domenica 27 maggio 2007

DIALETTICA DELL'EGUALITARISMO

Oggi non sarò breve.


Partirò da una frase che è, che dovrebbe diventare, una bandiera: "C' è un punto di non ritorno, oltre il quale l'egualitarismo diventa generatore di ingiustizia".


L'ha scritta Luca Ricolfi in un bell'articolo sulla Stampa. In poche righe Ricolfi traccia una filosofia fulminante, cui ha trovato anche un titolo delizioso, "Dialettica dell'egualitarismo", parafrasando un mitico testo, "Dialettica dell'Illuminismo" di Theodor Wiesengrund Adorno e Max Horkheimer, filosofi della Scuola di Francoforte (non ancora annacquata). Ricordo quando lo studiai all'università. Ero sbigottita. L'illuminismo, faro dei miei entusiasmi di ragazzina che combatte contro tutti gli oscurantismi, si rivela capace di generare il suo opposto: il mito dell'invincibilità della ragione, e quindi rischia di trasformarsi in nuova fonte di oscurantismi. Oggi questo concetto ci è abbastanza familare. Pensiamo però che Adorno e Horkheimer scrissero negli Stati Uniti tra gli anni '30 e '40, da dove assistevano alla catastrofe dell'Europa: i regimi totalitari e poi una guerra come il Novecento trionfante non avrebbe mai immaginato...dove erano i successi della Ragione, che nei decenni precedenti erano stati magnificati? L'illuminismo, scrivono Horkheimer e Adorno, "pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni". Purtroppo però il risultato è un fallimento: "La Terra illuminata splende all'insegna di trionfale sventura". L'illuminismo ha creduto ciecamente in se stesso, ha tradito i suoi principi, in nome di una adesione acritica alle sue parole d'ordine. L'illuminismo non ha riconosciuto la presenza del mito al suo interno e si è quindi rovesciato in mito esso stesso. Il mito della razionalità diventa macchina, organizzazione, necessità. Da strumento di liberazione, l'illuminismo diventa esercizio di autoconservazione. Il mito di Ulisse che si fa legare per ascoltare il canto delle sirene, viene descritto in questa chiave da Horkheimer e Adorno. E acquista nuovo valore: la capacità della Ragione di apprezzare anche l'irrazionale.



Così, tornando a Ricolfi e alla nostra democrazia, come l'illuminismo, l'egualitarismo sta vivendo la sua stralunata sorte dialettica: da strumento di liberazione si sta rovesciando in mito conservatore. "Fino a un certo punto livellare le differenze produce eguaglianza, ma oltre quel punto produce nuove e più profonde diseguaglianze"..."Quel punto di non ritorno - scrive Ricolfi - è ormai da lungo tempo stato attraversato".


Altro che abolizione del concetto di precariato, per eliminare le ingiustizie di cui soffrono i giovani sul mercato del lavoro, come qualcuno predica populisticamente (come se il precariato dipendesse da una legge, e non dal mercato globale), altro che diritti ancora più uguali per tutti. Questa è la certificazione della diseguaglianza, di una società organizzata in "caste" (parola che ormai va di moda e ci sarà un motivo se il libro di Stella e Rizzo, "La casta" ha tanto successo). Questa è la resa all'immobilismo sociale, all'impossibilità e alla non volontà di riconoscere ad ognuno ciò che gli spetta.



Una vera sinistra dovrebbe dare a tutti e a ognuno la possibilità di trovare il "proprio" posto nel mondo, non pretendere che tutti si adeguino al livello più basso, secondo una logica vecchia, veramente conservatrice. La sinistra non può non vedere che l'ingiustizia più grossa oggi la subiscono i giovani di talento che non godono di una famiglia di alto livello alle spalle, che vanno in un'università di massa che non li garantisce, che non li promuove. E al tempo stesso, questo immobilismo priva la società di talenti che potrebbero innalzare il livello generale.


E qual è il concetto attorno a cui dovrebbe ruotare questa logica democratica e innovatrice, che volesse sfuggire al rischio di rovesciamento dell'uguaglianza in ingiustizia? E' il concetto di merito, di competenza, di eccellenza. E' la capacità di ognuno di essere bravo in qualcosa, senza snobismi. E' la necessità, per una società che vuole crescere nel segno della democrazia, di premiare gli sforzi e i risultati, senza frustrare chi si impegna. Ed è la necessità di elevare il livello di istruzione e di approfondire la formazione.


Vorrei segnalare, su questo punto, uno scritto di una studiosa che a me piace molto per la sua acutezza e semplicità, Marina Murat, docente di economia internazionale all'Università di Modena e Reggio Emilia. Ha scritto la Murat, in un paper su "Le nuove sfide del mercato globale": "i mercati internazionali offrono un'immensa riserva di lavoro poco qualificato, ma offrono anche lavoro qualificato". E allora? Come prevedere da che parte si deve indirizzare il mercato?. La risposta è che non è possibile prevedere con esattezza qual è la direzione giusta. Ma le linee direttrici sono tre: un eventuale reddito minimo garantito, un aiuto vero ai lavoratori licenziati che devono riqualificarsi, e terza cosa, più importante di tutte, l'investimento massiccio nell'istruzione, anche se le specializzazioni eccessive, proprio perché non sappiamo da che parte va il mercato, possono essere controproducenti.


Se la chiave dello sviluppo e del miglioramento del mercato del lavoro sono istruzione e formazione, ecco che si chiude il cerchio del merito e della democrazia. L'egualitarismo oggi deve lasciare il passo alle uguali opportunità, al riconoscimento delle differenze, e a una logica di premi e sanzioni, senza finti buonismi. Solo così potrà tornare ad alzare la bandiera della giustizia e della riforma sociale.

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