lunedì 31 marzo 2008

CALL CENTER, NUOVA CIRCOLARE DI DAMIANO

AGGIORNATO CON IL LINK

ALLA CIRCOLARE SUL SITO ADAPT

Una nuova circolare del ministro del Lavoro (dopo quella del 2006) per "spiegare" e applicare la legge Biagi nei call center: anche gli operatori outbound (cioè quelli che fanno le telefonate al cliente, e non quelli "inbound" che semplicemente rispondono al telefono, che erano già stati stabilizzati) ora dovranno essere assunti come lavoratori dipendenti, tranne che in casi e condizioni di lavoro specifiche, nelle quali sia provata una vera autonomia di lavoro. C'è un termine per queste procedure di regolarizzazione, che è quello del prossimo settembre.


Tutti contenti, a quanto pare: destra, sinistra e sindacati. E questo dovrebbe finalmente placare le polemiche su questi benedetti call center, incubo e delizia di chiunque parli del lavoro "precario".


Sarei più curiosa invece di sapere cosa ne pensano gli interessati e se, o in quale modo, il loro lavoro è cambiato.

DONNE SUL WEB

AGGIORNATO

Oggi per tutta la giornata ci si può collegare al sito di web@lfemminile per parlare di donne, lavoro, web e tecnologia. Il link è sul titolo di questo post. Sono convinta che la tecnologia sia una delle armi principali per l'inclusione al 100% delle donne nel mondo del lavoro e nei rapporti sociali. Vedremo se saranno toccati temi interessanti e se uscirà qualcosa di nuovo: qui c'è il programma...magari un salto lo si può fare, tempo permettendo!
Guardate per esempio quanto è interessante questo video

venerdì 28 marzo 2008

CALL CENTER & OUTSOURCING...



A proposito di call center e dell'outsourcing: come si sa i call center anglosassoni, per costare meno, sono dislocati in altri paesi: Ho trovato un : video molto carino su un sito di Tennessee, Clarksville. Ve lo consiglio, è molto divertente, e non così irrealistico!

martedì 25 marzo 2008

IL CALL CENTER DI VIRZI'

AGGIORNATO


"Un viaggio nell'inferno della sotto-occupazione italiana, un viaggio nella nostra attualità, nella vita dell'Italia di oggi. Ma lo sguardo non è apocalittico, perché c'è l'apocalisse di sempre, basata sull'ingiustizia, forse più beffarda del solito. Se c'è un'apocalisse, è comunque allegra». Così Paolo Virzì presenta il suo ultimo film "Tutta la vita davanti". L'ho visto ieri in anteprima a Roma e devo prima dire che il film non è male, gli attori sono bravi e ogni personaggio ha una sua carica che lo rende interessante. Il regista, Sabrina Ferilli, Isabella Ragonese, Massimo Ghini, valerio Mastrandrea, Micaela Ramazzotti, Elio Germano... bravi, bravi tutti.
Ciò detto, la sensazione di deja vu di fronte ai call center, ai giovani sgrammaticati e innamorati dei miti tv e del Grande Fratello, è angosciante. In questo quadro non si salva nessuno, neanche il sindacalista di buona volontà, costantemente sbeffeggiato dai giovani tritatutto del call center. Si salva solo, un po', la protagonista: una bella ragazza acqua e sapone, intelligente ma sognatrice, laureata in Filosofia con 110 e lode e una tesi su Heidegger, che recita un po' a pappagallo di fronte a una commissione di anziani professori, decisamente fuori dal mondo e assolutamente non interessati al suo futuro. La protagonista, Marta, non si sa cosa vuole fare, forse la ricercatrice. Comunque si trova un po' per caso in mezzo ai moderni "Mostri" e, soprattutto per buon carattere, accetta di misurarcisi. Ma poi si capisce che il suo animo si lega più a una bimba piccola e a un'anziana pensionata, anche loro personaggi decisamente fuori moda.
Ma allora, questo "mondo" lo vogliamo buttare? Dopo il film di Virzì la risposta è decisamente sì. Oppure ci vogliamo ritirare tutti in campagna? Sìììì! Ma siccome un po' mi conoscete, la mia risposta non può essere questa. Ecco perché ho scritto un altro pezzo, sul Messaggero, che domani potrete anche leggere QUI.

lunedì 24 marzo 2008

PENSIONI IN ROSA



In periodo elettorale non si può dire niente di sensato. Questo purtroppo è quello che emerge. Se però uno ci volesse provare, nessun argomento mi sembra migliore di quello sull'età pensionabile delle donne. Concreto, di prospettiva (perché non riguarda né l'oggi né il domani immediato, ma il dopodomani) e denso di sviluppi.
Poiché in Italia l'età della pensione di vecchiaia per uomini e donne non è uguale (60 per le donne, 65 per gli uomini) l'Unione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia. Questo significa che è stato avviato un procedimento che si può concludere con sanzioni e multe.
Come alcuni sanno Emma Bonino, ministro delle Politiche Comunitarie, nonché radicale e candidata del Pd, ha proposto da tempo di innalzare l'età pensionabile per le donne, portandola gradualmente ai 65 anni, ma vincolando i soldi risparmiati a servizi e benefici come gli asili nido, la cura agli anziani non autosufficienti, e altri tipi di assistenza che di solito si caricano sulle spalle delle donne e impediscono loro di svolgere una vita normale, soprattutto nel periodo di lavoro più intenso, tra i 40 e i 50 anni.Soprattutto questo tipo di attività impedisce a molte donne di lavorare, infatti siamo il paese europeo con il tasso di lavoro femminile più basso. Mi sembra una proposta degna quanto meno di essere discussa. Chi vuole può documentarsi QUI.
Invece fa paura. Anzi, il fatto è che in periodo elettorale fanno "paura le parole". Il motivo è presto detto e si capisce leggendo quello che afferma un esponente di Forza Italia, che pure è un politico intelligente e competente, Maurizio Sacconi, il quale così commenta: «Il Pd vuole caricare sulle donne gli oneri del riequilibrio del sistema previdenziale», dice Sacconi, che sottolinea la loro «evidente condizione di svantaggio nel mercato del lavoro per cui raramente arrivano a fuire delle pensioni anticipate per anzianità». Se l'età della pensioni di vecchiaia fosse alzata a 65 anni, si otterrebbe -sottolinea Sacconi- l'effetto di condannarle ad un'età di pensione più tardiva degli uomini in quanto questi fruiscono largamente della pensione di anzianità. Sintesi: povere donne, gli volete togliere anche quel piccolo privilegio di andare in pensione a 60 anni? Con tutto il lavoro non retribuito che fanno per tutta la vita? Ingrati!
Intanto io vedo che la maggioranza delle donne che lavorano, arrivate a 60 anni, se ne hanno la possibilità, restano al lavoro. Ma sono convinta che Sacconi sia perfettamente al corrente di molti altri elementi:1) le donne iniziano a lavorare più tardi degli uomini, e lavorano spesso in modo più discontinuo. Farle ad andare in pensione presto significa dare loro delle pensioni da fame.2) A 60 anni la maggior parte delle donne è in buona salute e ha ormai finito di crescere i figli. Avrebbe avuto bisogno di aiuto prima, quando svolgeva doppi e tripli lavori e non riusciva a fare carriera per mancanza di servizi.3) moltissime donne in Italia non cercano un lavoro o non riescono a conservarlo perché non hanno una rete di servizi che le sostenga. Il basso tasso di lavoro femminile in Italia è una emergenza sottolineata dall'Unione Europea. Oltre a essere ingiusto, riduce la crescita, il livello del Pil, aumenta il rischio di povertà di adulti e bambini, e influisce perfino sul bassissimo tasso di natalità dell'Italia (fanno molti più figli le donne dei paesi dove lavorano di più).
Risponde la Bonino: «Si tranquillizzi Sacconi: quella sull'età pensionabile delle donne non è una proposta contenuta nel programma del Pd. È una mia proposta, della quale mi assumo la responsabilità, una responsabilità da Ministro delle Politiche Europee, perchè l'Italia è stata mandata davanti alla Corte per discriminazione sull'età di pensionamento delle donne e degli uomini». L'Italia - ha aggiunto Emma Bonino - è rimasto l'unico paese tra i quindici che non si è messa in regola, neanche con un piano graduale. Sicuramente saremo condannati dall'Europa, con tutte le penalità che conosciamo, e pagheremo in modo salato una non scelta. Io trovo che, vista l'assoluta mancanza nel nostro paese per le attività di cura e di servizi, che ricadono sulle spalle delle donne italiane, sarebbe molto utile pensare ad un innalzamento graduale dell'età pensionabile delle donne, vincolando i risparmi ad un fondo per la rete di assistenza che in Italia non esiste e che impedisce di fatto alle donne di scegliere di lavorare». «Ricordo a tutti che solo sei bambini italiani su cento hanno diritto all'asilo nido, contro i 54 bambini danesi. In Italia abbiamo il non accesso al mercato del lavoro di sei milioni di donne in età lavorativa, donne che spesso non lo cercano nemmeno, perchè non è conveniente, perchè dovrebbero pagarsi una baby sitter piuttosto che altri servizi. È una emergenza nazionale, non è nel programma del Pd, ma - ha concluso il ministro- responsabilità istituzionale e convinzione mi induce a chiedere di riflettere su questo tema».

mercoledì 19 marzo 2008

BIAGI, SEI ANNI DOPO






Sei anni fa qualcuno si arrogava il diritto di uccidere un uomo: Marco Biagi. Un uomo che studiava il diritto del lavoro, un uomo che si ispirava a dottrine cristiane e socialiste, uno studioso che però aveva a cuore non solo le teorie ma le condizioni concrete dei giovani, dei lavoratori e del Paese in cui viveva.

Oggi a Modena, alla Fondazione che gli è stata intitolata, presso la facoltà dell'Università dove Biagi lavorava, non solo è stato ricordato Biagi, ma anche tutto il lavoro che i suoi allievi e la Fondazione hanno fatto in suo nome. Il rettore dell'Università ha ricordato che l'ateneo sforna ogni anno oltre tremila laureati e per molti di loro rappresenta anche un valido punto di riferimento e di accompagnamento nel mondo del lavoro. Cioè, proprio ciò che Biagi riteneva fondamentale per battere la disoccupazione e l'incertezza: il percorso studio-lavoro.
Alla Fondazione Biagi c'è stata la commemorazione , ma si è discusso anche di mercato del lavoro e in particolare di quello che viene considerato il più grosso problema del nostro mercato del lavoro: la scarsa presenza e lo scarso peso delle donne.
Domani l'allievo di Marco Biagi e animatore della Fondazione , il professor Michele Tiraboschi, pubblicherà sul Messaggero una lettera-ricordo del suo maestro. Non è un testo retorico, bensì una dichiarazione di affetto, con l'orgoglio per il lavoro iniziato allora e continuato in questi anni. Domani metterò il link qui. Ricordo anche, a chi vuole documentarsi, il link al sito di Adapt, legato alla Fondazione Marco Biagi: è una vera miniera di informazioni e idee.

lunedì 17 marzo 2008

UN PO' DI "NOISE" CI DA' LA SVEGLIA





Vorrei provare a segnalare un articolo uscito oggi sul sito noisefromamerika, blog di economisti italiani in America. Questo sito ha guadagnato una certa notorietà quando qualcuno si è accorto di esso e soprattutto del "tono" degli articoli, che non mancano di aggressività, impazienza e intelligenza. Ora, a me, questo tono piace: capisco perfettamente lo stato d'animo chi si si trova in una paese come gli Stati Uniti e vede l'Italia avvoltolarsi nella carta moschicida, senza mai riuscire a fare dei passi avanti o anzi spesso inventando delle riforme che sono dei passi indietro.
Gli articoli di noisefrom amerika non sono semplicissimi, ma neanche così impossibili. Per chi vuole un incoraggiamento, riassumerò brevemente le proposte contenute in "Horror Economics III" di Michele Boldrin: 1) per il commercio internazionale puntare su accordi regionali tipo per esempio "i paesi del mediterraneo 2) abolire il valore legale dei titoli di studio, per la laurea e anche per i licei 3)cerchiamo di attirare immigrati più qualificati 4)più concorrenza e libertà nei brevetti e nell'innovazione 5)riformare il sistema delle pensioni con più flessibilità ma, sostanzialmente, spingendo la gente ad andare in pensione più tardi 7) svegliamoci: non è mai troppo tardi ma qualche volta rischia di esserlo. E sottolineo quest'ultimo punto.
Faccio un'aggiunta, sulla quale credo che anche gli economisti di noise from amerika sarebbero d'accordo. Ora destra e sinistra, ma soprattutto sinistra, hanno ripreso a dire che bisogna riformare il mercato del lavoro e ridurre il precariato. Ma parlassero seriamente di quelle benedette "tutele" per i lavoratori flessibili? No, si parla di tornare a irrigidire il mercato del lavoro, il che farà molto male a un sacco di gente, soprattutto se ci sarà una piccola o grande recessione.

sabato 15 marzo 2008

QUANTI SONO I PRECARI?


Guardate che meraviglia questa tabella sui tipi di contratti dei lavoratori, e non solo, in Italia. E' un'elaborazione dell'Isfol, contenuta in un pezzo pubblicato oggi sul sito della voce.info. Per chi ha tempo, segnalo anche il miio pezzo sul Messaggero di oggi.


Come potete vedere i contratti a termine veri e propri in Italia sono circa un milione. Poi ci sono un milione e 200 mila collaboratori, a progetto e similia, chiamati "finti" autonomi. E va bene. Siamo a 2 milioni e qualcosa. Poi ci sono "altri dipendenti"...473 mila. Azzardato, ma mettiamoli pure tra i precari. Ci vogliamo mettere altri 300 mila interinali e a chiamata? ok. Ma per quale motivo dovremmo mai metterci i part time a tempo indeterminato? O gli apprendisti? O il contratto di formazione lavoro ? O quelli che hanno un contratto di inserimento (lo dice la parola stessa) . Certo, non ci sono i lavoratori in nero e questo è il vero scandalo. Ma, come molti sostengono, il nero rischia di aumentare se si aumentano le rigidità. Ma, dimenticavo, siamo in campagna elettorale, i ragionamenti non sono all'ordine del giorno...

venerdì 14 marzo 2008

AL NORD, AL NORD!

E' il Nord il protagonista di queste elezioni politiche: il Nord come realtà da conquistare, come mercato politico da capire e interpretare. Il Nord anche come punto di forza, come avanguardia della nostra modernità. Questo Nord nessuno lo può dare per scontato.
Ma in particolare è per la sinistra che rappresenta un problema. E mentre sta per uscire a quanto pare un libro di Riccardo Illy "Così perdiamo il Nord", che appunto ammonisce la sinistra, io voglio parlare di un altro libro, che ho trovato particolarmente acuto, un vero libro di "politica": "Nord terra ostile. Perché la sinistra non vince" di Marco Alfieri, Marsilio.
Marco Alfieri è un giornalista che aveva una ventina d'anni quando Berlusconi è entrato in politica, e che negli anni della lotta all'ultimo sangue tra il Pci e il Psi di Craxi stava forse finendo le elementari. Eppure, citando le note di Tonino Tatò, braccio destro di Berlinguer, individua la nota dominante della sinistra che arriva fino a noi oggi: "...la famosa diversità berlingueriana, il mito dell'alterità antropologica del Pci rispetto ai fratelli coltelli del Psi; l'autocontemplazione morale in cui la diversità diventa lo spleen insuperabile per spegnere qualsiasi riformismo autentico, postideologico, di sinistra liberale. A farne le spese - continua Alfieri -
e a uscire paurosamente svuotata è la capacità di interpretare le nuove composizioni sociali che specie al nord andavano affermandosi, il rapporto con la piccola impresa diffusa, la modernizzazione dei consumi, l'atomizzazione dei lavori e l'esigenza di un autonomismo federalista appena decente" (p. 90). Giù giù fino a oggi, la cultura di ciò che è rimasto della sinistra dopo gli anni '90, e del nuovo partito democratico, dice ancora Alferi: "è un deficit pauroso di parole nuove, strumenti e linguaggi moderni". Nelle sezioni del Pd si rinvengono ancora vecchi volumi sulla storia dell'Unione Sovietica, l'enciclopedia del marxismo e altri reperti. Non ci sono, o non erano lì a fare storia, anche se certo i quadri giovani del partito li avevano a casa, Rawls, Amartya Sen, Darhendorf, Tocqueville. Tutti autori, aggiungerei perché me lo ricordo bene, che invece circolavano tra i riformisti di sinistra negli anni '80.
Il libro è ricco e complesso, non posso certo riassumerlo qui. Ma va citata una frase dell'introduzione: "O saprà costruire davvero una nuova cultura politica capace di interpretare questi mondi a capitalismo diffuso in cui la qualità delle infrastrutture, la competitività dell'azienda in cui si lavora, il rapporto con il fisco e con la burocrazia diventano fattori decisivi delle scelte di voto, oppure il Pd non servirà a nulla" (p.22).
Il libro è stato scritto probabilmente quando ancora non si sapeva che si sarebbe andati a votare ad aprile. Ora la grande sfida del Pd al Nord è cominciata, il tempo è poco, ma si vede che il tentativo di uscire dalle vecchie pastoie c'è. La sinistra oggi sogna di tornare ad essere quello che era tanto tempo fa: la parte politica che cavalcava l'onda del nuovo, dei fenomeni emergenti, dei giovani. Oggi è capace di recuperare l'onda di rinnovamento, può conquistare i settori più moderni e vitali della società italiana, è capace di portare l'Italia tra i paesi più dinamici d'Europa? Queste sono le domande che tanti elettori della sinistra si sono posti in questi anni. La risposta non sempre è stata positiva. E la sfida è molto difficile.

martedì 11 marzo 2008

ELSA A SIENA SU PRECARI E CONTENTI

ELSA-Siena mi ha invitato all'Università di Siena, dove abbiamo discusso del mio libro "Precari e contenti" con dottorandi e studenti. ELSA è l'associazione europea degli studenti di Giurisprudenza, un network che ha aderenti in più di 220 università sparse in 36 diversi Paesi. Ne fanno parte circa 30 mila tra studenti e giovani avvocati. Io non conoscevo l'esistenza di ELSA, ma questo mi ha dato subito l'occasione, colta al volo dai miei ospiti, di parlare di "opportunità". Una delle chiavi del mio libro è quella della flessibilità come fonte di opportunità: di crescita, di apprendimento, e perché no, anche semplicemente di sopravvivenza. Nella flessibilità, tralasciando per un momento gli aspetti negativi, c'è un mondo di opportunità, che bisogna imparare a cogliere, il che è tutt'altro che facile o scontato. ELSA, mi hanno spiegato oggi, è in fondo una di queste opportunità, perché offre agli studenti e ai giovani studiosi di Diritto la possibilità di collegarsi con questo grande network, offre la possibilità di fare stage e esperienza in istituzioni internazionali. Anche se, per beneficiarne, bisogna per l'appunto essere flessibili, disposti a muoversi, ad andare oltre i confini della propria facoltà e magari anche della propria città. Lo dico perché può interessare ad altri gruppi o a singoli che ancora non ne fanno parte.
A parte ciò si è discusso molto, in particolare da parte della dottoressa Lara Lazzeroni, della differenza tra flessibilità e precarietà, di dualismo del mercato del lavoro (e quindi di licenziabilità, di articolo 18 e così via) e si è anche parlato delle diverse aspettative e difficoltà di chi cerca lavoro e degli imprenditori che invece cercano un lavoratore. Uno dei temi sottolineati, per esempio, è che non è affatto scontato che un datore di lavoro preferisca prendere un lavoratore a termine, piuttosto che a tempo indeterminato. Quest'ultimo, in linea di principio, è il mattone su cui un'azienda costruisce. Difficile costruire con chi se ne va. Quindi, il disagio, se disagio c'è, è reciproco e motivato, anche se non sempre l'altra parte conosce questi motivi.

Una affermazione di Massimiliano Vatiero invece vorrei sottolineare: ha detto che secondo lui Precari e contenti è un libro "non politico". Credo che volesse dire "non ideologico" e che volesse essere un complimento. Ed è vero: uno dei miei obiettivi è stato quello di parlare di questi temi sottraendomi alla divisione tradizionale tra chi è a favore (a destra) della flessibilità e chi è contrario (a sinistra) al precariato. In questo senso sono felice se sono riuscita a non essere ideologica. Temo però (e spero) di non essermi sottratta alla "politica" nel senso migliore del termine, intesa come attività e riflessione volta al miglioramento della condizione delle persone.
Infine, un messaggio in bottiglia per Federico Vasoli, che ha scritto la sua storia qualche post fa: la sua vicenda è sembrata molto interessante ai giovani avvocati di Elsa. E se anche non lo imiteranno nella sua "colonizzazione" del Vietnam, però la sua storia è servita a rafforzare la loro convinzione che molto spesso è importante avere un'idea e perseguirla senza troppa paura, magari muovendosi in posti a cui non si era pensato prima.





giovedì 6 marzo 2008

TEORIA DELLA SCALA MOBILE



Da un po' di tempo ho sviluppato un'allergia all'automobile in città. Perciò, quando non posso andare in bicicletta, prendo l'autobus o la metropolitana, e cammino. Risparmio su multe e benzina, faccio un po' di moto anche quando non ho tempo di andare in palestra, e trovo anche il modo di pensare, attività sempre più desueta e scoraggiata sul lavoro.
Quando però esco dalla metropolitana (non mi piace chiamarla "metro") e salgo su una scala mobile, ho sempre un moto di stupore e insofferenza. E capisco perché l'Italia è un Paese che non riesce a superare le sue difficoltà: la gente occupa la scala mobile in ordine sparso (nella prima immagine in alto una scala mobile a Milano, ma Roma è uguale se non peggio) e, anche se ci sono solo una ventina di passeggeri, per chi vuole "salire" (o scendere) i gradini della scala mobile, l'impresa diventa improba, al limite della maleducazione, perché devi infastidire e spintonare quelli che occupano tutto lo spazio. Spesso rinuncio.
Chi sia mai stato su una scala mobile all'estero, in particolare in Gran Bretagna, sa invece che lì è normale "stand on the right" (vedi seconda immagine): anche se c'è folla, così, chi vuole camminare, e perfino correre, sui gradini, lo può fare sulla sinistra. Semplice ed efficace.
Perché in Italia non si fa? Immagino che la maggior parte delle persone non ci pensi: nessuno glielo ha mai spiegato, che dovrebbero stare a destra. E poi, cosa ci guadagna chi tiene la destra? Niente. Quindi perché dovrebbe? Per il bene comune? Per avvantaggiare gli altri? "A gratis"? Non sia mai.
Forse però si potrebbe cominciare a mettere dei cartelli, come nella London Tube (la metropolitana di Londra): "Please, stand on the right". Troppo semplice? Troppo poco costoso? L'Italia, temo, è vittima della sindrome della scala mobile in molti altri campi e così si complica la vita da sé, dedicando molte energie a ciò che potrebbe essere semplice, e non ritrovandosi più energie per il resto.

mercoledì 5 marzo 2008

RAGAZZE, NON CI RESTA CHE RIDERE



AGGIORNATO CON LINK
Ha vinto una porno-società? Forse è così, si chiede tra l’angoscia e la provocazione Serena Dandini, straripante animatrice di uno dei dibattiti che si sono svolti a Milano, al convegno su donne e stereotipi. (Chi volesse ascoltarlo, in tutto o in parte, può collegarsi attraverso il sito di Radio radicale a questo link). Se è così, la sfida non quella di contrastare le veline, velone, supercasalinghe scosciate: ”Non sia mai!” alza le mani Serena. La sue arma principale è l’ironia, ma non disdegna anche le proposte serie: per esempio un investimento serio nella formazione, nella logica di mercato, non solo sulle donne, ma per tutti coloro che vogliono lavorare in tv. D’altra parte che gli stereotipi sul piccolo schermo e nella pubblicità siano duri a morire lo racconta anche Paola Cortellesi, poliedrica cantante, attrice ma soprattutto autrice con una faccia da bambina: ”Quando siamo in riunione o in sala di montaggio e io sono la persona che alla fine deve decidere...cosa succede? Succede che gli altri, dopo che ho parlato io, aspettano l’ultima parola, l’approvazione di cui tenere conto ,da un mio assistente. Già. Perché maschio”. Racconto ironico e che strappa risate e applausi, soprattutto applausi perché tutte le donne in sala, nel loro campo, hanno spesso fatto la stessa esperienza. Difficile per una donna conquistare la stessa autorevolezza di un uomo... Difficile ma non impossibile. E siccome la Cortellesi è una che ci mette tanta di quella bravura ed energia, alla fine sommerge gli interlocutori. La parola al suo video ”Non mi chiedermi” (anche nella finestra qui accanto), fantastica presa in giro delle belle all’oscuro della grammatica e al tempo stesso oggetto di buffe (ma ususali) pretese maschili; e al duetto finto-femminista con la Dandini. senza parole.

martedì 4 marzo 2008

DONNE STRITOLATE DAGLI STEREOTIPI




Ho assistito a un convegno - maratona (dalle 9 alle 18 !) ieri a Milano sulle donne, strette tra difficoltà nel mondo del lavoro e stereotipi in tv, nella pubblicità e sui media in generale. Era organizzato dal ministro delle Politiche Comunitarie, Emma Bonino, e ogni aspetto è stato approfondito, con dovizia di dati, con racconti e testimonianze molto interessanti e anche con una notevole dose di divertimento, vista la presenza tra le tante di Paola Cortellesi e Serena Dandini. Mi riservo di raccontarvi un po' di particolari, appena il tempo me lo consente. Intanto riporto qui il commento che ho scritto sul Messaggero di oggi. In questi giorni si parlerà molto di donne, non solo perché l'8 marzo è in agguato, ma anche perché in tanti si stanno accorgendo che si tratta di un tema emergente nel mondo del lavoro e determinante per la possibile ripresa dell'economia italiana. Quindi preparatevi!





di ANGELA PADRONE
In questi giorni tutti i partiti danno la caccia alle donne:
cercano volti femminili da mettere nelle liste di candidati.
Meno male. Anche se quello che alcune temono
e' che si possa trattare qualche volta di operazioni di
facciata, di abbellimento. Un po' come le donne che ''decorano''
le pubblicita' per vendere automobili. Infatti la realt' delle
donne nella vita di tutti i giorni continua ad essere
invece di scarsa partecipazione. Una situazione per
la quale anche l'Unione Europea ci bacchetta e per la
quale il ministro delle Politiche Comunitarie ha lanciato una
serie di iniziative dedicate alle donne e alla crescita economica.
Nell'ambito di questa serie, ieri a Milano si e' parlato di
stereotipi femminili e del baratro che esiste tra la vita delle
donne e la loro immagine in tv, nella pubblicita' e nei
cosiddetti media.

Cosa c'entrano gli stereotipi con il problema di una societa' nella quale solo il 46% delle donne lavora (l'obiettivo che chiede l'Ue e' il 60%) e dove si fanno 1,3 figli per donne (contro i 2,0 della Francia per esempio) ? C'entrano, perche' gli stereotipi ci possono far capire come mai le donne italiane siano ancora poco autorevoli e considerate nel lavoro, mentre dilaga invece l'immagine di veline. Bastera' dire che, secondo la ricerca fatta per la Rai dall' Osservatorio di Pavia, in tv le donne raramente sono protagoniste nei programmi di attualita', o sono interpellate come esperte, mentre spesso ''decorano'' un programma (magari sportivo) o lo presentano (ci sono sempre piu' conduttrici di telegiornali, ma non direttore). E naturalmente, le donne sono ''regine'' della fiction, anche se poi il vero protagonista nella grande maggioranza dei casi e' un uomo. Nelle aziende poi ha ruoli di responsabilit' una piccolissima minoranza di donne, come quel 5% che siede nei Cda delle aziende quotate. Tutte le altre lavorano eccome, fanno il doppio e triplo lavoro anche di madri e assistenti, ma negli stereotipi sono sempre veline o angeli della cucina. E' ora che le donne che lavorano facciano ''rete'', come hanno sempre fatto gli uomini, ha raccomandatao Emma Bonino, che come ministro ha visto tante cordate di imprenditori e ha visto anche tante imprenditrici ''isolate'', come ha detto lei. Nessuno ce l'ha con le veline,hanno sottolineao due personaggi ''comici'' come Serena Dandini e Paola Cortellesi: ''Non sia mai!''. Magari pero' sarebe bello che si parlasse, si', di loro MA ANCHE delle altre, di quelle che in Italia lavorano in media un'ora piu' degli uomini e suppliscono alla carenze di un welfare senza asili nido e poca assistenza agli anziani e alle famiglie. E' auspicabile quindi che l'inserimento di queste donne come candidati nelle prossime liste elettorali non sia solo una questione di immagine.

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