FLESSIBILI E PRECARI
Qual è la differenza tra flessibilità e precarietà? Questa è stata una domanda venuta dai ragazzi che hanno partecipato al dibattito di oggi in via Salaria alla facoltà di Sociologia e Scienze della Comunicazione. La domanda è arrivata alla fine, quando ormai si andava di fretta. E' una bella domanda, ma anche un po' maliziosa: come se si volesse incanalare la discussione su binari lessicali, o comunque di carattere sistematico- generale...quasi che il problema siano le definizioni, e non la realtà.

La realtà (e qui rispondo anche alla domanda) è che la flessibilità fa e farà sempre di più parte della nostra vita. Perfino in Italia, paese che, lo si ammetta o no, è piuttosto restio a lanciarsi nelle novità di carattere sociale profondo. La flessibilità è un fatto. E non è legato solo al modo di prduzione post fordista, ma fa parte di tutto il nostro mondo. Lo spiega benissimo Massimo Paci, nel suo libro "Nuovi lavori, nuovo welfare" quando parla del processo di individualizzazione, che porta con sè libertà e autonomia. Un processo che si può rintracciare fin dalla riforma protestante o forse fin dal Rinascimento oppure, aggiungerei, fin dalle radici del cristianesimo (almeno come lo abbiamo interpretato in Europa). Se comunque rimaniamo all'ambito economico, la flessibilità produttiva ha investito da tempo tutto l'Occidente. Uno dei risvolti positivi della flessibilità, per fare un esempio, è che consente al lavoratore di usufruire di tempi di lavoro che gli permettono di svolgere altre attività, come per esempio seguire i figli. Anche il part-time è una forma di flessibilità. Per i consumatori la flessibilità è la possibilità di trovare più commessi nei grandi magazzini nei giorni di acquisti, le automobili del colore che vogliono in tempi relativamente rapidi, gli uffici aperti in orari in passato impossibili. La flessibilità dei lavoratori permette a molte donne lavoratrici di fare la spesa la domenica. Sono solo esempi.
E la precarietà? La precarietà è un concetto che contiene in sé già un giudizio negativo. Il senso di incertezza, di insicurezza. In che modo si lega alla flessibilità? Intanto si lega psicologicamente, per chi non è abituato alla flessibilità. In particolare, l'Italia non è preparata perché ha fin troppo enfatizzato nel passato le tutele per certi tipi di lavoro (per esempio pubblico) e perché manca quasi completamente di tutele adatte alla nuova organizzazione del lavoro. In concreto, in un mercato del lavoro rigido, oggi la gran parte della flessibilità pesa sulle spalle dei più giovani, che però non hanno, a differenza dei loro coetani danesi o norvegesi, sussidi di disccupazione, salari minimi, prospettive di pensione minima, accesso a mutui e prestiti semplici, e così via. Ed ecco fatta la frittata della precarietà. Che non si cancella certo abolendo con un tratto di penna la flessibilità, ma solo cercando di introdurre tutte quelle altre cose che mancano.
Aggiungo un punto-chiave, di cui pure si è parlato oggi durante il dibattito: la formazione, il rapporto tra scuole, università e mondo del lavoro. E' un rapporto ancora labile. Sono ancora due mondi lontani. Io vorrei sapere quanti insegnanti di scuola si domandano cosa fare per i loro alunni e futuri lavoratori. Quanti di loro si pongono questo problema e lavorano su questo tema? Vorrei conoscerli. Però è anche vero che molto si è mosso. Enzo Mattina ha raccontato di iniziative tra la sua agenzia del lavoro Quanta e alcune scuole tecniche e università. Il rappresentante del ministero del Lavoro Ugo Menziani ha raccontato di accordi tra il ministero e l'università per far funzionare la Borsa Lavoro. La stessa iniziativa del professor Marcello Fedele (nella foto qui accanto) dimostra che anche altri si pongono sempre di più questo problema.

E io credo che, al di là di molte chiacchiere, questo sia un punto cruciale su cui devono puntare i più giovani. E se la scuola e l'università non li informa, cercassero di informarsi loro, in tutti i modi, perché questo è fondamentale per la loro vita.

E io credo che, al di là di molte chiacchiere, questo sia un punto cruciale su cui devono puntare i più giovani. E se la scuola e l'università non li informa, cercassero di informarsi loro, in tutti i modi, perché questo è fondamentale per la loro vita.
Quanto a me, come ho detto stasera, se attraverso le mie storie di "precari contenti" riuscissi a dare qualche idea, qualche spunto a uno solo di questi ragazzi con l'ansia del futuro, ne sarei felice. Niente, in fondo, di più.