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martedì 20 novembre 2007

I VERI MASCHI SONO I "MAMMI"





Se ne vedono e sentono sempre di più: uomini che si occupano dei bebè, che prendono i congedi per paternità, che fanno le pulizie, che giocano con le figlie, che fanno le stesse cose delle mamme. Tra i padri celebri, se ne vedono anche all'estero: tipo Milliband, il ministro degli Esteri britannico, che ha preso il congedo di paternità nonostante gli impegni intarnazionali. E' successo anche nel governo di Berlino. In Italia, ma non solo, la domanda sotterranea è: ma questi padri non finiranno per essere un po' meno maschi"?


Se lo chiede anche il settimanale Time, con un bell'articolo pubblicato nell'ultimo numero, Fatherhood 2.0 , che è come dire Paternità 2.0. E la domanda, di fronte ai padri-mammi, si trasforma in un'altra: cosa significa essere un uomo oggigiorno? Si è modificata l'idea di mascolinità?
La risposta di Time, settimanale prima di tutto americano, è che sì, gli uomini sono cambiati, non solo i padri. Sono cambiati in meglio. E questi loro cambiamenti , questo allontaamento dalla vecchia idea di "maschio", li aiuta sul lavoro, nel matrimonio nei rapporti con i bambini...e li fa sentire meglio, sia fisicamente che mentalmente.
Due possbili svantaggi: 1) sempre di più madri e padri tengono più al rapporto con i figli che a quello fra di loro; 2) non sempre le aziende sono pronte ad accettare questi nuovi padri, che non mettono il lavoro davanti a tutto, e alcuni uomini sono ancora riluttanti nel prendere dei congedi per paternità.
Tutto questo negli Stati Uniti.
In Italia, paese dei "veri maschi" e delle "super mamme", siamo ancora più lontani. Però, se è vero che la vera rivoluzione, dopo quella delle donne, ora la stanno facendo i nuovi maschi,...bè può essere molto interessante. Anche perché vale la pena di riflettere su questo punto chiave: se anche i padri sacrificassero un po' il lavoro per i figli, le madri sarebbero automaticamente meno svantaggiate!

venerdì 25 maggio 2007

IMMOBILISMO, PIGRIZIA E ETICA DEL TEMPO LIBERO

AGGIORNATO

Ho già accennato alla contrapposizione tra etica del lavoro e etica del tempo libero. Credo che sia una chiave dei nuovi rapporti sul lavoro e nella società. Vorrei aggiungere un concetto interessante, che è stato sviluppato stamattina su RaiUno nella trasmissione Radio Anch'io: la pigrizia. La pigrizia può essere vista non solo come una parte di , un lato importante ma marginale, bensì farne un concetto che spiega il dilagare di un atteggiamento nazionale. Nella puntata della trasmissione di oggi se ne parlava a proposito di un libro di un giornalista, Roberto Petrini, "Economia della pigrizia". Una chiave solo apparentemente semplice, che però apre molte porte, dal lavoro alla vita familiare, alla creatività, alla ricerca e innovazione industriale e universitaria. Nella foto il libro Oblomov , dello scrittore russo Gontcharov , eterna icona della pigrizia.

Ora, vicino a pigrizia mettiamo "Immobilismo". Così finisce per saldarsi, secondo me, nella cultura italiana, l'etica del tempo libero che pervade ora il mondo occidentale, e il tradizionale amore della pigrizia. Non dimentichiamo che gli italiani hanno spesso fatto loro lo slogan del Gattopardo: "che tutto cambi perché nulla cambi". Questa in fondo è spesso stata, nel corso della storia, la nostra lettura della realtà e la nostra filosofia di vita, a parte alcuni decenni del dopoguerra, fino agli anni '70 (e solo per una parte della società). Ma l'idea "nulla cambi, nulla comunque cambierà", è talmente scritta sulla pelle degli italiani (per secoli popolo vittima di scorrerie altrui e quindi poco protagonista delle decisioni pubbliche) che poi si salda entusiasticamente ad altre correnti emergenti nel più ampio calderone mondiale.
Interessante l'articolo sul blog del lavoro di Time su flessibilità e tempo libero. Oggi tutti vogliono più tempo per organizzarsi la vita, mentre è in drastica diminuzione la percentuale di chi accetta di lavorare per il lavoro in sé. A confronto ci sono i dati di una ricerca fatta nel 1992 e ripetuta ora. La domanda è: "vuoi un lavoro con più responsabilità? Nel '92 rispondeva "sì" il 68% degli uomni e il 57% delle donne. Nel 2007 risponde sì il 52% degli uomini e il 36% delle donne. E stiamo parlando degli Stati Uniti d'America, la patria del lavoro e del carrierismo. Ecco perché penso che l'etica del lavoro stia rapidamente cedendo terreno all'etica del tempo libero, giusto o sbagliato che sia. E in Italia (per il discorso della pigrizia di cui sopra), il terreno era già fertile...

martedì 22 maggio 2007

LA BORSETTA? PIU' PICCOLA DELLA GONNA... (consigli a neo-laureati in cerca di lavoro)


"La borsa non dovrebbe mai essere più grande della gonna". Questo è il primo consiglio ai neo laureati che vanno a un colloquio di lavoro, letto nel blog di Time e fornito dal centro di placement della University of Southern California. Il che significa che troppo spesso non sono le borse ad essere esageratamente voluminose (anzi, vanno di moda molto piccole), ma le gonne, che tendono al microscopico (nella foto un modello di Cavalli). E, se permettete, mettersi troppo in mostra non è il modo migliore per cominciare a conquistare un briciolo di credibilità. Quello che vale per le ragazze, vale anche per i maschi: niente abbigliamenti trendy al colloquio di lavoro, niente jeans. Cercate prima di capire qual è la cultura del nuovo ambiente in cui potreste entrare.
Non tutti i consigli di Time e dell'università della California , però, sono così indiscutibili. Per esempio, il secondo è: "Vi fanno un'offerta. Non accettate". Quanti italiani dovrebbero seguirlo? Pochi. Anche se io ne conosco, e penso che a volte si faccia bene a dire di no. Ma bisogna avere un'idea molto precisa dei propri progetti, essere realisti, non sopravvalutarsi ed essere disposti a lavorare ancora più duramente. (Per esempio segnalo in un precedente post la biografia del capo di At&T, che prima ancora di finire l'università scongiurò il datore di lavoro dove aveva svolto uno stage di dargli un lavoro, qualsiasi lavoro. Non ha seguito i consigli di Time. E ha fatto bene) .
Terzo consiglio, per la "Me Generation": non sei tu al centro del mondo. Forse in futuro diventerai un leader, ma per ora vuoi un primo impiego. Il tuo successo dipenderà da quanto saprai lavorare e andare d'accordo con quelli che sono sopra di te. Ironicamente, aggiunge l'autore, questo ti renderà unico. Ai loro occhi non hai diritto a nulla, fino a che non provi di valere qualcosa, attraverso un sacco di duro lavoro e capacità di collaborare. E questo vale, per gli italiani, eccome!
Quarto consiglio: fedeltà! E qui la realtà americana sembrerà quella di un mondo rovesciato rispetto all'Italia. Il consiglio è di rimanere in un'azienda più a lungo di quanto si faccia di solito. La media di permanenza di un neolaureato nel suo primo lavoro negli Stati Uniti è di 18 mesi. Ma se rimaneste due anni potreste fare un sacco di esperienza in più, lavorare in varie aree dell'azienda, e scoprire per cosa siete veramente tagliati. Gli italiani penseranno che il loro problema è inverso: troppo spesso sono costretti a stage brevi in varie aziende, mentre loro vorrebbero avere contratti più lunghi. Eppure, applicato con intelligenza, questo consiglio serve a tutti: potrebbe anche significare che quando fate uno stage o un contratto breve, potreste essere voi a chiedere di rimanere più a lungo, alle stesse condizioni: senza diventare impazienti. Questo vi metterebbe in buona luce e, alla lunga, vi darebbe la forza per chiedere qualcosa di meglio.
Quinto consiglio, molto "american" e in totale contraddizione con tutto quello che avete imparato qui fin dalla culla: "I genitori non sono una referenza". Non li fate chiamare, non li fate intervenire, dicono gli esperti Usa. In Italia la maggioranza delle persone (soprattutto quelle che hanno difficoltà a trovare un lavoro) pensa che le relazioni familiari siano il modo più sicuro per sistemarsi. Io però ho sempre fatto tutto da sola e se dovessi assumere un giornalista che fa intervenire un genitore sarei molto maldisposta...fate voi.
I consigli proseguono con il suggerimento di evitare di mandare e ricevere messaggini al lavoro, evitare cuffiette nelle orecchie, allargare i propri interessi, sul lavoro e fuori, e infine, quando se ne presenta la necessità, essere capaci di dire grazie, anche per iscritto e magari con un biglietto scritto a mano.

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