martedì 30 dicembre 2008

BUON 2009



Perdonerete una certa apparente pigrizia degli ultimi tempi, ma spero che sia foriera di novità interessanti. Comunque sto lavorando ad altri testi e ... non ce la faccio a fare tutto.

Vi regalo questa bella vignetta di Arnald e speriamo che nel 2009 ci potremo inventare qualcosa di ancora più bello

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

BUON ANNO A TUTTI:

DONNE, PRECARI, GIOVANI, VECCHI, VICINI E LONTANI

lunedì 15 dicembre 2008

CARITA' PELOSA






Là dove anche chi è in cuor suo d’accordo, si è messo paura e sta zitto, è partito lancia in resta Renato Brunetta. Alzare l’età delle pensioni per le donne, portarla a parità con quella degli uomini. Ce lo chiede l’Unione Europea, ce lo impone una sentenza della Corte di Giustizia Europea, lo chiede l’equità e l’interesse stesso delle donne.



Eppure è una delle battaglie più impopolari che si possa combattere. A destra come a sinistra. Però ha ragione Brunetta: studiate, leggete, informatevi, cercate di capire come stanno le cose. La pensione anticipata non è un favore alle donne. E’ l’ennesima discriminazione per mandarle a casa (da oltre un secolo, il solito posto dove si vuole tenere le donne in Italia) a fare da badanti in primis ai poveri mariti, poi agli anziani e magari anche ai figli bamboccioni, che quando le madri hanno sessant’anni i figli ormai sono autonomi e si spera che facciano la loro vita, lavino, stirino e buttino la spazzatura.


Naturalmente quelle donne che gli ipocriti a destra e a sinistra vogliono ”proteggere” mandandole in pensione prima, hanno delle pensioni da fame, perché durante la loro vita hanno cominciato a lavorare (mediamente) tardi, avevano stipendi bassi, contributi ancora più bassi, carriere discontinue e comunque stoppate verso l’alto. Ecco perché molte donne se può già restano al lavoro oltre la data in cui potrebbero andarsene.

Chi dice di fare il loro interesse, chi gli vuole lasciare questo piccolo privilegio fa solo carità pelosa. No grazie.


I radicali, ”rompiballe” in senso buono della destra e della sinistra, lo vanno dicendo da un paio d’anni: alziamo l’età della pensione. rendiamo anche in questo le donne uguali, ma diamogli più opportunità durante la vita ativa: congedi obbligatori per i padri (sapete quanto io personalmente batta su questo tasto), asili nido per tutti, assistenza agli anziani, e un vero welfare per chi perde il lavoro o è precario. Tutto si può discutere, ma questo è quello che anche Brunetta intende. Io la chiamo modernizzazione.


Per chi ama le sintesi: ecco il commentino sul Messaggero di domenica 14/12/2008

giovedì 11 dicembre 2008

LA CRISI E LE DONNE

(pubblicato sul Messaggero di mercoledì 10/12/2008)

L’ETÀ della pensione per le donne, per ora, non si tocca. La condanna della Corte di Giustizia Europea, che bacchetta l’Italia per la diversa età minima alla quale donne e uomini possono prendere la pensione di vecchiaia nel settore pubblico, non basta a spingere il governo italiano a modificare le regole. Però ha spinto Destra e Sinistra a trovarsi unite di fronte alla malattia che affligge il lavoro delle donne in Italia: un livello già bassissimo (intorno al 47%) rispetto a tutti gli altri Paesi europei (media al 60%) in anni di crescita e che adesso, con la Crisi, rischia di scendere ancora di più. Toccato il fondo, a quanto pare, alle donne italiane non resta che ”scavare”.
«Abbiamo dimenticato l’emancipazione economica delle donne», ha provocato Emma Bonino, che sul tema ”In pensione quando, al lavoro come?” ha messo insieme nella stessa sala del Senato non solo il ministro Maurizio Sacconi e il suo opponente ”ombra” Pietro Ichino, ma anche l’economista Fiorella Kostoris e il giuslavorista Michel Martone, Valeria Fedeli della Cgil e Renata Polverini dell’Ugl, Luca Paolazzi della Confindustria e Milena Carone dell’Udi, e poi Anna Bonfrisco, Benedetto Della Vedova, Giuliano Cazzola del Pdl, e Francesca Marinaro e Donatella Poretti del Pd. Ospite d’onore perfino la centenaria Rita Levi Montalcini. Tutti, sostanzialmente, d’accordo che la situazione del lavoro delle donne in Italia è insostenibile e che l’arrivo della Crisi avrà due effetti: 1)la situazione delle donne peggiorerà; 2) si aprirà un’opportunità per cambiare qualcosa. Si sente il bisogno di una ”spallata” ha detto Ichino, difendendo la proposta di ridurre le tasse sul lavoro femminile. E anche chi non era d’accordo con lui ha apprezzato l’immagine della spallata.
In Italia ci sono 4 milioni di donne che sono fuori dal mercato del lavoro e che per questo non hanno gli stessi diritti degli uomini. Ci sono milioni di altre donne che lavorano e non ricevono nessun supporto dallo Stato, perché mancano gli asili nido, perché gli orari di lavoro delle aziende non sono flessibili e mal si adattano alla gestione della vita familiare, perché le donne faticano a fare carriera, guadagnano mediamente meno degli uomini, e infine, quando vanno in pensione, rischiano di ritrovarsi sull’orlo della povertà.
Se con un colpo di bacchetta magica, le donne italiane lavorassero nella stessa misura delle altre europee, il Pil dell’Italia farebbe un balzo del 15%, ha detto Luca Paolazzi, direttore del Centro Studi di Confindustria. Anche Emma Marcegaglia lo disse nel suo primo discorso da presidente. Anche alle imprese il lavoro delle donne serve. Anzi, servirebbe se ci credessero con convinzione.
Di più, ha sottolineato Milena Carone dell’Udi, la si smetta di parlare di ”aiuti alle donne”. Perché si continua a dire che gli asili nido sono ”per le donne”, quando in realtà sono per i bambini e per un’intera società che deve investire su di loro? Valeria Fedeli ha rincarato: «Dico no alla ”conciliazione”, (cioè a quelle politiche che dovrebbero permettere alle donne di lavorare e allo stesso tempo farsi carico degli impegni familiari), ma dico sì alla ”condivisione”». Che tradotto vuol dire: donne e uomini dovrebbero imparare a condividere carichi di lavoro e carichi familiari. Alla pari.
Ecco, tutto questo è venuto a galla a partire da quella sentenza sull’età pensionabile delle donne. Tema che Emma Bonino e i radicali utilizzano da tempo come ”leva” per affrontare un problema che è una vera emergenza nazionale e che, invece, spesso viene trattato come ” colore”.
Il ministro Sacconi non si è sottratto. Di mettere mano alle pensioni però non vuole parlare. Fa i calcoli e afferma che nel pubblico impiego le donne già tendono a lavorare più del minimo necessario e che, in fondo, l’equiparazione per legge dell’età tra donne e uomini, sarebbe una piccola cosa anche in termini di risparmio per il bilancio dello Stato: non più di 250 milioni di euro.
Sacconi però sa che in Italia il numero dei lavoratori è troppo basso e che questo, oltre a essere ingiusto nei confronti delle categorie penalizzate (le donne in primis), danneggia il nostro sistema economico. «Dobbiamo puntare alla flessibilità dell’orario di lavoro - ha sottolineato - e sull’offerta di servizi per le madri». Cioè asili nido, ma non solo: anche tagesmutter dice lui, cioè baby sitter di condominio o di quartiere, sulle orme dell’esperienza tedesca.
Ma basta? Sul Corriere della Sera di ieri Maurizio Ferrera ha messo in guardia dal rischio che la crisi penalizzi ancora di più gli outsider (donne e giovani), mentre partiti e sindacati continuano a pensare a chi già è protetto. Meno tasse alle donne, più ammortizzatori sociali per i lavoratori che rischiano il posto e non hanno cassa integrazione (e sono soprattutto donne), asili nido e servizi all’infanzia, congedi di paternità obbligatori. Tutto ciò servirebbe a fare argine contro un rischio sul mercato del lavoro delle donne. Le “tagesmutter” non bastano di certo.

sabato 15 novembre 2008

DONNE E PENSIONI /2

Torno sull'argomento donne e pensioni, per riportare qui l'articolo che ho scritto in proposito sul Messaggero.
Aggiungo, rispondendo ad alcuni commenti al post precedente, alcune osservazioni:
1) nessuno può essere "compensato" per tutto ciò che gli tolgono durante la vita, soprattutto se c'è ancora tempo per rimediare. Meglio dare prima il giusto e poi trattare tutti uguali.
2) le donne (e non "la donna" che per fortuna non esiste) sono per l'appunto stufe di fare il doppio o il triplo lavoro, consentendo così a qualcun altro di dedicarsi completamente a uno solo, e èpoi magari fare carriera o coltivare i propri hobby
3) è necessario che tutti vengano trattati in modo paritario, rimuovendo gli ostacoli che impediscono alle donne, nel corso della loro vita, di avere le stesse chance dei maschi anche sul lavoro
4)anche i maschi dovrebbero fare tutta la loro parte di secondo e terzo lavoro, occupandosi di figli e anziani parenti
5) le donne alle quali viene graziosamente concesso di andare in pensione prima non si rendono conto che poi saranno povere, perché gli assegni sono bassi e lo diventeranno ancora di più dopo 20 anni.

giovedì 13 novembre 2008

DIVERSE ETA' DELLA PENSIONE PER UOMINI E DONNE. CONDANNATA L'ITALIA


La Corte di Giustizia Europea ha condannato l'Italia per la discriminazione tra uomini e donne, dovuta alla diversa età di accesso alle pensioni di vecchiaia: 60 er le donne 65 per gli uomini. Ne avevamo già parlato qui a proposito della campagna dei radicali: equiparare, innalzare.

mercoledì 5 novembre 2008

OBAMA E ANN





Il nuovo presidente degli Stati Uniti, nella nottata della sua vittoria, ha fatto un discorso nel quale non ha citato Martin Luther King, non ha sottolineato il fatto di essere il primo presidente di colore della storia americana. Non ha parlato della sua opponente, Hillary Clinton, che pure avrebbe fatto storia se fosse stata eletta, ma che lo ha aiutato ad ottenere il supporto delle donne democratiche.
Ma, alla fine del suo discorso Barack Obama ha raccontato la storia di Ann Nixon Cooper, una signora di 106 anni, che per lungo tempo nella sua vita non ha potuto votare, per due motivi: perché donna e perché nera. Stavolta lo ha fatto. Sarebbe stato bello che Obama rendesse omaggio più esplicitamente alle donne, ai neri, ai giovani, che lo hanno portato alla Casa Bianca. Lo ha fatto solo indirettamente e in modo molto soft. Vuole essere, giustamente, il presidente di tutti. Speriamo, però, che non dimentichi coloro che hanno messo in moto il cambiamento e che più ne hanno bisogno.

mercoledì 29 ottobre 2008

AMARE VERITA'



Ho ipotizzato in quest giorni che gli studenti siano caduti in un grande equivoco e stiano infatti protestando "contro se stessi". I maestri e prof, invece protestano per difendere i propri interessi. I genitori...mi astengo da illazioni. Vi giro il link al commento di Gianluca Salvatori, centrato più sull'università che sulla scuola, e che condivido quasi parola per parola.

domenica 26 ottobre 2008

VOGLIO ANCHE IO IL TORNELLO!


Nuova provocazione di Brunetta: tornelli anche per i magistrati, perché alcuni lavorano scandalosamente poco. Certo, altri invece lavorano il giusto e molti altri, ovvio, lavorerano anche più del dovuto. E io? Sono anni che lavoro troppo, sono anni che sogno un tornello che arrivi a liberarmi dall'incubo di una vita passata in ufficio! Se avessi avuto il tornello, tutti questi anni, avrei facilmente totalizzato in tre giorni le mie ore di lavoro settimanale e mgari avrei guadagnato il doppio, o avrei avuto diritto a più giorni di vacanza. Invece niente tornelli. Lo so anche io che molti giornalisti non lo potrebbero mai sopportare: il nostro lavoro non è tutto uguale e c'è chi lavora duramente anche senze essere presente al giornale (sia detto senza ironia). Viceversa, la maggior parte di quelli che lavora poco non si alza mai dalla sedia. Eppure, un bel tornello... :-P
Basta, sapete come finirà? Che prima o poi i tornelli li metteranno anche ai giornalisti. Ma allora sarò così stanca per aver lavorato tanto, che alla fine non ci guadagnerò niente. Anzi, il tornello certificherà che anche io sarò finalmente diventata fannullona. Una libeazione.A proposito, come farà il tornello a dimostrare che ho anche lavorato per il blog?

venerdì 24 ottobre 2008

LE AGENZIE DEL LAVORO CAMBIANO PELLE




L'ex ministro Tiziano Treu ha visto crescere la sua "creatura", ed era quasi entusiasta. L'ho visto a una presentazione del nuovo contratto nazionale delle agenzie di somministrazione di lavoro, di cui qui si è già parlato con il video di Bocchieri. L'evento era organizzato da Adecco, tra i leader del settore.



Treu nel '97 era ministro del Lavoro quando fu introdotta per la prima volta una legge che prevedeva la nascita delle agenzie di lavoro temporaneo e una riforma organica del mercato del lavoro, per consentire al mercato un po' di flessibilità. L'occupazione era a livelli bassissimi, e da allora è costantemente aumentata, perfino nei periodi di scarsa crescita. Allora però le agenzie di lavoro interinale nascevano proprio come dei brutti anatroccoli e in tutti questi anni hanno mantenuto una cattiva fama. Sono state prese a simbolo della precarietà, della mercificazione del lavoro e simili. Avrebbero dovuto avere invece un'importante funzione di fluidificare il mercato, renderlo più trasparente e accessibile.



Fatto sta che ora con il nuovo contratto, le agenzie si candidano a svolgere in futuro una funzione di protagonisti sul mercato del lavoro, sostituendo così la mano pubblica, che finora si è dimostrata del tutto inadeguata. Non più solo lavoro a termine o temporaneo, temporaneissimo, ma anche assunzioni a tempo indeterminato, pensione, malattia, maternità, e perfino indennità di disoccupazione e politiche attive di ricerca del lavoro. Insomma, le agenzie del lavoro propongono la loro flexicurity, il loro piccolo welfare privato. In cambio, scrivono nel loro contratto che hanno la possibilità di licenziare il lavoratore per il quale , per vari motivi, non ci sia disponibilità di lavoro. Il contratto si può migliorare, ha sottolineato Treu, ma intanto fa un grande passo avanti. Peccato solo che in Italia le agenzie del lavoro rappresentino una piccola fetta del mercato: la maggior parte della gente continua a cercare e trovare lavoro attraverso una rete informale, fatta di legami familiari, amicali e altro. Altro che trasparenza.

giovedì 9 ottobre 2008

UN OTTO? VALE COME UN DISTINTO!


Mia figlia mi ha comunicato di avere preso un bellissimo voto in Geografia, un 8. ”Otto corrisponde a Distinto, lo sai mamma? E Distinto non lo danno quasi mai!” Ecco come i ragazzi reagiscono alle novità della scuola, niente di clamoroso, loro si adattano a tutto anche se ogni cambiamento un po’ li spiazza” E dire che noi invece traducevamo il ”distinto” in voti.

Tutto questo per dire che le riforme della Gelmini, su cui si sta scatenando l’inferno, al punto che i professori arringano gli studenti e li montano contro il ministro, mi sembra una tempesta in un bicchiere d’acqua. Lo stesso per un altro refrain dell’anno: ”Quest’anno i professori saranno più severi, colpa della Gelmini”. Davvero? Ma allora prima non facevano il loro lavoro, si potrebbe obiettare. La verità, mi sembra è che il nocciolo duro della questione scuola non sia stato affrontato: come garantire la qualità degli insegnanti e il valore delle ore passate a scuola? Questo è il punto vero della discussione sulla scuola, tutto il resto ha un sapore terribilmente marginale. Perfino la discussione sul maestro unico, che ha certamente un fondamento, si dovrebbe ricondurre alla domanda: come facciamo a sapere se i maestri sono all’altezza del compito che svolgono? Non è un delitto di lesa maestà domandarselo, spero, oppure tutti i maestri e professori si sentono offesi solo dalla domanda? Intanto assistiamo alla sollevazione di insegnanti e soprattutto sindacati, che hanno proclamato lo sciopero per il 30. Ma io stento a capire veramente intorno a cosa ci si accapigli. Si vuole ridurre il numero degli insegnanti, si sottolinea. Qualcuno addirittura ci legge un ”attacco” all’occupazione femminile, visto che nella scuola gli insegnanti sono quasi tutti donne. Ma stiamo scherzando? La scuola non è un ufficio di collocamento per disoccupati. Negli altri Paesi, nei quali i prof sono pagati meglio che da noi, il loro numero è più basso, e la mole di lavoro forse superiore. Ripeto: non dovremmo piuttosto chiedere che vengano reclutati e valutati secondo quei criteri di merito e di valore che si vorrebbero poi ritrovare nelle classi? Il ministro Brunetta getta un ennesimo sasso nello stagno, come è suo costume: gli insegnanti lavorano poco e, per quello che fanno, guadagnano anche troppo. Può sembrare una provocazione, perché gli stipendi degli insegnanti sono veramente bassi. Ma discutiamone, se siamo capaci.

lunedì 29 settembre 2008

DISOCCUPAZIONE IN SALITA, DONNE IN DISCESA

Per la prima volta dopo molti anni, la disoccupazione riparte anche in Italia. E’ arrivata al 6,7%, dal 5,7% dell’anno scorso. Un pessimo segnale, doopo che negli ultimi anni il numero dei disoccupati da noi è stato a livelli estremamente bassi, direi record per l’Italia, e più bassi di altri paesi europei, come la civile Francia. L’Italia però ha un peccato originale: il numero degli occupati, e di coloro che cercano lavoro, storicamente è molto più basso che in altri paesi. Il motivo è presto detto: mentre la percentuale di uomini che lavora è più o meno uguale al resto d’Europa, da noi le donne non lavorano. O comunque quelle che lavorano sono pochissime, se si fa il confronto con l’estero. Il dato nazionale è intorno al 46% (corretto) ma nel Sud si precipita a poco oltre il 30%. Questo è il nostro buco nero.
Tenendo fermi questi dati, va detto che negli ultimi anni i miglioramenti ci sono stati (nonostante la bassa crescita e la bassa produttività): il numero degli occupati negli ultimi dieci anni è costantemente aumentato. E’ aumentato un po’ anche il numero delle donne occupate, ma in misura estremamente più bassa di ciò che si potrebbe e dovrebbe aspettare (e che ci viene richiesto dagli accordi europei). Anche questa volta il numero degli occupati aumenta dell’1,2%. E’ poco, meno degli anni precedenti. Ma il mercato del lavoro comunque non ha l’encefalogramma piatto.
Però il dato della disoccupazione è preoccupante, ed è in linea con la tendenza di altri Paesi: pochi giorni fa l’allarme è suonato anche in Spagna, dove il tasso di disoccupazione sta schizzando verso l’alto e preoccupa un’economia che negli ultimi anni aveva fatto gridare al miracolo. Il rallentamento della crescita in tutto l’Occidente non può non avere riflessi su l mercato del lavoro. Quindi succede ciò che era facile aspettarsi.
Tuttavia nell’aumento della dicossupazione c’è anche un altro fattore: l’aumento di quelli che cercano lavoro. Magari poi non lo trovano, ma sempre più persone, soprattutto donne, si mette in cerca di un posto. Quest’anno sono 291 mila persone in più. Anche questo è un dato che può essere a doppio taglio. C’è chi lo legge come un segno di crisi: le famiglie non ce la fanno ad andare avanti e quindi alcuni membri tradizionalmente non occupati (vedi le casalinghe) si cercano uno stipendio per ”arrotondare”. Tuttavia questa interpretazione è riduttiva. E’ da paese moderno che sempre più donne entrino nel mercato del lavoro. E’ in questa direzione che vanno storicamente le economie industrializzate contemporanee, e sempre più questo fenomeno dovrebbe avvenire anche in Italia. Che poi alla domanda di posti di lavoro non corrisponda un’offerta adeguata e molte aspettative vadano deluse è esattamente ciò intorno a cui ci si dovrebbe interrogare. Infatti sono le donne le più penalizzate in questo momento, lo rilevano esattamente le cifre Istat: i nuovi disoccupati sono esattamente loro, le donne, e in particolare le donne del Sud.
Allora ci dobbiamo chiedere: cosa stanno facendo le nostre imprese, il governo, le istituzioni pubbliche e private, per favorire l’incontro di domanda e offerta di lavoro? Cosa si sta facendo per aiutare le donne a entrare nel mercato del lavoro e a rimanerci, senza atti di eroismo? Cosa si sta facendo per favorire le famiglie in maniera moderna a conciliare lavoro e vita privata, per tutti, uomini e donne? Un esempio solo: quanti nuovi posti negli asili nido sono stati creati negli ultimi mesi? Quanti posti saranno creati nei prossimi 2-3-5 anni? La Ue ci chiede di dare un posto nei nidi almeno al 30% dei bambini. Attualmente da noi ce l’ha solo uno su dieci. le mamme degli altri 9, per lavorare, devono arrangiarsi.
Al di là dei freddi numeri, che pure dobbiamo tenere presenti, queste sono le domande chiave che dovrebbero guidare l’interpretazione delle cifre. Altrimenti i dati possiamo anche giocarceli al lotto, e sperare così di risolvere quei problemi che sembrano insolubili.

venerdì 26 settembre 2008

DILEMMA ALITALIA

aggiornato link

Domanda: ma se i piloti Alitalia dicono no all'accordo, e se poi quando la nuova società proporrà loro un posto di lavoro alle nuove condizioni loro rifiuteranno, è giusto che godano della cassa integrazione? Il ministro Sacconi aveva detto che no, secondo lui non andrebbe applicata (anche se poi lo sarà). Pietro Ichino, giuslavorista e senatore Pd oggi dai microfoni di Radio Radicale, insiste anche lui: in nessun paese chi rifiuta un posto di lavoro ha diritto agli ammortizzatori sociali. Naturalmente nessuno di noi vorrebbe che i piloti o altri dipendenti siano sottoposti a condizioni capestro...insomma, il problema è fondamentale per il modo in cui non solo si intendono i rapporti di lavoro, ma soprattutto gli ammortizzatori sociali. In Italia hanno sempre favorito solo alcuni, trascurando tutti gli altri e rendendo il mercato del lavoro italiano particolarmente "bastardo". Allora?

Segnalo, nel corso dell'intervista che abbiamo fatto a Ichino in "In ginocchio da te", con Valeria Manieri e Michel Martone, anche la questione del lavoro femminile, tema di cui in questi mesi non si discute più. Sottolinea Ichino: su 5 milioni di lavoratori che in Italia mancano all'appello, 4 milioni sono donne. E questo descrive sinteticamente alcuni fra i più gravi problemi strutturali della nostra economia.

martedì 23 settembre 2008

COME LAVORARE BENE E RIPRENDERSI IL TEMPO



Dobbiamo tutti lavorare di più, e meglio! Difficile pensare a un contesto nel quale questa frase non venga ripetuta e sottolineata con enfasi. Ma cosa vuol dire esattamente? In Italia i lavoratori già svolgono un numero di ore maggiore di quello di altri paesi industrializzati avanzati (tranne gli Stati Uniti, dove effettivamente si fanno più ore e meno ferie). Certo, da noi sono tanti quelli che non lavorano. E non parlo dei disoccupati, ma proprio di quelli che non si accostanto al lavoro per vari motivi. Tra questi soprattutto le donne, e chi mi legge sa che in Italia abbiamo la percentuale di donne al lavoro più bassa d'Europa. Una vera vergogna. Uno dei motivi di tutto ciò è che è sempre più difficile lavorare e, al tempo stesso, far funzionare la vita privata delle persone, perché il lavoro sembra costruito intorno all'idea che chi lavora faccia quasi solo quello mentre a, tutto il resto dei suoi bisogni ci penserà qualcun altro: una moglie, magari. Ovvio che con un'immagine del genere tutto diventa praticamente impossibile. Attorno a questi temi e all'utilizzo del tempo tra lavoro e vita privata , mi sono molto arrovellata negli ultimi tempi, tanto che avevo anche buttato giù l'impalcatura di un libro. Tuttavia, strada facendo, l'obiettivo mi era sembrato fin troppo ambizioso e, per l'Italia, quasi impossibile da portare in cima all'agenda del mondo politico e imprenditoriale.

Tuttavia il tema assedia il mondo del lavoro e lo dimostra questo libro uscito in America e ora tradotto anche da noi: "Perché IL LAVORO FA SCHIFO e come migliorarlo", di Cali Ressler e Jody Thompson, edizioni Elliot. Non per caso, le autrici sono donne. Le donne hanno una acuta percezione del bisogno di gestire in modo più efficiente il tempo, anche per non rimanere vittime dell'impossibilità di fare tutto. Il libro è tipicamente americano: scritto in uno stile piano, semplice e ripetitivo, destinato a un pubblico molto meno raffinato ma anche molto più numeroso di quello europeo. Parte dall'analisi di un esperimento in una azienda americana, la Best Buy, dove le autrici hanno collaborato a introdurre un nuovo sistema di lavoro, detto ROWE: results-only work environment. Ambiente di lavoro basato sui risultati. Il TEMPO è il vero protagonista del libro. Il tempo di lavoro viene attaccato, bombardato e sgretolato dal nuovo modello. Le briciole poi vengono reimpastate insieme al resto della vita privata, condite con dosi massicce di moderna tecnologia ormai comune nelle nostre case e nei nostri uffici, fino a modellare un nuovo tipo di azienda e di lavoratore. La chiave di quest'opera di smontaggio e rimontaggio sono gli OBIETTIVI e i RISULTATI. L'azienda deve fissare gli obiettivi, i lavoratori portare i risultati. Tutto il tempo che di solito c'è nel mezzo di questo operazione, e lo spazio in cui l'azione si svolge, non esistono più.

Scrivono le autrici: "Se il nostro capo dovesse scegliere tra concederci una mezz'ora per sbrigare le nostre faccende personali o farci partecipare a una riunione di un'ora dove la nostra presenza non è necessaria, è probabile che la maggior parte dei dirigenti opterebbe per la riunione. Anche di fronte alla certezza che alla riunione non si combinerà niente e che potrebbe durare più di un'ora, molti dirigenti preferirebbero senz'altro avere i propri dipendenti in ufficio, magari a non fare niente, piuttosto che non averli sott'occhio mentre sono fuori a fare qualcosa di concreto" (p. 116) La rivoluzione introdotta dalle due autrici alle Best Buy è che invece le riunioni sono facoltative (sta al lavoratore giudicare se siano utili) e che l'orario di lavoro non esiste più. Fine. Ciò che conta sono i risultati. Se il lavoratore produce risultati entro le scadenze previste, tutto il resto all'azienda non deve interessare. Può lavorare da una spiaggia, in casa in mutande, durante la notte, assistere la mamma malata in un altro Stato, seguire la propria band preferita in giro per il mondo per tre settimane, senza prendere neanche un giorno di ferie. Basta che nel frattempo "produca". E tutto ciò è possibile grazie al fatto che la maggior parte dei lavoratori oggi non avvita bulloni a una catena di montaggio, ma produce idee, conoscenza, applica saperi, e lavora con computer e cellulare. Scrivono ancora le autrici: "Tutto è ammissibile purché il lavoro sia portato a compimento. Inaccettabile semmai è l'assenza dei risultati. E non la scarsa presenza in ufficio o la timidezza durante le riunioni, oppure un tatuaggio o uno strano modo di ridere. Se non si porta a termine un certo incarico, si perde il lavoro. In caso contrario, si conquista la libertà" (p. 117) Nel libro ci sono anche alcune testimonianze. Come quella di Trey, 30 ani, esperto di e-learning: "Faccio ciò che voglio, quando e quanto voglio. Perlopiù lavoro in base alle mie esigenze. E, considerato che porto sempre a termine i miei incarichi, mi godo la vita al massimo e al contempo lavoro per una grande azienda" (p.101) La conseguenza di tutto ciò è che "il personale diventa proprietario del proprio lavoro. Viene pagato per i risultati e, quindi, comincia a d agire da imprenditore, sente quasi di avere una quota del capitale dell'azienda" (p. 136). Qui il discorso si fa molto complesso. Almeno in Italia. Gli esperimenti di responsabilizzazione del lavoratore rispetto al risultato sono ancora scarsi, ma hanno gli imprenditori tra i principali sostenitori. Da parte del lavoratore si potrebbe preferire la sicurezza dell'orario alla responsabilità dei risultati. Ma il libro sottolinea come questo sia un atteggiamento infantile, nel quale il lavoratore si fa trattare come un bambino minorenne, cui i genitori danno i premi se si comporta secondo le regole. Insomma, qui tratta di mettere in discussione una cultura del lavoro vecchia di un paio di secoli, figlia della rivoluzione industriale e ormai anacronistica nell'era digitale del web. Una cultura nella quale la produttività, la responsabilità e i risultati andrebbero esaminati e ridefiniti. Inoltre ogni azienda, e ogni tipo di lavoro, hanno certamente esigenze e difficoltà intrinseche. Bacchette magiche per rivitalizzre la nostra asfittica "vita privata" non esistono. Però il tema è gigantesco e nel futuro credo che se ne discuterà sempre più spesso.

venerdì 19 settembre 2008

ESAMI SENZA FINE, LAUREA SENZA VALORE


Anche l'Università italiana e i suoi meccanismi di valutazione finiscono nel mirino di chi chiede più serietà e selezione negli studi. Un articolo di Paolo Balduzzi su la voce "La lotteria Italia degli esami", attacca il sistema tutto italiano degli appelli mensili e della ripetibilità degli esami, nonché la facilità con cui viene dato il massimo dei voti ai laureandi. Sembra strano, ma nelle tante discussioni sull'università, la necessità di rilanciare il "merito", il valore dei professori e la loro propensione a essere presenti e disponibili per gli studenti, questo tema non è mai stato toccato. Eppure, qualunque studente universitario che abbia avuto contatti con altri ragazzi di università straniere, sa che l'Italia rappresenta una vera anomalia. Come dice Balduzzi, di solito all'estero gli esami si fanno una volta l'anno, alla fine del corso. Se l'esame va bene, si prende il voto e basta, se va male sono dolori. Nessuno può prolungare all'infinito la durata del corso di laurea e nessuno si può permettere di "rifiutare" un voto. In Italia si crea la situazione paradossale che il 30% dei laureati strappa il 110 e lode (una percentuale molto alta), ma abbiamo la media di durata degli studi più lunga. Va ricordato che l'appello mensile, è una "conquista" decennale, voluta fortemente dagli studenti. Ma è veramente nel loro interesse? Cioè, è nell'interesse di chi crede che gli studi universitari dovrebbero rappresentare la propria "dote" e quindi essere adeguatamente valutati poi nel mercato del lavoro? Si dirà che ci sono gli studenti lavoratori, che ci sono mille problemi, che c'è chi è più lento e chi è più veloce...ma tutto ciò non cambia il fatto che il confronto con i sistemi universitari stranieri lascia perlomeno perplessi. Una modifica di questi meccanismi probabilmente sarebbe utile anche a ridare dignità e valore al diploma di laurea.

lunedì 15 settembre 2008

SCUOLA: LUTTI, AUTOCRITICHE E WEB



Se è vero che oggi a Roma genitori e professori di 70 scuole si presenteranno al suono della campannella con il lutto al braccio, per quello che la povera Gelmini sta tentando (e sottolineo tentando), cioè di ridare un senso a una scuola che quasi non ce l'ha più....bè, vedremo se veramente lo faranno. Della serie: la fiera dell'autolesionismo.


Approfitto dell'occasione per segnalare l'articolo di Claudia Mancina sul Riformista di qualche giorno fa, che mi era sfuggito e invece merita di essere letto, sottolineato e conservato. Titolo "Caro Pd, la Gemini ha ragione". Chi avrà la pazienza di leggerlo vedrà come un politico e intellettuale di sinistra, che conosca i problemi della scuola, non possa evitare di prendersela con i lunghi anni delle riforme della scuola della sinistra e con gli equivoci nei quali è caduta. Per esempio, quello che qui dico sempre, l'errore di considerare la scuola come l'insieme dei problemi sindacali dei docenti, invece che come l'insieme dei diritti e dei doveri degli studenti; o il malinteso egualitarismo, che ha prodotto mancanza di promozione sociale per i più svantaggiati; o semplicemente l'impreparazione sempre più diffusa degli studenti, che come al solito danneggia chi è già più impreparato.



Mi sembra poi che valga la pena seguire lo Scuola@day del Sole24Ore che oggi dedica una lunga non stop all'argomento sul proprio sito web

mercoledì 10 settembre 2008

PRIMO GIORNO DI SCUOLA. Diario di bordo




Seconda media, primo giorno di scuola dell'era Gelmini.





La scuola comincia mentre infuriano le polemiche su giornali, radio, tv e web. I genitori e i ragazzi hanno scoperto fortunosamente che il rientro in classe era stato fissato, durante l'estate, al 10 settembre. Peccato che alla fine dell'anno scolastico tutti pensavano che le scuole a Roma ricominciassero il 15. Tanto peggio per chi aveva deciso di fare le vacanze nella prima metà di settembre (negli uffici le vacanze si pianificano verso maggio).
I giorni precedenti al rientro sono stati occupati dai preparativi e, per molte famiglie, dalla pianificazione dei pomeriggi che ci aspettano, con incroci difficili tra orari scolastici, palestra, musica, e altre attività che la scuola non garantisce a sufficienza (per esempio lingua straniera, gruppi scout, eccetera), nonché orari di lavoro dei genitori, arruolamento di baby sitter, nonni, eccetera. Ma il primo scoglio si è presentato proprio oggi: a che ora usciranno i ragazzi? Ci sarà un orario provvisorio, si sono detti i genitori, che si illudevano di basarsi su un empirica esperienza pluridecennale (la propria di studenti e di genitori). Nessuna comunicazione ufficiale della scuola, nessun cartello sul portone (perfino Martin Lutero, in tempi ante-internet aveva usato questo sistema per diffondere le proprie tesi e lo aveva trovato abbastanza comodo). Diciamo il minimo. No, l'unica era svolgere un'inchiesta personale e, stamattina, la voce ufficiale della scuola è stata un gentile bidella (ma forse chiamarla così è scorretto, me ne scuso) che, interrogata, comunicava gioiosamente che la scuola faceva subito l'orario pieno con la mensa e tutto. I ragazzi delle sezioni a tempo pieno, quindi, usciranno alle 16,10. Il motivo di tanta efficienza? "Gli insegnanti quest'anno ci sono tutti!" La Gelmini ha fatto il miracolo, e questa sembra una bella notizia.

Però. Però ci potremo chiedere se per i ragazzi sia giusto cominciare fin dal primo giorno con un orario così lungo, o se invece, non fosse meglio partire con tre-quattro ore di lezione e poi passare, nel giro di pochi giorni, all'orario pieno. Questo non se lo chiede nessuno. "Gli insegnanti ci sono". Gelmini o non Gelmini, la scuola ruota, questo è il punto, intorno agli insegnanti: se loro non ci sono, tanto peggio per i ragazzi e le famiglie; se ci sono, tutti sui banchi per otto ore fin dal primo giorno. Ma cosa è meglio per gli studenti? Vogliamo chiedercelo?

L'Ocse intanto ci informa per l'ennesima volta che la scuola italiana ha prestazioni scadenti, che gli insegnanti da noi sono più numerosi che in altri paesi, che guadagnano meno, lavorano meno e, aggiungiamo noi, nessuno sa più come vengano selezionati. Si parla ora tanto di merito, di qualità...ma chi e come scoprirà se un insegnante è capace di insegnare, se è competente, se sa trasmettere entusiasmo, regole, capacità ai suoi alunni? Su questo, purtroppo, c'è un notevole silenzio. Però si dibatte sul maestro unico. Chiaro che negli anni tutti siamo giunti a pensare che era meglio dividere il rischio attraverso più docenti piuttosto che puntare su un solo maestro che, se incapace, ci sarebbe rimasto sul groppone per molti anni. Insomma il problema vero è la competenza e l'autorevolezza degli insegnanti. Non la divisa, i voti o altri dettagli. Agli studenti, dei problemi dei prof, che siano personali o sindacali, importa poco. Sono i prof che devono interessarsi dei problemi degli studenti e non sarà certo aumentando le ore di lezione fino allo svenimento che migliorerà la preparazione. Lo dimostra il fatto che nelle scuole straniere si passa più tempo a ricreazione e meno sui banchi. Eppure si impara di più. Per approfondimenti, due interessanti articoli in merito al maestro unico sulla voce.info qui e qui.

domenica 7 settembre 2008

DONNE, SCUOLA, LA POLITICA A CACCIA DELLA REALTA'
















Le vacanze sono quasi finite. E' ora di riprendere a lavorare e a discutere. Sono due i temi sui quali quest'anno si concentrerà l'attenzione di Cambiamondo: la scuola e le donne. Oltre, naturalmente, ai soliti, i giovani, il lavoro, la produttività, la conciliazione tra lavoro e vita. E chissà che quest'anno non si impongano anche altre questioni. Per esempio, non mi negherò delle incursioni nelle elezioni americane, che potrebbero cambiare il panorama politico non solo negli Usa ma in tutto il mondo.





Intanto, però, la scuola, le donne. Due temi che sembrano avere poco in comune, o forse "troppo". Ma che rappresentano due territori nei quali la politica deve toccare per forza la realtà. E sporcarsi le mani. Sui giornali di questi giorni se ne parla molto. Delle donne, per esempio, su La Stampa Barbara Spinelli tratta con una certa sufficienza e sdegno questa irruzione delle donne nella politica contemporanea. Vi ci vede una sopravvalutazione del "corpo", cui contrappone una politica nella quale la fisicità, il corpo, lo stesso gossip, erano esclusi. Una politica fatta da intellettuali, da politici "puri". Ma ricordiamoci che quella era la politica in cui dominavano le ideologie tradizionali, il fascismo, il comunismo. Oggi l'ideologia non ha più diritto di vita e di morte sulla politica, il che non vuol dire che sia finita. Si può fare idologia su ttto, sulla pancia delle donne, come sulla falce e martello. Un bel groviglio, testimoniato da una visione completamente opposta, che è quella di Antonella Boralevi su Il Messaggero. Se la Spinelli storce la bocca per l'ideologia della "femmina portatrice di novità", la Boralevi ne saluta l'aspetto salvifico. Purtroppo, quando ci sono di mezzo le donne, non si riesce mai a essere normali. Però io non riesco a rimpiangere nemmeno la "normalità" di barbogi incravattati, che parlano di politica come se non riguardasse la vita delle persone.





Un discorso simile vale per la scuola. Qui si deve mettere il dito nella piaga e cercare di toccare la realtà. Ma ci si accorge subito quanto la realtà ci sfugga, annegata nella nebbia dei luoghi comuni, delle inezie, di problemi marginali, di grandi tabu. Un esempio per tutti: sul Corriere della Sera c'è un'inchiesta sugli insegnanti, vecchi, mal pagati, precari a vita. Una fotografia purtroppo esatta, che però vede la realtà solo da una parte di un immaginario vetro magico: quello degli insegnanti. E il punto di vista degli studenti, la loro esigenza di avere in classe professori bravi, preparati, autorevoli, divertenti (e sottolineo divertenti) ? Ignorato. Si racconta solo la triste solfa di professori che hanno cominciato a lavorare a 34 anni, che a 54 ancora non hanno una cattedra fissa (ma siamo proprio sicuri che agli studenti non faccia bene cambiare insegnante ogni anno?), che non sappiamo quanto siano preparati, che selezioni abbiano superato, con quale punteggio, con quali risultati tra i ragazzi. Di ciò nulla si dice. Anzi, è un tabù. Come si potrebbe mai osare di mettere in discussione la preparazione di un insegnante che lavora da 20 anni? Eppure tutti noi conosciamo chi, lavorando da una vita, lavora sempre male. Ecco, come sempre, farò arrabbiare qualcuno, speriamo.

giovedì 7 agosto 2008

I PRECARI E I MALATI DI BRUNETTA


Se uno è malato, è malato. Ma se il numero dei malati crolla del 77% in un ufficio, e ciò avviene dopo che il responsabile del ministero ha annunciato una stretta sulla assenze, che cosa se ne deduce? Il 77%! In una amministrazione potrebbe essere un caso: magari l'anno scorso c'era stata un'epidemia di varicella...ma se quella percentuale si replica anche in altri uffici, evidentemente qualche malato si è spaventato, e lo spavento gli ha fatto bene.

Ora, ai precari voglio dire: quanti di voi lavorano anche per quei "malati", che finora non hanno avuto nulla da temere?

Attenzione, però, se uno è malato, è malato, e su questo non si scherza...



A proposito, ecco la tabella. La cifra rappresenta la percentuale di assenti 2008 calcolata su luglio 2007:

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Cnel -77%

Aran -71%

Comune Torino -60%

Regione Liguria -55%

Ministero Istruzione -54%

Regione Lazio -52%

Enea -50%

Ministero Economia -44%

Cnr -44%

Inpdap -43%

Ministero Lavoro -42%

Istituto sanità -41%

Ministero Esteri -39%

Comune Genova -39%

Agenzia Entrate -38%

Istat -38%

Regione Sardegna -38%

Regione Campania -37%

Agenzia Territorio -35%

Agenzia Farmaco -34%

Comune Milano -33%

18 province (**) -32%

Ministero Difesa -31%

Istituto C. estero -28%

Ministero Giustizia -28%

Regione Veneto -28%

Aci -27%

Comune Napoli -25%

Inail -24%

Ministero Sviluppo -22%

Monopoli -19%

Regione Lombardia -6,6%

Regione Friuli V.G. -0,6%

Ministero Ambiente +2,0%


(**) = Pordenone, Cagliari, Lecco, Imperia, Brescia, Perugia, Pisa, Venezia, Frosinone, Ancona, Reggio Emilia, Pesaro e Urbino, Rieti, Piacenza, Rimini, Biella, Forlì-Cesena, Ravenna.

venerdì 1 agosto 2008

COMPITI DELLE VACANZE


Si è aperto ieri un tavolo di discussione parlamentare sul tema dell'occupazione femminile. Intorno a questo punto sono convinta che si giochi una bella fetta del futuro dell'Italia. Sviluppo, competititvità, modernizzazione, nuovo welfare, scuola...lo stesso dibattito sul merito e la valorizzazione delle competenze, ha molto a che fare con un mercato del lavoro nel quale siano inserite a pieno titolo le donne, e dal quale le donne non siano discriminate.

Non ci possiamo aspettare risultati immediati, questo è chiaro. Ma tenere gli occhi puntati su questo gruppo e su questo tema, sì. E' un impegno. Riporto qui il link al post di Valeria Manieri e alla notizia con i nomi dei parlamentari che hanno deciso di mettere la loro faccia in questa intrapresa. Sono parlamentari sia di destra che di sinistra, maggioranza e opposizione: Emma Bonino, Donatella Poretti, Elisabetta Zamparutti, Cincia Bonfrisco, Maria Ida Germontani, Laura Bianconi, Ombretta Colli, Benedetto Della Vedova, Annamaria Carloni, Maria Leddi Maiola, Pietro Ichino, Marianna Madia, Valeria Manieri, Cristina Ricci. Al prossimo incontro, fissato per il 24 settembre, tutti dovranno dimostrare di avere fatto i compiti delle vacanze.

venerdì 25 luglio 2008

IL LIBRO VERDE DI SACCONI

Un welfare delle opportunità, dedicato ai giovani e con l'obiettivo di ricostruire la fiducia nel futuro.
Sono questi i primi concetti chiave espressi nella prefazione al Libro verde sul lavoro del ministro Maurizio Sacconi. "La vita buona nella società attiva- Libro verde sul futuro del modello sociale" è il titolo. Come si vede, il lavoro è sullo sfondo. Come scrive Sacconi nella prefazione , la questione del lavoro si inserisce in un contesto di cambiamento sociale, economico e culturale, e "un aumento della qualità dell'occupazione e delle occasioni di lavoro per un arco di vita più lungo si traduce in maggiore salute, prosperità e bene essere per tutti". Si pensa, aggiunge Sacconi, "a un welfare delle opportunità, che si rivolge alla persona nella sua integralità". Un welfare che "potrà offrire migliori prospettive soprattutto a giovani e donne, oggi penalizzati da una società bloccata e incapace di valorizzare il proprio capitale umano".
In questa cornice si sottolinea che il lavoro non deve essere considerato "una maledizione o, peggio, una attesa delusa, ma costituisca fin da subito nel ciclo di vita la base dell'autonomia sociale delle persone e delle famiglie".
La prefazione si conclude indicando come obeiettivi e temi da discutere: le disfunzioni, gli sprechi e i costi attuali; la sfida della transizione verso un nuovo modello che accompagni le persone nell'intero ciclo di vita; la sostenibilità finanziaria di qualunque politica; un sistema di protezione universale, selettivo e personalizzato che misuri su giovani, donne e disabili, in termini di vera parità di opportunità, l'efficacia delle politiche; la possibilità di fondare su questa base grandi programmi di natalità, di politiche della famiglia, della formazione e dell'occupabilità, di prevenzione sanitaria.
Il ministro apre una consultazione su questo libro, che ora tutti possono leggere. Vorrei raccogliere qui , nel nostro piccolo un minimo di dibattito. Mi pare che si prefiguri un modello di flexicurity. Una flexicurity all'italiana forse. Comunque credo che valga la pena leggersi tutto il libro verde (io lo farò nelle prossime ore) e approfondire. Lo trovate sul sito della Fondazione Marco Biagi Adapt.

martedì 22 luglio 2008

RACCOMANDATI


Segnalo la discussione che si è accesa su JobTalk a proposito di meritocrazia (assente) e di raccomandati.



Lo spunto è il bel libro di Roger Abravanel, Meritocrazia, che raccomando a tutti i lettori, per le informazioni, i racconti, i suggerimenti. E' una vera e propria miniera, raccontata da una persona che per tutta la vita ha veramente vissuto nel mondo del lavoro e conosce i meccanismi, in Italia e all'estero.
Per alimentare la discussione segnalo anche il post sulle imprese familiari, pregi e difetti, di un collega blogger, L'Imprenditore. tema che peraltro è ben analizzato anche nel libro di Abravanel.



Io ho sempre odiato raccomandazioni e raccomandati. Anzi, a dire il vero, ho sempre temuto le raccomandazioni come la peste: in due sensi. Primo, che mi fregasse qualche raccomandato. Secondo, che se avessi cercato una raccomandazione, sarei potuta incappare in qualcuno che odiando il raccomandante, avrebbe "bocciato" anche me. Meglio sbagliare da soli, è sempre stato il mio motto. (Presunzione?!)



Tutte le ricerche dicono che gli italiani invece credono nelle raccomandazioni... soprattutto sono convinti che servano agli altri. Lo sport nazionale è accusare i raccomandati di avere penalizzato "il sottoscritto". A volte ho sentito anche racconti di raccomandazioni finite male, cioè di promesse non mantenute. Quanti, invece, sono in grado di raccontare una raccomandazione andata "a buon fine"? Perché non provate a farlo? Sarebbe interessante. magari ci spiegherete che spesso é "una necessità"...Anonimamente, certo.



lunedì 21 luglio 2008

I SALDI E L'ANIMA DEL COMMERCIO



In Italia si piange sui saldi flop. La conclusione è che gli italiani si sentono poveri, la crisi incombe, il disastro è vicino. Ma avete provato ad avvicinarvi a qualche negozio del centro di Roma, anche se con i saldi? Tutti noi abbiamo gli armadi pieni di vestiti pagati troppo, e spesso passati di moda. Io ormai mi faccio attirare un po' solo dalle bancarelle...e poi l'Irlanda.


In Irlanda ho comprato moltissimo, senza volerlo! Si entra nei negozi del centro e ci sono prezzi incredibili: dai 2 ai 20 euro a pezzo. Poi , magari, quando arrivi alla cassa, ti fanno un altro po' di sconto.


Ho passato un pomeriggio in un magazzino continuando a prendere roba bellissima e a buttarla dentro una sacca con una voluttà consumistica pazzesca: magliette, pantaloni, biancheria intima, calzini (bellissimi, a righe, disegni, colorati, di cotone, perfetti), felpe, giacche, impermeabili (faceva freddo e non avevo niente di pesante). Alla fine ho speso 100 (dicasi cento) euro. In un altro negozio un giorno ho comprato un paio di occhiali da sole e una maglietta, tutto scontato: credevo di spendete sui 18 euro. Alla cassa ho speso 9,75. Ripeto: ovviamente la gente spende, i negozi, benché anche lì si parli di crisi e disoccupazione, lavorano, e sui giornali non ci sono lamentele dei commercianti. Sicuramente qualcuno mi spiegherà che sbaglio.

giovedì 17 luglio 2008

MADRI INGLESI


La Gran Bretagna è un paese che in quasi tutte le classifiche internazionali sta molto più avanti dell’Italia. Per quanto riguarda la condizione delle donne nella società e nel lavoro, sembrerebbe anni luce davanti a noi. In Italia lavora solo il 46% delle donne, in Gran Bretagna invece sono molto vicini (con un 56% circa) all'obiettivo minimo fissato dalla Ue (il 60%), si fanno più figli che in Italia, e gli uomini sembrano molto più propensi degli italiani a svolgere ruoli ”misti”: il mito del macho latino non li ossessiona. Eppure in Gran Bretagna si discute di diritti delle donne proprio come da noi, anzi forse di più. Il governo sta progettando di estendere il diritto all’aspettativa facoltativa per le madri (dai 9 mesi a un anno). Attenzione, è saltata su l’Authority per le pari opportunità inglese: si rischia di rendere meno attrattivo per le aziende l’assunzione di una donna, e quindi si può ottenere l’effetto contrario, come già qualche segnale sembra indicare. E badate che in Gran Bretagna molte donne usufruiscono del part-time, che consente di svolgere bene il ”doppio ruolo” madre e lavoratrice, ma certo non permette grandi voli di carriera.Il punto di domanda è: ma insomma, le donne non avranno mai vere pari opportunità? Anche in Gran Bretagna resiste sempre lo stereotipo della donna-madre e del padre-lavoratore? Sia su The Times che sull’Independent, il tema è stato analizzato e discusso. Ancora una volta, più che sulle donne, l’attenzione sembra concentrata sugli uomini. (Si veda qui un riassunto della legislazione in tema di astensione dal lavoro per maternità-paternità(Non è il loro nuovo ruolo (ammesso che riesca ad affermarsi il ruolo di uomo-padre-casalingo), più di ogni altra cosa, quello che farà la differenza nelle famiglie, nelle aziende e nella legislazione?

martedì 15 luglio 2008

INVENTIVA A DUBLINO



Torno or ora dall'Irlanda, dove tra le tante cose (che sicuramente salteranno fuori nei post dell'estate prossimi venturi) ho provato un giorno l'eco cab. Girovagavo alla ricerca dell'autobus giusto o magari di un taxi, per placare le proteste di una figlia troppo stanca per continuare a camminare, dopo una mezza giornata di scarpinate ...vedo in mezzo alla strada questi strani mezzi, che vedete sopra, con la scritta FREE. La mia reazione, da italiana diffidente, era quella di girare al largo (magari mi volevano vendere qualcosa...) e comunque non può essere free. Invece, trascinata da mia figlia mi avvicino e scopro che la corsa, per una qualunque destinazione a Dublino centro, è effettivamente gratis. I turisti sono contenti, gli sponsor dei mezzi anche, la città è meno inquinata, i taxi subiscono un po' di sana concorrenza, i ragazzi che li guidano sono contenti: vengono pagati dagli sponsor, si fanno un sacco di risate, parlano con i turisti, e si tengono in forma, perché la forza motrice sono loro, che pedalano. Fine della corsa, ciao ciao e mille grazie. Una mancetta è gradita ma non obbligatoria. Magari questi sponsor crescessero e riempissero i centri delle città di mezzi del genere, ma non solo....il punto è che molte volte basterebbe un po' più di inventiva e un po' meno di diffidenza, per trovare delle cose nuove, con effetti positivi in molti campi.
A proposito del post precedente, che vi ha intrattenuto e, come vedo, anche appassionato parecchio nella prima metà di luglio, il tema meriterà certamente dei ritorni. In Irlanda, comunque, si fanno più figli che da noi, ma molti di meno di una ventina di anni fa, quando gli irlandesi erano veramente poveri. Allora rimsi impressionata a vedere famiglie con sei sette figli di media. Ora che sono più ricchi il dato è sceso a livelli "europei", ma è sempre avanti a noi. Direi che ne riparleremo

martedì 1 luglio 2008

CULLE VUOTE, PADRI ASSENTI


L’Europa ha le culle vuote, scrive il NewYork Time Magazine di questa settimana. L’America si preoccupa per il vecchio continente e studia la situazione di un enorme territorio dove la natalità è bassa, la mortalità anche, l’invecchiamento veloce e, in fondo, l’immigrazione non è certo sufficiente a mantenere i livelli di popolazione, nonché il vecchio sistema di welfare state funzionante. L’analisi maturalmente va anche più in profondità e si nota come ci siano grandi differenze tra un paese e l’altro d’Europa. Tanto per fare degli esempi (non a caso), l’Italia ha il tasso di natalità più basso d’Europa, mentre l’Olanda per esempio sta molto meglio. Da che cosa dipende? Alcuni studi hanno notato la correlazione tra il basso tasso di attività delle donne sul mercato del lavoro e il basso tasso di natalità: infatti l’Italia è anche il paese d’Europa nel quale le donne lavorano meno fuori di casa. Però tra i due fenomeni c’è certamente una correlazione, non è detto però che ci sia un rapporto diretto di causa ed effetto. Lo stesso articolo del NYTM nota che non solo in Italia l’aiuto alle famiglie (in termini di asili nido, bonus e quant’altro) è più basso che in altri paesi, ma c’è un altro fattore cruciale.Il punto chiave è che quando nasce un bambino, la cura e la responsabilità di questo bambino è tutto sulle spalle della madre. Tranne rare e lodevoli eccezioni, i genitori non si dividono alla pari i compiti domestici e di cura. Ecco perché un secondo figlio, anche se la madre lavora (e quindi ci sarebbero in teroria i soldi per mantenerlo), diventa un carico di lavoro insopportabile, tutto sulle spalle delle donne. In Olanda, invece, tanto per continuare nell’esempio, oltre alla ampia diffusione del part-time, i padri si fanno carico di una bella fetta di compiti di cura. Conclusione dell'Economist: serve più flessibilità del mondo del lavoro, ma serve anche che i padri cambino di più i pannolini. ”Non sembra difficile (it doesn't sound like rocket science), ma le vecchie abitudini sono dure a morire". Chiosa di un lettore: ”Sembra che i macho italiani abbiano sempre meno rampolli di cui andare fieri.

domenica 29 giugno 2008

LAVORO, UN PATTO DI RESPONSABILITA'



Mentre il governo si dibatte nella tormenta dei problemi della giustizia (?) mi sembra utile mantenere lo sguardo sui problemi concreti di cui continuano ad occuparsi i comuni mortali e, per fortuna, anche qualche ministro. Sul Messaggero di oggi c'è un'intervista al ministro del Welfare e Lavoro, Maurizio Sacconi, che vale la pena di leggere. Il cappello generale è quello di una sorta di "patto" che Sacconi vorrebbe proporre alle cosiddette "parti sociali" (imprenditori e sindacati) per uscire dalle strettoie salariali e di crescita: uno scambio tra meno tasse e più produttività. Questa è già la filosofia della detassazione degli straordinari, e vedremo quali effetti concreti avrà. Chiaro che anche i lavoratori, sulla produttività, più di tanto non possono fare se i datori di lavoro non mettono in atti sistemi di innovazione e anche di misurazione della produttività stessa. A meno che non si parli solo di fabbriche e sia possibile quantificare i pezzi lavorati. Ma anche questo oggi è un po' vecchio stile.
Mi sembra degno di nota un passaggio dell'intervista (fatta dal collega Luciano Costantini): "Parlerei - dice Sacconi - di una forma di gestione condivisa non dell'impresa ma di tutto ciò che riguarda il lavoro e il lavoratore. Ancora, di diritto alla formazione, di diritto del lavoratore a essere accompagnato quando deve cercare un nuovo posto, di diritto alla sanità e alla previdenza integrativa. Gli organismi bilaterale si devono occupare ogni giorno di come rendere i posti di lavoro sicuri e di come fare al meglio formazione in azienda" Io non credo che siano solo parole. Sacconi è una persona esperta, che diceva queste cose anche prima di diventare ministro. Mi chiedo però se la nostra società, lavoratori e aziende comprese siano pronti per fare questo salto di qualità, che sarebe molto importante e che implica un concetto che ha poca circolazione in Italia, ma che nei luoghi di lavoro stranieri è comune, il concetto di responsabilità. Vedremo.





Segnalo anche, per la stessa serie "occupiamoci delle cose che ci riguardano da vicino", l'intervista sul Giornale al ministro della pubblica amministrazione e innovazione, Renato Brunetta. Un'altra delle menti più competenti di questo governo. Brunetta va avanti nella sua operazione trasparenza e presto metterà a disposizione di tutti altri dati e liste sulle spese per consulenze delle amministrazioni pubbliche. Speriamo che in noi non subentri una anestesia da informazione. Anche in questo caso, Brunetta non cita il concetto, ma secondo me emerge chiaramente: un'etica della responsabilità nella Pa, dai dirigenti agli uscieri, potrebbe fare miracoli.

mercoledì 25 giugno 2008

"ATTACCO MORTALE ALLA SCUOLA" ?


Ha proprio ragione Emma Bonino a proposito degli stereotipi e degli automatismi! Agiscono in modo implacabile. E soprattutto sulle donne. Per cui a lei è bastato inventarsi una "notizia" da stereotipo ("Sono innamorata a 60 anni!") per avere attenzione dai giornali, dopo che tentava da giorni di parlare di altri argomenti che le stavano a cuore, come per esempio il vertice Fao sulla nutrizione.


Bene, questo funziona anche per i sindacati. E' bastato che il ministro Gelmini dicesse: spendiamo troppo per la scuola, ma dobbiamo motivare e pagare meglio gli insegnanti, quindi dovremo "tagliare" il numero. Tra l'altro visto che da noi ci sono più insegnanti che in Germania e che i risultati scolastici dei nostri ragazzi sono a dir poco così così, forse c'è qualcosa che non va, e non è la mancanza di insegnanti, ma quella di "buoni" insegnanti...
Subito i sindacati sono saltati su a dire: attacco mortale alla scuola! Difficile capire come si possa fare un attacco mortale a un cadavere. Piuttosto, una cura shock forse potrebbe risvegliarlo. Speriamo.


A proposito: quando si parla di scuola tutti si preoccupano degli insegnanti e dei precari. Ma ci fosse un cane che si preoccupa degli studenti, costretti a sciupare i loro anni migliori in una struttura senza né capo né coda.

mercoledì 18 giugno 2008

STABILIZZAZIONE PER I SOMMINISTRATI

Dalla viva voce di Gianni Bocchieri, vicepresidente di Assolavoro, associazione delle agenzie di lavoro: ecco cosa ambia dopo gli accordi tra rappresentanti dei lavoratori e delle agenzie.


martedì 17 giugno 2008

ESTATE, TEMPO DI LAVORO...



Questa sembra un po' dura. Ho trovato su JobTalk il rinvio a questo articolo del Wall Street Journal: Make vacation work. In sostanza consiglia ai nuovi assunti, o comunque giovani al lavoro,

come comportarsi prima di andarsene in vacanza e soprattutto cosa cercare di fare quando gli altri vanno in vacanza. Della serie: mica vi vorrete rilassare d'estate? le vacanze sono la migliore occasione per lavorare bene e mettersi in mostra! So che alle vostre orecchie sembra un po' forte. Il mondo cambia, lo capisco e l'America ben poco sa delle abitudini italiane... In effetti, però, devo dire che anche quando ho cominciato io era così, e allora non ci pesava, tanta era la voglia e l'entusiasmo. Chissà voi cosa ne pensate.

domenica 15 giugno 2008

DONNE, PENSIONI E TROGLODITI (NON FELTRI PERO')


Oggi Vittorio Feltri su Libero , con la sua solita penna, oltre a fare l'elogio di Brunetta e oltre a spronarlo ad andare avanti con la scure nella pubblica amministrazione, avanza anche la semplice proposta di alzare l'età pensionabile delle donne a 65 anni, la stessa degli uomini. Fantastico, è il pezzo che ho scritto due giorni fa, sul Messaggero e qui. Feltri commette un solo errore, secondo me: si dimentica di dire che per ogni donna forte ed emancipata, capace dell'impossibile, ce n'é almeno un'altra che va "aiutata" a non sobbarcarsi tutto il fardello di attività che gli uomini scaricano su di lei: cura della famiglia, dei figli, degli anziani, di se stessi...


Per il resto concordo pienamente con il Direttore, soprattutto con l'appello: "Trogloditi, scendete dalla pianta!"

venerdì 13 giugno 2008

ALZARE L'ETA' DELLA PENSIONE PER LE DONNE?


Alzare gradualmente l’età della pensione per le donne non può essere tabù: le donne vivono più degli uomini e, molto spesso, sono proprio loro a voler lavorare oltre i 60 anni, per rimpinguare i loro assegni di vecchiaia, mediamente molto più poveri di quelli degli uomini. L’idea di equiparare l’età pensionabile di donne e uomini, quindi, è in linea di principio giusta. Vista la deriva dei conti del sistema previdenziale italiano, è anche inevitabile. Ma, attenzione, non può piovere sempre sul bagnato. Vanno messe delle condizioni precise: se le donne devono essere ”uguali” di fronte alla pensione, allora vanno rese ”uguali” anche per tutto il resto della loro vita lavorativa. E attualmente così non è. Le donne lavorano, tra ufficio e attività domestica, molte ore più dei loro compagni (75 minuti al giorno di più, in media), e spesso non riescono a fare i figli che desidererebbero perché mille ostacoli vengono frapposti al loro impegno, sul lavoro e fuori: non hanno asili nido a sufficienza (ci sono posti solo per 6 bambini su 100), non hanno a disposizione servizi sociali adeguati, non godono di orari compatibili con una vita extralavoro (come anche gli uomini), non riescono a fare carriera come gli uomini e, non ultimo, non hanno l’appoggio né delle aziende né dei loro compagni, che raramente condividono le incombenze familiari al 50%. Guarda caso l’Italia è il paese con il più basso tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro (46%) e anche con il più basso tasso di fertilità (1,3 figli per donna). Come mai? Perché in Italia il peso caricato sulle spalle delle donne è troppo pesante, mentre le soddisfazioni in termini di remunerazione, promozione sociale, prestigio, sono troppo poche. Allora, se il ministro del Lavoro Sacconi, come sembra, sta studiando il modo di raccogliere la proposta fatta già nella scorsa legislatura da Emma Bonino, di equiparare l’età pensionabile, ben venga. Ma bisogna che lo faccia nello stesso istante in cui alle donne darà gli strumenti per una migliore vita lavorativa. E questo va messo nero su bianco: per ogni milione di euro risparmiato con l’innalzamento dell’età va chiarito in che modo saranno utilizzati quei soldi, quali benefici arriveranno alle donne in età lavorativa. La pensione anticipata per le donne, come ha scritto la professoressa Elsa Fornero, non deve essere una compensazione tardiva per opportunità negate in precedenza. Però , l’elevazione dell’età non può essere nemmeno l’ennesima penalizzazione per quelle donne che tutta la vita hanno già sopportato il doppio carico in casa e fuori.
pubblicato anche sul Messaggero del 12 giugno 2008

martedì 10 giugno 2008

SCUOLA DEL MERITO...E DEL DEMERITO



I nostri giovani sono in grave ritardo rispetto a quelli di altri paesi.. Le loro competenze in matematica sono indietro almeno di un anno, la differenza tra Nord e Sud, nell’insegnamento e nei risultati, è molto ampio. Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, è tornato con queste parole sul tema giovani e scuola, proprio nel giorno in cui il ministro Gelmini ha presentato il suo piano.

Per la prima volta da molti anni, un ministro non ha presentato ingegnerie strutturali (tipo progetti, piani, riorganizzazioni dell’insegnamento tipo 3+2, 5+3, 8-1), ma ha detto che bisogna pagare di più gli insegnanti e far valere il merito nella scuola. Si è aggiunto anche il ministro della Funzione Pubblica, renato brunetta, il quale ha anunciato: gli insegnanti italiani dovranno essere i più pagati della Ue. Bene: questo implica che il loro numero cali drasticamente, e che vengano reclutati con sistemi diversi da quelli utilizzati finora, con immissioni periodiche di precari sfiancati. Vedremo.
Intanto, visto che parlare di scuola conduce anche a parlare di Università, segnalo il link a un interessante pezzo su Noise from amerika sul sistema universitario americano e sull’annoso problema se in Italia dovremmo abolire il valore legale del titolo di studio, far pagare di più le tasse universitarie o no.
Un’unica considerazione conclusiva: è chiaro che se si reintroduce la concorrenza e il merito, ci sarà qualcuno che sarà premiato e qualcuno che sarà castigato...siamo pronti per questo?

giovedì 5 giugno 2008

UN EX DANDY RACCONTA




Chissà se qualcuno si ricorda del dandy dei nostri giorni, quel Mario che mi scriveva tempo fa raccontando della sua propensione alla pigrizia, ma anche della sua disillusione in Italia e delle sue esperienze in Giappone? Bè, il dandy si è trasformato e mi ha riscritto, per raccontarmi come anche lui ora si sente uno che in qualche modo ce l'ha fatta. Certo, la strada è ancora lunga e Mario-l'ex-dandy dovrà probabilmente trovare nuove svolte, nuove crisi e certo nuovi successi. Ma almeno ora una cosa la sa:
"CE la si può fare, anche quando la mala sorte sembra impegnarsi davvero...Era l'agosto del 2007 quando il mio coinquilino nippo americano salì in camera mia. Al momento stavo spedendo i curriculum in giro per aeroporti e società di servizi irlandesi e scozzesi in cerca di una paciosa sistemazione come attendente multilingue.
La porta si apre e lui "non voglio che te ne vada". "Ok - rispondo io - che si fa?". Scopro così che stavano cercando nuovo personale nella sua compagnia, la più grande agezia di reclutamento/collocamento del Giappone. Si fissa il colloquio col capo del personale e vado. 4 ore la prima intervista con la HR lady e 4 consulenti. Scavalco il gradino e passo al secondo colloquio. 3 ore con tanto di test pratico di cold calling. Scavalco anche questo. Assunto. Grande traguardo, soprattutto perchè il permesso di soggiorno sarebbe scaduto entro 4 settimane e non avevo poi questa sfavillante esperienza lavorativa, a parte un anno e mezzo di tirocinio in un'azienda elettrica di uno zio prossimo alla pensione.
Poco importa, ero appena entrato seriamente nel mondo del lavoro. Qualche mese di attesa per il regolare visto e il 10 ottobre ho preso servizio.Purtroppo il team francese della mia azienda era l'unico alla ricerca di nuovi consulenti, così Charles, Nicolas, Guillaume e Thierry hanno avuto un nuovo collega da maltrattare. Di lì in poi tante nuove scoperte: la gente mente, la gente se ne frega, la gente vuole solo soldi. Così, chiuso nel puro cliché, della compagnia gestita all'americana ho imparato tanto, soprattutto che la vita lavorativa è dura quando c'è lo spauracchio di una email che ti dice di sgomberare la scrivania e di andare via in mezz'ora. Di lì la mia buona sorte mi ha fatto diventare il pupillo del senior consultant più rispettato, che mi ha preso come figlioccio e tirato via dal gruppo transalpino.
Ora nessuno mi può toccare; le ore di lavoro sono sempre undici, dodici al giorno e si fatica. La soddisfazione è però grande, soprattutto quando diventi "residente a Tokyo", quando mamma non ti manda più i soldini per continuare a fingerti studente, quando non hai più la stretta allo stomaco che qualcuno ti possa chiedere "che fai?" e rispondergli che sei un disoccupato. Era questa la mia più grossa paura, ma averla superata è ora il mio più grosso onore.
Me ne sono andato, ho lasciato tanto ma ho trovato una fiera sistemazione, guadagno molto più dei miei amici e ora non vedo l'ora di incontrare qualcuno che mi chieda che faccio.Sono un consulente del lavoro e vivo a Tokyo.Questo è quello che conta ora.
Mario "

mercoledì 4 giugno 2008

PIU' TUTELE PER I SOMMINISTRATI



Segnalo un'intesa interessante, e poco publicizzata, sulle tutele dei lavoratori in somministrazione, circa 600 mila persone. Qui c'è il testo dell'accordo. tra i sindacati e Assolavoro. Tra i punti principali: "Al termine di un numero variabile di missioni, prorogabili in maniera più flessibile rispetto al lavoro a tempo determinato, viene garantita al lavoratore una stabilità in ogni caso sicura e regolamentata entro 36 o almassimo 42 mesi". Miglioramenti sono previsti anche per le indennità per infortunio, l’assegno per la maternità (fino a 180 giorni dopo la fine dellamissione) e le misure per asili nido, per i prestiti ai lavoratori, la formazione.



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