shakespeare: peccato che i protagonisti facciano finta di non rendersene conto.

Cominciamo dal pomeriggio: come previsto, un sacco di gente ha sfilato per Roma per dire "basta alla precarietà". Non poteva accadere niente di diverso: è come quando si chiede a qualcuno se preferisce il tempo bello o il tempo brutto, la povertà alla ricchezza: ovvio che la precarietà, nel suo senso peggiore, non piaccia. Ma come affrontarla? In piazza il tema è di difficile analisi. Il diritto del lavoro, l'innovazione nel mercato, ecc, si prestano poco alla soluzione tramite slogan.

Invece, la mattina, se ne è parlato approfonditamente, con esperti e politici, sia di destra che di sinistra al convegno "Dare valore al lavoro". E tutti sono arrivati alla conclusione che per combattere il senso di precarietà bisognerebbe assolutamente completare la legge Biagi, lasciata a metà, con ammortizzatori sociali (che significa sussidi e formazione), investimenti, innovazione, e poi affrontare alcuni nodi che riducano la dualità del mercato del lavoro. Insomma, riforme che modernizzino un mercato asfittico, quello che Biagi per primo definiva "il peggior mercato del lavoro d'Europa".
Purtroppo, mi dicono che alla manifestazione di Roma c'erano tutte persone di una certa età, quindi lavoratori e forse perfino pensionati, mobilitati evidentemente dalle organizzazioni tradizionali della sinistra. Il problema del lavoro e della flessibilità, invece, ricade quasi tutta sui giovani.
Anche al convegno di stamattina al Capranica di Roma l'età media era molto alta e c'erano pochissime donne (meno male che una mia amica ha portato la figlia di due anni: ha abbassato la media!). Purtroppo gli interessati, quindi, non erano nel pubblico.
A un certo punto, mentre sul palco si analizzavano le leggi del lavoro, si è materializzato un gruppetto con uno striscione che diceva: "Siamo così giovani che non possiamo aspettare", slogan carino ma dal significato oscuro. L'aspetto surreale era che questi ragazzi, che si professavano di Rifondazione Comunista, e che sono stati espulsi dalla sala in quattro e quattr'otto, rappresentavano (oggettivamente) una componente di governo, lo stesso governo che ha approvato il pacchetto del welfare, che loro criticavano. Viceversa, in sala, il pacchetto welfare veniva difeso da rappresentanti dell'opposizione che, a loro volta, si trovavano meravigliosamente d'accordo, con altri esponenti di quello stesso governo. Insomma, una commedia degli equivoci.
In sala c'era Gianni De Michelis, ex ministro socialista di grande intelligenza politica (anche se si è sempre attirato molte critiche) che diceva caustico: "Ma se i riformisti di destra e di sinistra si ritrovano d'accordo, perché allora non governano insieme? Che ipocrisia è questa?". L'amara conclusione di molti in sala era che, purtroppo, il riformismo in Italia non ha mai avuto molto successo . Da noi hanno sempre prevalso le ideologie più "forti" anche se, secondo me, meno ancorate alla realtà. Agli italiani piace così.

Eppure sarebbe stato bello se la giornata di oggi avesse potuto segnare l'inizio di un dialogo sulla legge Biagi tra chi la contesta e chi la difende. In fondo oso sostenere (vedi "Legge Biagi, l'ora del dialogo" sul Messaggero)che sembrano volere entrambi la stessa cosa: il benessere dei lavoratori e dell'economia di questo zoppicante paese. O no?

venerdì 19 ottobre 2007

IL LAVORO, TRA OPPORTUNITA' E ZAVORRA




AGGIORNATO

E' il giorno delle manifestazioni pro e contro la legge Biagi. Forse potevamo risparmiarci queste contrapposizioni. Il mio auspicio è che non esasperino gli animi, ma servano perché i due schieramentI si ascoltino. E' possibile?
Al Capranica ci sarà il convegno organizzato dal Comitato per la legge Biagi con grande entusiasmo. Il titolo è "Dare valore al lavoro". Qui si può trovare il programma.


Intanto parliamo di stipendi. Oggi siamo tutti un po' più poveri? Siamo più poveri perché precari? Ci sentiamo più poveri perché abbiamo aspettative e necessità sempre un po' più elevate? Queste sono in fondo le domande di questi tempi, alle quali spesso cerchiamo di rispondere. Diciamo che spesso stipendi bassi e lavoro temporaneo non hanno una relazione così stretta: la differenza tra gli stipendi più bassi e quelli più alti è aumentata in tutto il mondo negli ultimi decenni. Nessun governo democratico ha ancora trovato una soluzione a questo. Si può trovare una carrellata di buste paga-tipo e un'analisi di questi temi nell'articolo di Emilio Marrese sul Venerdì di oggi. Il discorso si dipana con l'ausilio di Giuseppe Roma, del Censis, il quale giustamente sottolinea l'importanza delle percezioni, delle sensazioni che si fanno spesso più pesanti delle cifre in sé e per sé. Marrese ha anche avuto la bontà di chiedermi , in questo contesto, che senso ha la mia ricerca sui giovani e il lavoro e gli ho risposto che le mie storie possono servire in qualche modo da guida a chi cerca lavoro. Esempi, esperienze, anche errori di altri, spesso possono far scattare la lampadina in chi sta ancora cercando la propria strada. A patto di non arrendersi prima di cominciare. A patto di non fare errori clamorosi, che invece in tanti fanno. Insomma, se la flessibilità non sempre è "buona", l'importante comunque è cercare di sfruttarla, di cogliere le occasioni. Perché comunque ci sono. La colpa delle cose che non funzionano in questo mercato? Non certo della legge Biagi. Roma la sintetizza così: "La colpa è del sistema complesso e zavorrato, che non distingue chi merita tutela. L'Italia non produce perché non si modernizza". Condivido.

giovedì 18 ottobre 2007

IL 5 PER MILLE ALLA RICERCA: PUNTIAMO SUL FUTURO


Quante volte abbiamo detto che le imprese italiane puntano troppo poco sulla ricerca, che la ricerca in Italia non è abbastanza finanziata, che senza ricerca non c'è sviluppo, non si può investire sul talento, sul merito, e così via? Ecco ora un'occasione per fare qualcosa: è stata lanciata una petizione per assicurare il finanziamento alla ricerca attraverso la stabilizzazione del famoso "5 per mille" che è stato introdotto nella finanziaria nel 2006. Scienziati, ricercatori e persone impegnate nel mondo dell'innovazione chiedono che il cinque per mille resti e non abbia tetti, non abbia limiti. Che gli italiani possano donare quella piccola quota del loro reddito alla ricerca, che possano investire sul futuro!. Potete leggere il pezzo di Gianluca Salvatori, promotore dell'iniziativa, sul Sole 24 ORE di oggi. E potete aderire andando sul suo blog, Der Zauberberg (ah, un giorno parleremo di questo libro....) o sul sito della petizione.

mercoledì 17 ottobre 2007

FORZA RAGAZZE, FORZA

Tornando in treno da Milano oggi ho incontrato tre ragazze interessanti: come prima impressione sembravano studentesse, però non proprio giovanissime. Poi ho sentito che parlavano di lavoro e non di cazzeggio soltanto. Infine ho sentito nominare bambini e baby sitter. E lì sono scattati i primi sguardi di solidarietà: tutte cercavamo di telefonare alle rispettive baby sitter, frustrate dalle continue gallerie che facevano cadere la linea. Per farla breve erano tre ricercatrici, assegniste per la precisione, che si occupano di ricerche statistiche legate all'economia all'università di Bologna. Una ha raccontato che quando si era dedicata a fare la mamma per un anno, una volta si beccò il rimprovero di una bambina di tre anni che voleva assolutamente sapere che lavoro facesse...alla sua risposta "faccio la mamma" si mise a gridare che non voleva essere presa in giro, perché fare la mamma non è un lavoro.




Un'altra è incinta ora e già sta preparandosi a vivere tre mesi senza assegno. La terza invece ha un figlio di due anni, lavora a due ore da casa, e in più svolge anche altre attività di impegno sociale e politico. Ovviamente abbiamo parlato di precari, di flessibilità, di lavoro a termine. Ormai non c'è posto dove non si parli di questo. Ho anche detto che in fondo loro hanno degli strumenti che non molto tempo fa all'università non c'erano. Però ci siamo guardate (me compresa, che appena scesa dal treno sono corsa a una riunione del gruppo scout di mia figlia) e non abbiamo potuto fare a meno di pensare quanto è dura. E' dura fare tutto, in una organizzazione sociale e del lavoro ancora così ibrida, così lacerata tra ciò che era e ciò che (speriamo) sarà. Intanto però, sempre di più sono quelle che ci provano e ce la fanno. E lo dice anche la voce.info che pubblica un articolo su un lieve segnale di ripresa della natalità: si cominciano a fare un po' più figli proprio in quelle regioni dove le donne lavorano di più. Per la prima volta abbiamo forse intercettato la "corrente" europea. Speriamo che tenga. ...Forza e coraggio




ps: sul Foglio di oggi c'è la ripresa di un grande servizio di Newsweek sulle donne di potere di oggi e del passato. Molto belli entrambi i servizi, sia quello di Newsweek che quello, un po' muscolare, del Foglio, intitolato, magnificamente, "Femmine di potere". Forza ragazze, forza

domenica 14 ottobre 2007

UN 3% CHE FA PENSARE



LINK AGGIORNATI

In fondo abbiamo tirato un sospiro di sollievo: con l'accordo sul welfare chi si trova nella cosiddetta "trappola della precarietà", avrà finalmente delle prospettive migliori... abbiamo pensato, no? Bé, la Fondazione Marco Biagi ha fatto una stima delle persone che saranno interessate al limite di 36 mesi, oltre il quale il contratto a termine può essere rinnovato solo una volta e alla presenza delle rappresentanze sindacali: sarebbe circa il 3% dei lavoratori a tempo determinato. Il 3%.

E' molto poco. E di questi, dice Michele Tiraboschi sul Messaggero di oggi, la stragrande maggioranza avrebbero tutto l'interesse a continuare ad avere il contratto. Perché lavorano in aziende di servizi o del turismo, spesso aziende stagionali, con le quali lavorano da anni, proprio in virtù dellla loro competenza e del rapporto di fiducia che si è creato. Queste persone ora hanno buone probabilità di finire in nero....


Leggete sul Bollettino Adapt di oggi tutte le riflessioni di Tiraboschi. Ma la domanda che viene spontanea è una: perché su un argomento del genere si va avanti per sensazioni, per bandiere, per pregiudizi invece che in base a dati di fatto? Certo, è molto bello dire che si è fatto un passo avanti per ridurre il senso di precarietà, ma se il risultato è quasi irrilevante, e forse nagativo (per non parlare del famigerato scalone abolito dall'accordo), la sensazione di rabbia è inevitabile.

Si parlerà anche di questi temi nell'incontro di domani a Milano alla libreria Egea della Bocconi (vedi locandina qui sopra).

sabato 13 ottobre 2007

L'ACCORDO SU LAVORO E PENSIONI

E così, tra scaloni aboliti, lavoro a chiamata e contratti a termine, si è accesa una nuova fiammata di caos. Tanto per alimentare le contrapposizioni in vista del 20 ottobre (in programma due manifestazioni opposte pro e contro la legge Biagi), che sembravano quasi essere state disinnescate. Io spero che gli animi si plachino, perché da questo muro contro muro nessuno ha da guadagnare .

Probabilmente si toccheranno anche questi temi martedì prossimo a Milano alla presentazione di Precari e contenti (qui sopra l'invito)

venerdì 12 ottobre 2007

"AIUTO, SALVATEMI DAL POSTO FISSO"

AGGIORNATO

Piccola avvertenza: questo post non è destinato al pubblico dei precari, a meno che non siano di stomaco particolarmente forte come Max Cosmico. Il post è destinato a un pubblico di ingrigiti lavoratori a tempo indeterminato.

"La chiamano l'era dell'accesso: basterebbe avere le chiavi per entrare in un nuovo mondo di possibilità. Nessuna proprietà. Nessun legame con le città. Matrimoni che passano di moda. Ma, un momento: perché in questo panorama in cui tutto si modifica nessuno dice che anche il posto fisso dovrebbe avere i minuti contati? Certo si parla di flessibilità ma anche le imprese si sono affrettate a dire che non vogliono un mondo precario....Con il risultato che siamo insoddisfatti prima perché vogliamo essere assunti. E siamo insoddisfatti dopo perché lo siamo stati".


Questo è uno dei passaggi di un libro che consiglio: "Come salvarsi dal posto fisso", edizioni Il Filo, 10 euro, di Massimo Sideri, giovane giornalista del Corriere della Sera. Massimo la settimana prossima modererà a Milano un tavola rotonda durante la quale si parlerà del mio libro ma soprattutto della flessibilità (martedì 16 ottobre, Libreria Egea, via Bocconi 8, ore 18. Ci saranno anche due notissimi giuslavoristi, Michele Tiraboschi e Stefano Liebman, e due giovani scrittori, Alessandro Rimassa e Antonio Incorvaia, autori di Generazione Mille euro). Quello che Sideri ha scritto è un pamphlet dagli intenti provocatori, il cui sottotitolo è una perla: "Elogio del precariato a uso degli assunti a tempo indeterminato". A ben guardare non è un libro "serioso" sul lavoro o sul mondo del lavoro, ma un'opera filosofica e ironica, che però colpisce molto seriamente.

Per prima cosa Massimo mette le mani avanti: i precari si arrabbieranno. Certo, perché tutti quelli che soffrono per un lavoro poco sicuro potrebbero anche sentirsi presi in giro da chi, con il sedere al caldo, dice: beati voi. Eppure il tema è profondo e potrebbe riguardare non due o tre milioni di precari, ma oltre 20 milioni di lavoratori a tempo indeterminato in Italia!


Per capire subito di che si parla leggiamo la scena madre del libro: "Provate ad immaginare un ring dove si affrontano nel match del secolo un precario e un contratto a tempo indeterminato. Gli allibratori sono al lavoro, le scommesse si stanno per chiudere. Il precario è stanco, ha dormito in una topaia di quinta categoria, il secondo al suo angolo non ha una bella cera e gli fuma una sigaretta in faccia. E' magro, ma più perché non ha mangiato che per la forma fisica. Sui book è dato 7 a 1. La quotazione di un brocco. Ultimi secondi. Dobbiamo scommettere i nostri risparmi. Su chi puntare?" Bè, nelle pagine successive, passando per le scimmie, esperimenti scientifici sul cervello, incursioni nella storia dell'economia e nelle vite di precari celebri, Massimo ce lo svelerà, anche se potete immaginarlo. Lui, trentenne, con un buon lavoro, rimpiange la sua "forza" di quando era precario. Io spesso dico ai miei amici precari: ma il precariato ti ha dato delle grandi opportunità, no? La forza di tirare fuori il meglio di te, i tuoi sogni accantonati....Per esempio lo dico sempre a Max Cosmico, ad Arnald e l'ho detto qualche giorno fa anche ad Andrea Bajani, che l'ha preso per un tranello. Invece c'è del vero. Dice Sideri: "Se fossi riuscito a trascinare nel posto fisso tutte le energie, le aspirazioni, il coraggio e la fantasia che avevo negli anni bui dei contratti a tempo determinato, in due parole il pensiero precario, potrei dirmi felice. Eppure non è stato così. E sono sicuro che anche a voi è successa più o meno la stessa cosa. Inoltre la condizione ottimale per la società, quella di un mondo fatto esclusivamente di precari, sembra lontana dal venire. Tra noi e questo paradiso terrestre si porranno mille ostacoli e resistenze insospettabili...."


Insomma, c'è da divertirsi e da pensare. In fondo è come quando alla fine delle favole i protagonisti si sposano: cosa sarà di quel loro amore appassionato, nel grigio tran tran del matrimonio?

mercoledì 10 ottobre 2007

"IO, BIBLIOTECARIO..."



Ecco un'altra storia di lotta dura per il posto di lavoro. Come altre, credo che possa dare degli spunti a chi è incerto sul proprio futuro. Il settore dei beni culturali, certo, non è dei più facili (peccato perché dove meglio che in Italia, il paese con la metà del patrimonio culturale del mondo?!). Nella foto la biblioteca di Giacomo Leopardi. Comunque, in bocca al lupo a Ivano.

"Buongiorno, ho finito di leggere il suo libro e volevo farle i complimenti. Leggere le storie di miei coetanei motivati e "tosti" che alla fine ce l'hanno fatta mi ha fatto molto piacere. Sono anche io un "precario e contento". Ho 27 anni e da 10 ormai lavoro in biblioteca. Il lavoro dei miei sogni. Ho cominciato quando ancora andavo al liceo, a 16 anni, durante i mesi estivi facevo il volontario, non pagato o pagato pochissimo gli ultimi anni, per bontà del direttore che vedeva la passione che infondevo nel mio lavoro. Per me la biblioteca è sempre stata come una seconda casa, tanto che la mia collega la chiamavo scherzosamente Zia. Mi sono laureato in beni culturali a dicembre 2003 e ho subito mandato curricula a destra e a manca, ma si sa che per gli umanisti i posti sono pochissimi. Ho fatto il commesso in un negozio di borse famosissime, ma ho resistito due sole settimane in quel posto di invasate che sapevano a memoria i codici di tutti i prodotti e che andavano in visibilio per i nuovi modelli. Avendo sempre avuto la passione per la cucina e i dolci, avrei voluto fare la scuola alberghiera ma le cose sono andate diversamente, nell'estate del 2004 ho deciso che potevo mettermi in gioco è mi sono proposto come aiuto gelataio, un aiuto gelataio laureato :-) Mi hanno preso in una piccola gelateria e per una stagione ho fatto gelato gelato e ancora gelato... arrivato a settembre però sono rimasto a casa, con una bella esperienza comunque in tasca... nella vita non si sa mai... magari potrei aprire una bella gelateria italiana in una località esotica!Finalmente la svolta: nell'ottobre 2004 al sistema bibliotecario cercavano un catalogatore in sostituzione di una maternità e hanno pensato a me, mi conoscevano per tutto il lavoro che avevo fatto negli anni precedenti in biblioteca. Un anno e mezzo a catalogare, a contatto con le novità editoriali mentre continuavo a studiare. Mi sono infatti iscritto alla laurea specialistica di beni culturali con indirizzo cinema, come sempre per una passione, non tanto per gli sbocchi lavorativi, convinto che nella vita bisogna fare sempre ciò che piace, a costo di sbatterci il muso. E poi il colpo di scena, inaspettato, imprevisto e al tempo stesso triste e felice:la Zia, la mia adorata bibliotecaria, se ne andava, si trasferiva in un'altra provincia e la biblioteca aveva bisogno: hanno ovviamente pensato a me!Contratto co co pro, progetti inesistenti nel senso che facevo il normale lavoro del bibliotecario, ma o così o niente, causa blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione. Rinnovi su rinnovi, di tre mesi in tre mesi, alla fine l'anno scorso il concorso a tempo determinato: l'ho vinto senza problemi, forse non volevano rischiare di perdermi :-) gli altri concorrenti non sapevano nulla di biblioteche e di come farle funzionare. Tra 3settimane ci sarà il concorsone per il posto a tempo indeterminato, 142candidati, un po' mi spaventa... il livello retributivo sarà più basso di quello che ho adesso, decisioni dall'alto, ma non è un problema. I miei non sono molto contenti, ma come sempre mi lasciano fare, sarà che sono figlio unico... I soldi non sono così fondamentali, anche prendere 100 euro al mese in meno ma fare il lavoro dei propri sogni vale la pena... E poi lavoro a 500 metri da casa, non ho spese di trasporto, in estate in bici e in inverno a piedi, mi sveglio alle 8.00 e alle 8.30 sono al lavoro. Tre mattine libere, finisco alle 19.00 di sera, ma se penso a tanti altri che si devono pure sorbire ore di coda in macchina o i ritardi dei treni mi sento un privilegiato... e alla fin fine lo sono, la carriera non sarà eccelsa, al massimo direttore di biblioteca :-) Sto per fossilizzarmi nella pubblica amministrazione, gli stipendi sono un po' da fame, ma le tutele e le garanzie della P.A. sono di gran lunga le migliori in Italia. E come dice la pubblicità, fare il lavoro dei propri sogni non ha prezzo... Saluti e buon lavoro, Ivano"

martedì 9 ottobre 2007

LETTERA A GRILLO, CONTRO SCHIAVI MODERNI





Gentile Beppe Grillo,

sono una giornalista del Messaggero e ho scritto un libro "Precari e contenti", che le ho inviato affinchè lei lo legga se ne ha tempo e voglia. Conosco il suo libro "Schiavi moderni" e non sono d'accordo con la sua impostazione del problema.
Nel suo libro ci sono storie di giovani e meno giovani che raccontano i loro disagi, le loro difficoltà, i loro drammi. Non li sottovaluto, anzi è proprio perché li sento molto vicini che mi sono messa di nuovo le scarpe da cronista e ho scritto il libro che le dicevo. Perché non credo, e lo dico a posteriori, cioè dopo avere consumato un bel paio di suole, che il precariato oggi sia una nuova "peste bubbonica" come lei scrive, tanto meno poi che sia stata introdotta dalla legge Biagi.
Lei, avendo fatto e facendo ancora credo l'attore, avrà sicuramente cominciato nel più precario dei modi, in anni in cui di legge Biagi nessuno aveva neanche un'idea. Sicuramente avrà dovuto sopportare difficoltà e anche, come tutti noi, umiliazioni. Ha fatto la sua gavetta. Ma con la sua bravura fuori dal comune (che le viene riconosciuta) e quel pizzico di fortuna che tutti noi sempre invochiamo, è riuscito più di altri. Come lei sa meglio di me gli attori rimangono, da sempre, precari tutta la vita. Come quelli che vogliono fare gli scrittori, alcuni dei quali, che hanno poi avuto grande successo, hanno sempre avuto l'abitudine di sopravvivere grazie alle cene scroccate agli amici e ai magnati.
Così anche i giornalisti hanno sempre fatto il lavoro nero in redazione e molti sarebbero stati disposti all'inizio anche a pagare, pur di arrivare a toccare una macchina da scrivere. Io, tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, ero tra questi, ma allora gli editori avevano già il terrore degli "abusivi" in redazione, e costringevano i collaboratori a scrivere il loro pezzullo occasionale da casa e poi a portarlo a mano (non esistevano ancora i computer). Ho visto gente fare questa vita per anni, e poi magari non essere assunti. E non esisteva la legge Biagi.
Come lei sa negli anni Ottanta la disoccupazione in Italia era oltre l'11 per cento e tutti noi laureati vivevamo l'incubo della disoccupazione giovanile. Cosa avrei dato allora per un "lavoretto" anche in un call center! Invece, nella fretta di mettere insieme uno stipendio (e in attesa di realizzare le mie più alte ambizioni) lavorai d'estate in una fabbrica in Inghilterra, poi come ragazza alla pari (sempre in Inghilterra), e finii anche a vendere l'Enciclopedia Britannica in Italia. Sa come la vendevamo? Stando in un ufficetto con l'elenco del telefono davanti: telefonavamo a decine di persone il cui nome "ci ispirava". Ogni tanto riuscivamo a strappare telefonicamente un appuntamento e, tra tanti appuntamenti, vendevamo un'enciclopedia...che poi la Britannica non è neanche tanto male. Se non vendevamo niente le nostre giornate di telefonate non valevano neanche un rimborso spese (che non era previsto).
Tanti di noi in quegli anni hanno lavorato anche come abusivi all'università, dove aiutavamo i professori con esami e seminari. Gratis e in nero. Eravamo sfruttati, certo. Io compravo solo libri usati e mai cambi di biancheria. Ma ho passato così uno tra i peridodi più felici della mia vita. Poi ho trovato un lavoro fisso, e ho pianto per mesi perché mi sentivo in gabbia. Sognavo solo di andarmene, anche a costo di lavorare meno e senza garanzie sul futuro. Ci ho messo sei anni (dalla laurea) ad arrivare al Messaggero. Senza raccomandazioni. Ma non ho fatto niente di eccezionale, tutti abbiamo avuto percorsi più o meno tortuosi.
Di tutto ciò parlo nel libro e soprattutto racconto storie di giovani che rappresentano in larga parte degli esempi "positivi". Perché hanno acchiappato, spesso con fatica, le opportunità che ci sono nel mercato del lavoro. Un mercato del lavoro tra i peggiori del mondo occidentale, vorrei dirlo, ripeterlo e sottolinearlo. Ma non per colpa della legge Biagi, che invece ha regolato molte situazioni, e aveva proposto strumenti (in gran parte non attuati) per una maggiore trasparenza e fluidità di un mercato che ha vizi e rigidità antiche. Vogliamo parlare di nepotismo, raccomandazioni, scarsa valorizzazione del merito, del talento? Credo però che rispetto al passato, anche recente, rispetto a 20 anni fa, qualche miglioramento ci sia stato.
La mia personale ambizione sarebbe di contribuire a fare sì che ci possa essere qualche altro miglioramento, qualche opportunità in più, sia per i più bravi (che comunque se la cavano sempre) sia per i meno fortunati. Ecco perché ho scritto quel libro. Ci sono dentro anche tante cose sulle quali qui ovviamente non mi posso dilungare. E non ce ne sono tante altre, che forse avrebbero dovuto esserci, ma che tutti noi trascuriamo, come spiego nella prefazione e anche nelle conclusioni. Perchè allora non ci confrontiamo su queste cose? Perché non legge il libro e mi dice cosa ne pensa?
Distinti saluti
Angela Padrone

domenica 7 ottobre 2007

BAMBOCCIONI, IL PRIMO COLPEVOLE E' LA SCUOLA

AGGIORNATO

Ancora a proposito di bamboccioni... due articoli interessanti che vi segnalo, sul Messaggero e sul Sole 24 Ore di oggi.


Il primo è di Paolo Pombeni "Il merito la sfida civile di un paese che non si arrende". Pombeni punta il dito contro scuola e università, e anche contro il caos dei test truccati all'università, con il loro strascico di ricorsi e contro ricorsi al Tar, che hanno solo l'effetto di arricchire gli avvocati: bisognere accettare "che la selezione attiene all'autonomia dei selezionatori e che poi deve esserci un mercato che condanna inesorabilmente quelli che selezionano al ribasso e truffano la gente. Anche a costo, ovviamente, di infrangere il mito del valore legale dei titoli di studio, della presunta eguaglianza di tutte le sedi istruzione e di ricerca". In questa frase c'è un intero mondo su cui si potrebbe fondare un programma di governo.


L'altro articolo è quello di Francesco Billari e Guido Tabellini "I bamboccioni nascono nelle aule della scuola". Come si intuisce, si va a battere sempre lì. In Italia, sottolineano gli autori, c'è un garnde ritardo nella transizione allo stato adulto. Io, personalmente, credo che questo sia dovuto in parte a fattori storico-culturali. Ma come si può ridurre questo abisso rispetto ad altri paesi (quasi tutti)? Intanto, dicono Billari e Tabellini, la scuola, che da noi o inizia più tardi o dura un anno di più. Poi l'Università. Leggiamo: "L'istruzione semi-gratuita, la possibilità di rinviare gli esami, e soprattutto la qualità scadente di molte facoltà, inducono a vivere l'università come parcheggio o occasione di svago, anziché come investimento sul futuro". Poi si parla di mercato del lavoro, e non posso trascurarlo qui: ""Vi è il ercato del lavoro duale (inamovibilità per gli insider e flessibilità solo per i nuovi assunti) e il sistema di assistenza sociale basato sul capofamiglia (spesa pensionistica elevata e mancanza di sussidi per chi è disoccupato)". Insomma, i bamboccioni hanno qualche giustificazione.
Aggiungo il link al blog di una cara amica, Ladypiterpan, che cita un perfetto e serio (non come i miei che erano semiseri e non sempre chi legge lo capisce...) articolo di Giuliano Cazzola. Non a caso Cazzola è il promotore del Comitato in difesa della legge Biagi

venerdì 5 ottobre 2007

SUMO - SUL RING CON ANDREA BAJANI





Sabato pomeriggio, Radio Due ore 17. Potrete ascoltare una puntata di "Sumo" con un corpo a corpo radiofonico tra me e Andrea Bajani sul precariato. Conduttrice e moderatrice Giovanna Zucconi. Molto brava e simpatica.
Andrea Bajani è l'autore del libro dal titolo "Mi spezzo ma non mi impiego" e nella trasmissione fa la parte di quello che è contro il precariato, io invece sarei a favore... (!?). Ovviamente quello che io dico è semplicemente che la flessibilità è un dato di fatto, che non si può abolire per legge. Dobbiamo quindi cercare di conviverci nel modo migliore possibile, aiutando tutti a cogliere le opportunità e a difendersi dalle avversità. A Bajani ho scherzosamente rimproverato che lui è l'esempio vivente di come la precarietà possa essere un'opportunità, visto che su questo ha costruito il suo piccolo successo. Ma lui, che secondo me rimane un po' troppo attaccato a degli schemi prefabbricati, non ha apprezzato. Il suo libro, d'altra parte, è ben scritto e fa sorridere, ma è pieno di luoghi comuni e situazioni "mitologiche", che neanche Bajani può mai avere vissuto. I suoi "cinquantenni" sembrano usciti da un film anni Cinquanta (invece i cinquantenni di oggi sono cresciuti negli anni Settanta e vivono, incredibile a dirsi, nel presente), nel quale lei "corre in cucina fare il caffè al marito" e la sera "lo accoglie puntualmente, prepara la cena...". Quando poi il marito perde il lavoro "la moglie comincia a fare dei lavoretti per raggranellare un po' di soldi, e alla fine del mese sono sue le entrate maggiori". Oibò. Per fortuna in Italia molte donne ormai lavorano regolarmente (ma ancora poco rispetto al resto d'Europa). Altrove nel suo libro si racconta che i giovani d'oggi non se ne vanno di casa (perché precari ovviamente) mentre "loro, i genitori, se ne sono andati di casa che avevano poco più di 20 anni". E qui c'è da sganasciarsi. Trenta anni fa, per chi non lo sapesse, eravamo alla fine degli anni Settanta, in Italia c'era un'inflazione a due cifre e la legge sull'equo canone (che fece praticamente sparire le case in affitto dal mercato). Io ho cominciato a cercare lavoro all'inizio degli anni Ottanta e la disoccupazione era oltre l'11%. C'era la disoccupazione intellettuale. E nessuno andava via di casa a 20 anni, se non gli operai. Insomma, è divertente descrivere la realtà per luoghi comuni, però non ci fa capire molto di come migliorare le cose.

BAMBOCCIONI DI TUTTA ITALIA, UNITEVI


Tutti contro Padoa-Schioppa: i nostri poveri figli non sono viziati, è che non c'è il lavoro, è che le case non si trovano, è che il mutuo ai precari non lo danno...



Ho conosciuto tanti ragazzi stranieri che sono venuti in Italia per un po' a studiare e lavorare, di solito con due soldi in tasca. Dopo una settimana trovano una stanza in affitto in un appartamento con altri studenti, e ancora prima un posto part time al banco di un pub. Poi si mettono a cercare la scuola e quant'altro. Magari quando li riincontri, un anno dopo, hanno già cambiato casa e lavoro un paio di volte.

E noi? Quando io ero all'università, poiché ero di Roma, vivevo in casa con mamma e papà. L'idea di andare altrove proprio non ci sfiorava, non è che non lo trovassimo. Poi quelli erano gli anni in cui ancora c'era l'equo canone, ed effettivamente l'affitto era una roba da soviet. Gli unici che vivevano da soli erano i "fuorisede", perché costretti. Questo per dire che il blocco culturale è di lunga data.
Guardiamo all'estero, ma non tanto lontano. In Francia i giovani sono viziati quasi quanto i nostri. Eppure a Parigi ho visto gente abitare in posti incredibili. Mi ricordo una volta ero con un gruppo di studenti e decidemmo di andare a bere qualcosa a casa di uno di loro. Ci guidò in un bel palazzo in una zona semicentrale. Caspita, pensai, devono avere parecchi soldi questi... All'interno del palazzo però ci inoltrammo in un'ala nascosta, una specie di scala "di servizio", che si rivelò molto buia e mal messa. In cima a svariati piani di scale strette da fare a piedi (l'ascensore a Parigi non è mai scontato) arrivammo nell'appartamento, dove apparentemente vivevano in due. Le stanze erano così piccole che c'era posto solo per il letto (singolo) e naturalmente il letto fungeva anche da piano d'appoggio per qualunque cosa. Se il ricordo non mi inganna, invece della cucina c'era un fornelletto elettrico nella stessa camera da letto. Ma non è un caso isolato. Poco tempo fa, sempre a Parigi, non frequentavo più studenti, ma persone adulte e inserite. Sono stata a una specie di festa in una casa che, anche in questo caso, si raggiungeva solo inoltrandosi nei meandri del palazzo. Era un locale a piano terra, dotato di ben due stanze, di cui con "angolo cottura". Muri e pavimenti erano in fase di restauro da parte dello stesso padrone di casa...Tra gli invitati alla festa c'erano non clochard, ma giornalisti, giovani funzionari statali e ricercatori. Immagino che anche in Francia non sia molto a portata di mano la spesa per un appartamento elegante, nella stessa zona dei genitori e con il salotto buono. Ma forse a molti neanche interessa tanto...A noi sì, ed ecco perché spesso preferiamo rimanere a casa con mamma e papà, che poi non ce lo fanno neanche pesare: che carini.

giovedì 4 ottobre 2007

RAI NEWS 24




AGGIORNATO CON LINK

Stasera verso le 22 sarò a Rai News 24, a Tempi Dispari (che inizia alle 21,20). E' una tv via satellite e mi dicono che è una bella trasmissione (oddio, dovrei andare dal parrucchiere!? ma non ho tempo!). Parleremo di "Precari e contenti" e quindi..a stasera. :-D. Chi vuole può vederlo anche via Web e commentare qui.

mercoledì 3 ottobre 2007

DONNE DIRIGENTI, MA DOVE...


AGGIORNATO

Uno dei segnali dell'arretratezza del nostro mercato del lavoro (e di tutto il sistema paese) è la scarsa presenza delle donne nel lavoro e, soprattutto, la scarsa presenza nei posti di comando. Troppo comodo utilizzare le donne come bassa forza lavoro e poi osteggiarle più o meno apertamente quando si tratta di ruoli dirigenziali. Purtroppo io ormai sono diventata a favore delle quote rosa, ma se vogliamo dirla tutta dipende soprattutto da noi. Gli uomini non molleranno il potere tanto facilmente e se "concedono" qualcosa è perché nel frattempo non lo vogliono più e hanno deciso di concentrarsi su qualche altro centro di potere. E' di pochi giorni fa un allarme lanciato dall'interno della professione medica, sull'invasione di donne in certi ruoli e in certe specialità tipicamente maschili. L'infermiera donna va bene, magari anche la donna pediatra, ma chirurgo o urologa...apriti cielo!
Tra i dirigenti pubblici non va tanto meglio. Ce lo racconta una ricerca di due docenti della Sda Bocconi, Maria Cucciniello e Laura Macciò (nelle foto). Mentre nel personale non dirigente le donne sono circa la metà dei lavoratori, tra i dirigenti sono solo il 26,5%. Anche tra i dirigenti, poi, più si sale e più si trovano solo maschi. Le donne dirigenti di prima fascia sono solo il 19,3%. .

lunedì 1 ottobre 2007

KEN LOACH E IL PRECARIATO


Ho visto il film di Ken Loach, "In questo mondo libero". Potenza della stampa, del luogo comune e del sentito dire...: mi ero fatta l'idea che fosse un film sul lavoro precario! Ma sono molto contenta di essermi precipitata a vederlo perché è un bel film.


Il lavoro precario non c'entra quasi niente. Si parla invece dello sfruttamento illegale di lavoratori immigrati, a volte clandestini. Lo svolgimento ha molte connotazioni ideologiche...è giusto condannare lo sfruttatore di manodopera illegale, però chiediamoci anche perché quella manodopera c'è. Quei lavoratori vogliono lavorare, a qualsiasi costo. Nella storia c'è per esempio la figura di un immigrato clandestino iraniano, a cui viene rifiutato perfino il lavoro "illegale", perché non ha il passaporto. Ma lui "vuole" lavorare, perché ha una moglie e due figli che vivono in un tugurio gelido. E certo non vuole tornare in Iran dove lo incarcererebbero, lo torturerebbero, lo ucciderebbero.


Ma nella storia c'è Angie. E scusate se un po' mi identifico in una che ha il mio nome (quando avevo 13 anni un ragazzo mi regalò Angie dei Rolling Stones...!), è una mamma single e per lavorare e sopravvivere usa le unghie e i denti. Angie viene licenziata perché non ci sta a farsi mettere una mano sul culo da un superiore. Diciamo che anche questa vicenda è un po' tagliata con l'accetta. Di solito le situazioni sono più ambigue, più sottili, anche più insidiose. Comunque Angie è disoccupata e si inventa un lavoro autonomo, che lei comincia a svolgere con sempre meno scrupoli, fino a ritrovarsi bieca sfruttatrice, e fino a ritrovarsi degli incappucciati in casa che fanno sparire suo figlio per due ore e legano e imbavagliano lei...che se la fa sotto, letteralmente. E con lei anche lo spettatore.

Morale: 1) sul lavoro a volte è difficile superare pregiudizi e prevaricazioni, e si rischia an che di perdere il lavor se non si accettano dei compromessi, ma bisogna provarci; 2)fare incontrare domanda e offerta di lavoro è importante nella nostra società, soprattutto se si vuole dare un'opportunità a tutti. Ma se lo si fa violando le regole, calpestando la dignità umana, rubando e fregando allora tutto ciò va condannato; 3) le due cose non hanno niente a che fare una con l'altra.

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