martedì 29 gennaio 2008

MA SI', CUCINIAMO CON ANDREA





Ignorando i contorcimenti e le tribolazioni sulla crisi di governo e le consultazioni dei partiti, vorrei tornare a proporvi una storia. Nella migliore tradizione dei "precari e contenti" di questo blog.




E' la storia di un cuoco, un giovane professionista della bella Sicilia, che vi farà venire l'acquolina in bocca se andate a fare un giro sul suo blog di ricette "Cuciniamo insieme ad Andrea". Se poi volete invece partecipare ai suoi pensieri e riflessioni potete collegarvi alla "Stanza dello scirocco", un nome che è tutto un programma.

Ecco la sua interessante storia:

"Mi chiamo Andrea

e sono nato il 16/04/1968 in una città meravigliosa che è Palermo. Ho studiato per diventare geometra, ma è forse l'unico lavoro che non ho mai fatto! Il mio trasporto verso la gastronomia inizia abbastanza tardi perché da ragazzo la mia unica passione era lo sport.Facevo il professionista di volley, poi magari a fine carriera sarei finito in qualche ente pubblico a lavorare con il famoso posto sicuro (sogno di ogni buon meridionale.)Invece a 21 anni mi innamorai della mia attuale moglie la quale insieme al padre gestiva dei pub con cucina. Così mentre mi trovavo a giocare a Reggio Calabria in A2, una notte mi sono alzato dal letto, mi guardai allo specchio e dissi tra me e me ma che c..zo stai facendo, cerca di tornare da lei altrimenti rischi di perdere la cosa più importante che hai! Cosi di notte svegliai miei compagni e coinquilini e mi feci accompagnare ai traghetti di villa San Giovanni. Alle prime luci dell'alba ero a casa e nemmeno si fece mezzogiorno che mi telefonò il presidente della squadra, (mi doveva tre mesi di stipendio ) che mi invitava a presentarmi subito agli allenamenti altrimenti mi veniva a prendere con una calibro 9. Io risposi con uno sberleffo e ovviamente non successe nulla. Ma a quel punto mi trovai disoccupato.

Presi la decisione di dare una mano al mio futuro suocero. Cosi mi imbarcai come barman. Conobbi un ragazzo di nome Mario che faceva lo chef in un suo ristorante. A chiusura oppure la mattina andavo al locale a trovarlo, e siccome aveva il brutto vizio di bere, spesso non era in grado di stare in piedi, ed io mi trovavo sotto le sue indicazioni a occuparmi del servizio. Mi cominciai ad appassionare. Dopo un periodo di tirocinio in diversi locali di Palermo, nel 93 aprii un ristorante a Bagheria. Ma dopo un anno mi sentii incompreso (crisi mistica la chiamo io). Decisi che dovevo prendere un periodo di riflessione .Andai a fare il rappresentante parlamentare. Sì, mia sorella fu candidata in un partito e mi propose di andare a fare il suo rappresentante parlamentare. Accettai subito perché adoro la politica. E' durata sei mesi e sai perché? Ho visto, tante e tante di quelle porcate dentro il Palazzo che non hai idea. Mandai tutto a monte. A quel punto avevo pure la mia prima figlia e mi trovavo senza un lavoro, con la consapevolezza che non volevo fare lo chef.

Andai cosi a scaricare camion in un deposito di generi alimentari dove mi chiamavano il "dottorino". Poi le cose si misero male, ed andai a fare il montatore di carpenterie pesanti per gli ipermercati, cioè andavamo in giro per l'Italia a montare cancellate e ringhiere per gli ipermercati.

Fino a quando mi si presentò l'astinenza da padella. E all'età di 26anni capii che la mia vocazione era l'arte della cucina (che io non considero un lavoro ma una grande passione). E' per me come una droga, per il semplice motivo che mi dà "dipendenza" (da"padella" come dico io): appena mi capita di non cucinare anche per un breve periodo comincio ad essere agitato, irascibile, insomma tutti sintomi da "astinenza". Mi capita a volte di sognare alcuni accostamenti di sapori e conseguentemente di alzarmi la notte per provarli e quindi scriverli e cercare di proporli alla clientela. Non ho mai dato importanza al danaro, o almeno non più di quanto merita, ho sempre preferito dare priorità alla soddisfazione personale e professionale, rifiutando incarichi ben retribuiti o presso locali prestigiosi che mi avrebbero dato soddisfazioni a livello economico ed accettandone altri meno remunerativi solo perché in quelle occasioni potevo esprimere me stesso al massimo. Tra le ditte per cui ho lavorato, che ricordo più volentieri, sicuramente c'è una società di villaggi turistici, dove ho avuto la fortuna d' incontrare un grande uomo: lo Chef Ramondino, persona con cui ho litigato fortemente (ciò non toglie la mia stima e gratitudine verso di lui), ma che mi ha aiutato moltissimo a perfezionare le cotture classiche, tradizionali, semplici. Soprattutto mi ha arricchito di professionalità e sapienza dal punto di vista della gestione di una brigata numerosa .... Per me e' lo Schumacher della cucina. Un'altra bella esperienza l'ho vissuta in Veneto al ristorante"Ai Ciclisti" di Portogruaro. Quella e' stata una storia meravigliosa :ho stretto subito una grandissima amicizia con un collega di nome Patric Corai, professionista eccellente, amico vero, che mi ha trasmesso la cultura del "cercare di creare" tutto quello che si può all' interno del ristorante come la pasta fresca, dessert, pane. Diminuendo così i costi di forniture, e privilegiando la qualità. Altre belle esperienze sono fatte di lavoro autonomo, ovvero l'organizzazione del catering. Questo e'il massimo del piacere: sei tu a saper vendere al cliente un determinato piatto facendoglielo vivere così come tu lo vivi, con lo stesso entusiasmo e passione. Altra bella esperienza l'ho vissuta in un ristorante arabo dove collaboravo con un collega tunisino, il quale mi ha trasmesso tantissimo delle sue radici gastronomiche e culturali. E poi i vari stages formativi, dove incontri colleghi che provengono un po' da tutta Italia, con i quali si scambiano informazioni, idee. Ho imparato a lavorare la pasticceria e le paste lievitate, recandomi alle cinque del mattino in un bar pur di apprendere cose nuove; così come ho voluto apprendere l'arte della panificazione (con tutti i sacrifici che comporta). Ho lavorato anche in lussuosi hotel 5 stelle in cui il"baronato" fa da padrone. Dove chi non lavora ai loro livelli e non fa "cucina creativa" è considerato un plebeo della cucina .. Io so solo che se non sai camminare non puoi correre e questo l'ho imparato proprio nei posti meno prestigiosi in cui ho lavorato e grazie a questo mio modo di vedere l'arte della cucina adesso sto vivendo un' esperienza grandiosa: uno dei ristoranti più conosciuti del Giappone ha richiesto la mia collaborazione, si chiama "Cascina" e si trova nella città di Fukui. Il proprietario è giapponese ma propone cucina italiana. Un' esperienza unica. Lì mi chiamano "takai"(alto) ..La mia altezza (cm 190) per loro è assolutamente inusuale!

Ho vissuto e continuo a vivere emozioni molto forti: ho avuto il privilegio di organizzare parties per personalità illustri come il governatore e i lvice ministro degli interni. Ma uno dei ricordi più belli è stato il corso di cucina che ho tenuto per le mogli di alcuni notabili della città. Mi guardavano come fossi un marziano: massima professionalità durante il corso e poi, subito dopo aver finito, lettore mp3 alle orecchie e via a cantare e ballare a più non posso. Tutto ciò è stato possibile grazie alla gavetta che ho fatto e che continuerò a fare perché il giorno in cui non avrò più voglia di farla sarà quello in cui interromperò il mio percorso di crescita culinario: a quel punto sarà diventato ... un "lavoro"! purtroppo in molti pensano che la ristorazione in genere sia quella che trapela dal video , ossia figoni/ne in alta uniforme, sempre impeccabili con il sorriso sulle labbra perchè hanno tutto il tempo di poter prepare un piatto. Io che ho fatto una esperienza a 360° : dalla trattoria al villaggio turistico, al ristorante iscritto in guida e che negli anni ho ricoperto vari ruoli, posso affermare che la realtà non è questa.In effetti nelle grande maggioranza delle cucine, iniziando dall'osteria, per passare alla trattoria, per non parlare del ristorante dove si mangia bene ma senza ricoscimenti ufficiali ( solo quello dei clienti), è tutta un'altra storia. In queste cucine devi stare per 12 ore in venti metri quadri con cinque colleghi,con fuochi sempre accesi, con la sala piena dove magari il cliente si lamenta della mancata celerità del servizio, e tanto altro che non si vede in televisione (come lavorare quando la maggioranza delle persone fa festa , sacrificare la famiglia a causa di viaggi di lavoro o semplicemente con gli orari assurdi che devi rispettare). Tutto questo lo sa chi vive la cucina, ti logora, ti abbrutisce e purtroppo forse anche per tutto questo, tra i miei colleghi vi è un elevatissimo numero di alcolizzati e tossici. Questa è la verità. Se si conosce e si accetta tutto questo allora stai certa che chi decide di fare il cuoco è perchè ama questo lavoro alla follia e non lo fa per un discorso solo economico o per moda, ma per la gioia incommensurabile di un complimento di un cliente. L'accettazione di tutto ciò include il non dormire se invece hai sbagliato una pietanza, oppure l' "astinenza da padella" come la chiamo io, dove l' unica droga è il cucinare. "

domenica 27 gennaio 2008

ANCORA SUI MASTER...E UN MBA!


A proposito di master, tema controverso: servono o no...e quali? Vi suggerisco di leggere questo articolo di Gianluca Salvatori dal titolo "Jurassic master". La tesi è che il classico Master in Business Administration fosse cucito su misura per un tipo di manager e di impresa in via di estinzione. L'alternativa non è certo chiara né facilmente praticabile. Certo non rincuorerà, ma darà qualche straccio di spiegazione a chi, come Max Cosmico canta "Ho un a laurea e un MBA..." e non si capacita che le difficoltà ancora gli si parino davanti. Tra l'altro pare che il problema non riguardi solo l'Italia, anzi.

mercoledì 23 gennaio 2008

SCUOLA, RICCHEZZA E POVERTA'














La scuola è un elemento chiave dello sviluppo, della ricchezza e della forza di una popolazione. Al contrario, il non investimento nella scuola è un segnale di povertà. Che cosa vorrà dire il fatto che nella classe di mia figlia noi genitori siamo stati costretti a tassarci e a cucire in proprio delle tende per le finestre, altrimenti i nostri figli non potevano fare lezione per colpa del sole intenso?

Al tema scuola e lavoro è dedicato l'editoriale dell'ultimo bollettino (n. 2/2008) della fondazione Biagi, firmato da Michele Tiraboschi: "Il lavoro dei giovani e il peso del mancato raccordo tra scuola e lavoro" (publ. anche sul Sole 24 ore del 22/1/08).
Guarda caso al tema istruzione, legato direttamente alla crescita della ricchezza di un Paese, è dedicato anche uno degli articoli pubblicati ieri da la voce "Ma il sorpasso c'è", di Daniel Gros e Ilaria Maselli: la tesi è che l'investimento e i risultati del sistema di istruzione di un paese abbiano un rapporto diretto con la sua produzione di ricchezza. Per esempio la Grecia ha già raggiunto un livello di istruzione superiore a quello dell'Italia e si candida a un sorpasso che fa il paio con quello in corso (nei fatti) da parte della Spagna.

Ma torniamo all'articolo di Tiraboschi, che secondo me è particolarmente preciso nell'individuazione del problema scuola: nell'articolo si sottolineano i dati sull'occupazione con i quali è cominciato il 2008: disoccupazione al 6%, e 3 milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro in più negli ultimi dieci anni. Dati che ci piazzano tra i migliori in Europa. Negativi invece i dati sull'occupazione totale (59,1%), molto lontani da quel 70% che l'Europa fissa come target ideale, e tasso di disoccupazione giovanile al 20 per cento. Per non parlare dell'occupazione delle donne, che ci piazza proprio tra gli ultimi. Eppure, a ben vedere, sottolinea Tiraboschi, i tassi di disoccupazione italiani riferiti a soggetti con più di 25 anni, sono "perfettamente in linea con la media degli altri Paesi, mentre peggiorano drasticamente nella fascia d'età tra i 20 e i 24 anni e ancora di più nella fascia tra i 15 e i 19 anni. Ed è qui che sta la vera anomalia italiana e, con essa, la spiegazione delle pessime performance del nostro Paese con riferimento alla occupazione givanile". Io stessa ho spesso sottlineato come, in fondo, l'età di maturazione dei giovani oggi si sia spostata in avanti, e si tenda a diventare adulti e a entrare nel mondo del lavoro e nella vita indipendente sempre più tardi, quasi fosse n normale processo di evoluzione della specie.

"La verità - sottolinea Tiraboschi - è che buona parte dei giovani italiani non ha alcun contatto con il mondo del lavoro. .....La differenza con gli altri Paesi è tutta qui, nella diffidenza verso forme di lavoro a tempo parziale. E anche nella mancanza di veri e propri percorsi formativi ed educativi in alternanza, capaci di valorizzare la valenza formativa del lavoro, così come l'assenza di centri di placement e orientamento al lavoro nelle scuole e nella maggior parte delle università italiane."
La conclusione punta proprio su questo: sulla "qualità del sistema educativo" e sull' "effettivo raccordo tra scuola e lavoro", che consenta un ingresso tempestivo nel mercato del lavoro.

Ora, diciamolo chiaramente, ai giovani si può consigliare di sbrigarsi, di non perdere tempo, di cominciare presto ad affacciarsi sul mercato del lavoro, di chiedere consigli e informazioni agli "esperti" che gli capitino a tiro. Li si può rimproverare di pigrizia e miopia sul loro futuro. Ma, e il "ma" è molto grosso, ma alle istituzioni educative va imputato che questi giovani sono lasciati soli. Troppo soli. Non è facile a 16-20-22 anni capire con precisione che percorso scegliere, dove rivolgersi, e cosa sia veramente proficuo per la propria formazione e non una semplice perdita di tempo. La scuola, l'università e tutto il sistema che on investe su queste emergenze, ha sulla coscienza il difficile ingresso dei giovani nel lavoro e la loro visione pessimistica, e a volte rinunciataria, del futuro.

lunedì 21 gennaio 2008

UN PAESE SENZA FIDUCIA, IN SE STESSO











Cala la fiducia nelle istituzioni, scrive oggi l'Eurispes. Mai ricerca è stata divulgata con tanto tempismo. Anche se il presidente di Eurispes ha precisato che le interviste sono state fatte tra fine 2007 e inizi di gennaio. Non sono quindi state influenzate dai recenti avvenimenti. Ma mi sentirei di scommettere che i "recenti avvenimenti" , dai casi Mastella al caso Papa-Sapienza, alla sceneggiata di Cuffaro in Sicilia (felice dopo una condanna a 5 anni) non abbiano fatto bene a nessuno dei protagonisti.

Notiamo, tra le cifre, che tre cittadini su quattro hanno poca o nessuna fiducia nel governo: la fiducia è in calo di 5 punti percentuali. In calo di oltre 9 punti percentuali la fiducia nel Parlamento: si fida solo il 19,4%, rispetto al 30,5% dell'anno scorso. Cresce, anche se bassa, la fiducia nei magistrati: era del 39,6%, ora raccoglie un 42,5% di fiduciosi. I partiti, non ne parliamo.
Raccolgono fiducia (il 71,6%) le associazioni di volontariato e, ben staccate, le forze armate e la polizia.
Interessante che nella Chiesa abbia fiducia meno della metà degli italiani, per l'esattezza il 49,7% , ma con un calo di 10 punti rispetto al 2007.
In fortissima crisi anche la fiducia nella scuola, chi legge questo blog sa quanta importanza si debba dare a questo dato: si passa dal 47,1% di "fiduciosi" dell'anno scorso al 33% di oggi. Attenzione, perché anche nelle associazioni di imprenditori ha fiducia solo il 23,5% degli italiani (nulla sappiamo invece degli imprenditori al di fuori delle associazioni).

Ora il governo sta per crollare perché Mastella non si è sentito abbastanza applaudito, tra Cei e governo stesso c'è tensione, le Borse sono in picchiata (ma questo non riguarda certo solo l'Italia). Credo che in questo preciso momento la fiducia degli italiani sia sotto i piedi. E meno male che c'é l'Ue e l'euro.
Attenzione, però, se l'Italia va male e si specchia nella tragicommedia della spazzatura napoletana e nei concorsi taroccati della Campania, la colpa è anche nostra.



venerdì 18 gennaio 2008

DUE MORTI A PORTO MARGHERA

Leggo le prime notizie da Porto Marghera: due operai morti, le bombole di ossigeno erano vuote...non so neanche se questo è vero, magari le bombole di ossigeno ormai non servivano più...so solo che in questo Paese qualche volta sembra un miracolo se qualcosa funziona: i ginecologi li scelgono i partiti, la politica è solo traffici, gli uffici pubblici non rispondono al telefono, le norme di sicurezza non le rispetta nessuno né aziende né lavoratori, il Parlamento (no, il parlamento) applaude gli indagati (a prescindere, diceva quello), gli scienziati li costringiamo a scappare all'estero, le scuole sono deprimenti, la gente sgarbata e triste, i giovani si lagnano ma neanche si sognano di migliorare qualcosa...sembrano cose separate, cose che non c'entrano l'una con l'altra? A me sembra un'unica scena, una scena di una decadenza spaventosa. Forse ci metterò alcuni giorni a riprendermi

mercoledì 16 gennaio 2008

C'ERA UNA VOLTA L'UFFICIO DI COLLOCAMENTO





Certo nessun ventenne di oggi, ma forse neanche nessun trentenne, si può ricordare degli uffici di collocamento. Uffici tristi e polverosi dove ci si andava a iscrivere per avere la patente di disoccupato, e che non hanno praticamente mai collocato nessuno, sicuramente nessun laureato o diplomato in cerca di un buon lavoro.



Dieci anni fa, con la legge Treu, gli uffici di collocamento furono aboliti e da allora cominciarono a nascere gli uffici di lavoro interinale. Ancora poco utilizzati, rispetto al totale delle forze lavoro, ma comunque un'opportunità in più per chi vuole lavorare. Leggete il bel servizio su"I 10 anni che hanno cambiato il lavoro", su è lavoro dell'Avvenire di oggi (Purtroppo su internet trovate solo la prima pagina e non l'articolo in questione). I lavoratori interinali in Italia oggi sono circa 600 mila (quasi l'1% della forza lavoro), mentre in Francia sono il 2%, in Gran Bretagna il 5%. Il 35% dei lavoratori interinali entro un anno riesce a diventare lavoratore dipendente dell'azienda utilizzatrice. Il tema è spesso citato, ma forse poco conosciuto.


Proprio per questo rivolgo un pubblico appello a Gianni Bocchieri (qui un suo intervento a Radio Radicale su questo tema,, legge Treu e legge Biagi) di Assolavoro, associazione delle agenzie private del lavoro, che ha raccontato la sua storia con le agenzie interinali dagli anni '90 in poi, e che sarebbe bello riassumere qui. Spero anzi che lui stesso la racconti.


sabato 12 gennaio 2008

INTROVABILI


Le imprese artigiane non riescono ad assumere. Non trovano giovani che vogliano svolgere certi lavori, nonostante la prospettiva della formazione e del contratto a tempo indeterminato.


I più difficili da reperire a quanto pare sono parrucchieri ed estetisti, ma anche addetti alla robotica. Non è sempre esagerato, quindi, dire che quando si parla di disoccupazione e precariato senza fine, ci si riferisce ad alcune tipologie di lavoro e non ad altre, a certe zone geografiche e non a tutta l'Italia. Ovvio che chi è laureato in Giurisprudenza non potrà fare il parrucchiere....ma forse quando si intraprende una strada bisognerebbe anche riflettere sulle prospettive di lavoro. Non c'è niente di semplice in tutto ciò, ma sono dati che possono servire. Almeno a chi vuole fare l'estetista (poi ci saranno magari anche estetisti disoccupati!


Qui c'è la tabella della Confartigianato, riferita al 2007.




Parrucchieri e estetisti 7.970 (richiesti)---- 4.718 (non reperiti)


Idraulici 7.710 (richiesti) ---- 4.025 (non reperiti)


Falegnami-operatori legno 3.670 (richiesti) --- 2.679 (non reperiti)
Meccanici 2.800 (richiesti) ---- 1.761 (non reperiti)
Sarti 2.460(richiesti) ----1.446 (non reperiti)


Panettieri e pastai 2.310 (richiesti) --- 1.296 (non reperiti)


Addetti alla robotica 1.400 (richiesti) --- 1.043 (non reperiti)


Altre professioni 111.260

venerdì 11 gennaio 2008

FORMAZIONE CONTINUA E LAVORATORI OBSOLETI (E GIORNALISTI)




Alcune mie amiche si occupano di formazione sul lavoro. E proprio ieri una mia cara amica ;-) era di ritorno da un piccolo periodo di formazione. Se non lo facesse le sue competenze a poco a poco diventerebbero vecchie e presto non sarebbe più all'altezza di quello che l'azienda le chiede. In un mondo flessibile, in continuo cambiamento, nessuno si può permettere di riposarsi sugli allori. Quello che abbiamo studiato tanti anni fa non basta. Dopo pochi anni è sfumato o comunque obsoleto. Bisogna studiare tutta la vita. E questo vale dall'idraulico al chirurgo. Per non parlare dei giornalisti. Siamo nell'età della conoscenza!
Proprio ieri l'Istat ha diffuso uno studio sulla partecipazione degli adulti ad attività formative. Si parte con ottimismo, perché il primo dato è che nel 2006 il 41% delle persone con più di 18 anni ha effettuato almeno un'attività di formazione. Però, a ben guardare, si scopre che i corsi di studio sono seguiti, come è logico, soprattutto dai giovanissimi. Poi ci sono i corsi di formazione, rivolti più specificamente al lavoro, seguiti dal 16 %. Anche qui, ovvio che siano seguiti soprattutto dai più giovani. Importante, nella ricerca dell'Istat le attività di autoformazione, che riguardano il 35% delle persone. Si tratta di cose come andare a vendere un film in lingua originale...per carità, molto bello e utile ma è un po' poco.
Insomma, se la formazione è importante prima di entrare nel mercato del lavoro (e spesso non adeguata), ancora di più lo sarebbe durante il resto della vita. A volte si parla di cinquantenni che si trovano fuori dal mercato del lavoro. Se vivevano nella convinzione che studiare e formarsi non gli servisse più sono stati male informati. In altri paesi la formazione obbligatoria fa parte dei sisteni di ricollocazione dei lavoratori nel mercato. Purtroppo la verità è che di formazione e aggiornamento se ne fa poco. L'Europa, all'interno della cosiddetta Strategia di Lisbona, si è data come obiettivo la "formazione continua" : dovrebbe impegnare il 12,5% delle persone, ma da noi in Italia impegna solo una percentuale tra il 4 e il 5%. E naturalmente con fortissimi squilibri geografici, per cui queste attività si concentrano in certe zone del Nord.
Solo una piccola nota quasi autobiografica: la maggior parte dei giornalisti dispone per contratto della possibilità di accedere a forme di "aggiornamento". Pochissimi ne approfittano per seguire corsi o fare ricerche. Nel migliore dei casi si fa un viaggio che avrà un blando effetto sulla "conoscenza del mondo " del giornalista in questione. Pochissimi di noi, invece, sono in grado di districarsi con competenza in un uso del computer che vada al di là delle operazioni più banali. Io stessa, tenendo questo blog, mi sono trovata alle prese con operazioni e sigle francamente misteriose come feed, api, rank, o altra roba ancora più incomprensibile, nella quale mi muovo a tento come una sordomuta, con grandi sforzi e perdite di tempo. Sarebbe assurdo fare una settimana di aggiornamento per imparare qualcosa di importante alla svelta? Quando i giornali non potranno più fare a meno di un uso competente di internet (e già siamo molto vicini) quanti di noi saranno lavoratori totalmente obsoleti? (E magari con la puzza sotto al naso?) Sembra uno scherzo ma non lo è.

lunedì 7 gennaio 2008

TROPPI GIOVANI DISOCCUPATI

AGGIORNATO CON LINK
Sul tema segnalo la prima pagina dell'inserto "è lavoro" di Avvenire, con un commento perfetto del professor Michele Tiraboschi nel quale si spiega che , rispetto agli anni passati, abbiamo comunque recuperato ben 15 punti sulla discoccupazione giovanile. Ovvio che la situazione non è comunque accettabile. E Tiraboschi punta molto sullo scarso raccordo tra scuola e lavoro. Ecco perché è necessario occuparsi sempre di più di scuola, università e formazione.

L'Italia da un po' di tempo ha un tasso di disoccupazione più basso della media europea. Noi, tradizionalmente "maglia nera" in tutto, in questo caso ne usciamo abbastanza bene. Gli ultimi dati Eurostat dicono che la media Ue a 15 è del 7,2%, il tasso di disoccupazione italiano invece è del 6%. Sia merito della flessibilità, o dello "stellone" italiano, non si sa.



Però tra i giovani che hanno meno di 25 anni, l'Italia ha una delle performance peggiori: 20,2% di disoccupati, contro il 5% dell'Olanda e l'8,1% dell'Irlanda. La media europea è del 14%.
Questa è una caratteristica italiana: i giovani (quelli "veri", perché per il resto d'Europa dopo i 25 non si è più giovani) lavorano poco. Alcuni dicono che se la prendono "comoda", quindi sarebbe quasi colpa loro. Altri dicono che è colpa del sistema formativo, per cui ci si dilunga nelle università, tra corsi e master inutili, invece di precipitarsi a fare delle vere esperienze di lavoro. Comunque sia, una delle cause di incertezza e perdurante precarietà, dicono gli esperti, sarebbe proprio la lunga fase di transizione dalla scuola al lavoro e l'ingresso tardivo nel mercato. Eppure gli imprenditori privilegiano i lavoratori più giovani, almeno così dicono. O no?

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