giovedì 31 maggio 2007
mercoledì 30 maggio 2007
MONTEZEMOLO A SCUOLA COPIAVA, ORA CHIEDE BEI VOTI
Pubblicato da angela padrone alle 17:18 1 commenti
Etichette: diplomati, ingegneri, jobs, laureati, lavoro, luiss, montezemolo, stipendi
martedì 29 maggio 2007
PRECARI E CONTENTI, EX COMMESSA DI SUCCESSO
Questa è la storia di Francesca Venturo , laureata in arti e scienze dello spettacolo con 110 e lode, con l'idea di fare il lavoro che le piace: l'insegnante. Anche la sua storia, però, come quella di tanti giovani, è cominciata con un lavoro di ripiego. Poi il lavoretto è diventato un lavoro quasi stabile, anche se non era quello che voleva. Ma lei è riuscita a trasformare tutto in un'avventura. Ha scritto un libro esilarante sulla vita da commessa, per il quale sta ancora cercando un editore, e ha trasformato la sua tesi di laurea in un libro serio, "Parola e travestimento nella poetica teatrale di Edoardo Sanguineti", ed Fermenti. Ora fa finalmente la maestra, precaria , ma è il lavoro che voleva fare. C'è riuscita. Qui lei stessa racconta la sua storia:
"Andy Warhol aveva detto che ognuno di noi, nella vita, ha diritto ad almeno quindici minuti di celebrità.Ma la categoria dei precari ha di gran lunga superato le previsioni di Warhol: tutti i giorni si parla di loro, di noi.Gli insegnanti precari che popolano questa nazione non si contano più. Siamo frotte di postadolescenti – perché oggi l’adolescenza sembra non avere mai fine- che hanno sgobbato sui libri, dalle elementari alla laurea, al ritmo incessante e intimidatorio di un adagio che faceva più o meno così: «studia, studia se vuoi farti una posizione nella vita! Mica vorrai andare al mercato a vendere le uova, o in un negozio a fare la commessa! Mica vorrai fare il cameriere o, ancor peggio la PARRUCCHIERA! Studia o non sarai nessuno!».“Qualcuno” di sicuro lo siamo diventati, e non un “qualcuno” qualunque, visto che un giorno si e due no siamo sui titoli delle prime pagine, noi siamo diventati precari qualificati. Poi se ci metti che la tua prof di lettere ti aveva mandato al cinema a vedere l’attimo fuggente e il giorno dopo eri salito in piedi sul banco gridando con la mano sul cuore «oh capitano mio capitano!», il danno è fatto e non c’è più rimedio; ti iscrivi alla facoltà col maggior numero di disoccupati post lauream col cuor leggero.
LAUREATA E PORTINAIA
Ed eccoti qua precario, idealista e contento, però hai fatto esperienza, ed è questo che conta nella vita, le esperienze. Dunque: hai sostituito la portinaia durante l’estate e sei riuscito a scoprire che la vecchietta del quinto piano è gelosa del generale in pensione del piano terra perché la nuova inquilina del secondo piano, quella formosetta, quella giovane di cinquantaquattro anni, ogni volta che lo incontra fa cadere le chiavi a terra e si china a raccoglierle proprio davanti a lui; hai fatto la segretaria tutto fare in un sindacato dove non sei mai stata regolarizzata per il bene degli iscritti – i lavoratori veri- altrimenti avrebbero pagato il triplo per l’iscrizione (e qualche buona azione bisogna farla ogni tanto); hai servito il caffè al bar del teatro centrale, però che bello hai conosciuto tanti personaggi anche se ancora non sapevi cosa fosse un contratto; hai lavorato come volantinatrice dove ti pagavano dopo il millesimo volantino consegnato, come cameriera di pub vestita da piccola bavarese col grembiulino turchese, il bustino e la camicetta frou frou, ed infine, con la tua laurea in tasca, sei approdata all’agognato contratto.
QUELLE MAGLIETTINE...
Sì, certo, un contrattino: quello di commessa part-time.Così hai capito: non basta sapere cosa vuoi fare da grande, cosa vuoi diventare, non basta studiare: serve, sia ben chiaro, ma non basta. E mentre lavori come commessa cominci a perdere la pazienza; si perché dopo tre anni di: “scusi magliettine a vulcano?” “senta, avete sopra?” “io sto cercando un’accoppiata” “ma colori meno festivi?” “pantaloni a mezzo sedere?” “mi da qualcosa per sembrare un’altra?” “no questa giacca mi fa troppo Gestapo”, se prima ridevi divertita alle bizzarre espressioni delle madames clienti, ora il cervelletto comincia a litigare col cervellone.
UNA LAVORO SICURO ALLE ORTICHE
Quindi lasci tutto, anche il contratto part-time a tempo indeterminato e ti butti nella mischia: vai a fare la maestra –precaria s’intende- perché otto anni prima avevi superato il concorso e ora incominciano a chiamarti per le supplenze, tua madre, dopo aver appreso la tua eroica decisione, ti urla dietro con un misto di rabbia e preoccupazione: «Non puoi rinunciare ad un contratto di commessa per andare ad insegnare è una follia!» ma ormai la decisione è presa: chi te l’avrebbe mai detto che saresti tornata a scuola? Magari non dietro i banchi perché stavolta i banchi ce li hai davanti, però fa un certo effetto.
INVENTARSI UNA NUOVA VITA
Allora ti inventi una nuova vita, un po’ più a misura, un po’ più calzante: prendi tutte le frasi buffe delle madames, quelle richieste strambe che ti hanno fatto ridere tanto e innervosire un po’ e, durante le ore di buco, le metti insieme e scrivi un libro che fa il giro del web.
E questo è il blog di Francesca: la sindrome della commessa
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Etichette: blog, commessa, francesca venturo, insegnante, laureati, maestra, precari, precari e contenti, sanguineti
lunedì 28 maggio 2007
Growing Up Fast (Crescita Rapida)
Donne, lavoro, dicriminazioni, famiglia. Questo video è stato girato per spingere gli uomini a condividere le responsabilità familiari e consentire alle donne di vivere più serenamente il lavoro. Non so se funziona, ma non è male. L'ho trovato segnalato sul sito www.donne-lavoro.bz.it
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domenica 27 maggio 2007
DIALETTICA DELL'EGUALITARISMO
Pubblicato da angela padrone alle 15:35 0 commenti
Etichette: adorno, canto, casta, dialettica, egualitarismo, horkheimer, illuminismo, murat, ricolfi, rizzo, scuola francoforte, sinistra, sirene, stella, uguaglianza, ulisse
venerdì 25 maggio 2007
IMMOBILISMO, PIGRIZIA E ETICA DEL TEMPO LIBERO
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Etichette: del tempo libero, etica, flexibility, immobilismo, jobs, lavoro, oblomov, part-time, pigrizia, rai, roberto petrini, time, work
giovedì 24 maggio 2007
LA LOTTA GIOVANI-VECCHI E L'ITALIA IMMOBILE
Pubblicato da angela padrone alle 08:43 0 commenti
Etichette: amato, anziani, donne, erasmus, giovani, immobilismo, istat, messaggero, mobilità, potere, vecchi
martedì 22 maggio 2007
LA BORSETTA? PIU' PICCOLA DELLA GONNA... (consigli a neo-laureati in cerca di lavoro)
"La borsa non dovrebbe mai essere più grande della gonna". Questo è il primo consiglio ai neo laureati che vanno a un colloquio di lavoro, letto nel blog di Time e fornito dal centro di placement della University of Southern California. Il che significa che troppo spesso non sono le borse ad essere esageratamente voluminose (anzi, vanno di moda molto piccole), ma le gonne, che tendono al microscopico (nella foto un modello di Cavalli). E, se permettete, mettersi troppo in mostra non è il modo migliore per cominciare a conquistare un briciolo di credibilità. Quello che vale per le ragazze, vale anche per i maschi: niente abbigliamenti trendy al colloquio di lavoro, niente jeans. Cercate prima di capire qual è la cultura del nuovo ambiente in cui potreste entrare.
Non tutti i consigli di Time e dell'università della California , però, sono così indiscutibili. Per esempio, il secondo è: "Vi fanno un'offerta. Non accettate". Quanti italiani dovrebbero seguirlo? Pochi. Anche se io ne conosco, e penso che a volte si faccia bene a dire di no. Ma bisogna avere un'idea molto precisa dei propri progetti, essere realisti, non sopravvalutarsi ed essere disposti a lavorare ancora più duramente. (Per esempio segnalo in un precedente post la biografia del capo di At&T, che prima ancora di finire l'università scongiurò il datore di lavoro dove aveva svolto uno stage di dargli un lavoro, qualsiasi lavoro. Non ha seguito i consigli di Time. E ha fatto bene) .
Terzo consiglio, per la "Me Generation": non sei tu al centro del mondo. Forse in futuro diventerai un leader, ma per ora vuoi un primo impiego. Il tuo successo dipenderà da quanto saprai lavorare e andare d'accordo con quelli che sono sopra di te. Ironicamente, aggiunge l'autore, questo ti renderà unico. Ai loro occhi non hai diritto a nulla, fino a che non provi di valere qualcosa, attraverso un sacco di duro lavoro e capacità di collaborare. E questo vale, per gli italiani, eccome!
Quarto consiglio: fedeltà! E qui la realtà americana sembrerà quella di un mondo rovesciato rispetto all'Italia. Il consiglio è di rimanere in un'azienda più a lungo di quanto si faccia di solito. La media di permanenza di un neolaureato nel suo primo lavoro negli Stati Uniti è di 18 mesi. Ma se rimaneste due anni potreste fare un sacco di esperienza in più, lavorare in varie aree dell'azienda, e scoprire per cosa siete veramente tagliati. Gli italiani penseranno che il loro problema è inverso: troppo spesso sono costretti a stage brevi in varie aziende, mentre loro vorrebbero avere contratti più lunghi. Eppure, applicato con intelligenza, questo consiglio serve a tutti: potrebbe anche significare che quando fate uno stage o un contratto breve, potreste essere voi a chiedere di rimanere più a lungo, alle stesse condizioni: senza diventare impazienti. Questo vi metterebbe in buona luce e, alla lunga, vi darebbe la forza per chiedere qualcosa di meglio.
Quinto consiglio, molto "american" e in totale contraddizione con tutto quello che avete imparato qui fin dalla culla: "I genitori non sono una referenza". Non li fate chiamare, non li fate intervenire, dicono gli esperti Usa. In Italia la maggioranza delle persone (soprattutto quelle che hanno difficoltà a trovare un lavoro) pensa che le relazioni familiari siano il modo più sicuro per sistemarsi. Io però ho sempre fatto tutto da sola e se dovessi assumere un giornalista che fa intervenire un genitore sarei molto maldisposta...fate voi.
I consigli proseguono con il suggerimento di evitare di mandare e ricevere messaggini al lavoro, evitare cuffiette nelle orecchie, allargare i propri interessi, sul lavoro e fuori, e infine, quando se ne presenta la necessità, essere capaci di dire grazie, anche per iscritto e magari con un biglietto scritto a mano.
Pubblicato da angela padrone alle 10:00 0 commenti
Etichette: colloquio di lavoro, laureati, time, university of southern california
domenica 20 maggio 2007
DONNE E DISCRIMINAZIONE - LA VENDETTA. TRENTA COSE DA SAPERE
Na, caro Stella, come stupirsi che nella politica italiana le donne non contino niente? E' così in tutta la società: con il solito alibi dellle società maschiliste secondo il quale in casa la "regina", quella che comanda veramente è lei. E lì stia. E' ancora così. Avevo cominciato a snocciolare i dati su donne, lavoro e figli. Qui ne ho altri. Riguardiamoli tutti insieme, perché fanno impressione. e si comincia a delineare un significato: forse le donne stanno utilizzando contro la società italiana l'unica arma loro rimasta. Sono discriminate e si vendicano non facendo figli.
- IN ITALIA LAVORA IL 45% DELLE DONNE - LA MEDIA IN EUROPA E' DEL 60%
- IL77% DELLE ATTIVITA' DOMESTICHE IN ITALIA E' SVOLTO DALLE DONNE
- LE DONNE IN ITALIA LAVORANO IN MEDIA 8 ORE AL GIORNO, GLI UOMINI INVECE 7 ORE AL GIORNO
- SOLO 1/4 DEL LORO LAVORO E' REMUNERATO, CONTRO I 2/3 PER GLI UOMINI
- UNA DONNA SU DUE NON E' REMUNERATA PER IL LAVORO CHE SVOLGE
- AL SUD SOLO 4 DONNE SU 10 HANNO UN LAVORO
- TRA LE DONNE DEL SUD CON BASSA ISTRUZIONE SOLO UNA SU 3 HA UN IMPIEGO
- TRA I 15 E I 24 ANNI LE LAUREATE SONO IL 60% - I MASCHI IL 49%
- A TRE ANNI DALLA LAUREA IL GUADAGNO DEI LAUREATI SUPERA DEL 29% QUELLO DELLE LAUREATE
- SOLO IL 3,6% DELLE LAUREATE APPARTIENE ALLA CATEGORIA "LEGISLATORE, DIRIGENTE, IMPRENDITORE".... GLI UOMINI SONO L'11,7%
- TRA LE DONNE CON FIGLI PICCOLI SOLO IL 53% LAVORA
- DOPO LA NASCITA DI UN FIGLIO SOLO IL 30% DI CHI LAVORAVA RIPRENDE IL LAVORO
- IL 18%TRA I 25 E I 34 ANNI LAVORA IL 58,8% DELLE DONNE - MA TRA GLI UOMINI 25-34 ANNI IL TASSO DI OCCUPAZIONE E' DELL'80%
- I BAMBINI CHE VANNO AL NIDO SONO IL 13,5% - AL SUD IL 5,4%
- AL NORD TRA LE DONNE DI 35-44 ANNI ACCOPPIATE E CON FIGLI LAVORA IL 68,2% - TRA LE SINGLE IL 91%
- AL SUD LAVORA IL 36,5% DELLE DONNE TRA I 35 E I 44 ANNI ACCOPPIATE E CON FIGLI- TRA LE SINGLE DEL SUD LA PERCENTUALE E' DEL 70,5%
- SI CALCOLA CHE 100 MILA DONNE AL LAVORO IN PIU' FAREBBERO AUMENTARE IL PIL DEL 0,28% LA SPESA PUBBLICA
- PER LA FAMIGLIA POTREBBE CRESCERE DEL 30%
- PER RAGGIUNGERE LA MEDIA EUROPEA DOVREBBERO LAVORARE IN ITALIA 900 MILA DONNE IN PIU'
- IL LAVORO NERO O IRREGOLARE IN TUTTA ITALIA E' STIMATO VICINO AL 14%, CIRCA TRE MILIONI DI PERSONE - AL SUD E' OLTRE IL 22%
- IL LAVORO A TEMPO DETERMINATO E' DEL 14,7% PER LE DONNE - DEL 10,5% PER GLI UOMINI
- IL PART-TIME TRA LE DONNE E' DEL 26%, MA PREVALENTEMENTE AL NORD - IN EUROPA E' DEL 30%
- IL TASSO DI NATALITA' IN ITALIA E' DI 1,2 FIGLI PER DONNA
- IL TASSO DI NATALITA' IN FRANCIA E' DI 2 FIGLI PER DONNA
- IL TASSO DI OCCUPAZIONE DELLE DONNE CON FIGLI MINORI DI 6 ANNI IN ITALIA E' DEL 53%
- IL TASSO DI OCCUPAZIONE DELLE DONNE CON FIGLI MINORI DI 6 ANNI IN FRANCIA E' DEL 65%
- IL RAPPORTO TRA POSTI NIDO E NUMERO BIMBI IN ITALIA E' DEL 10%
- IL RAPPORTO TRA POSTI NIDO E BAMBINI IN FRANCIA E' DEL 40%
- I BAMBINI NATI FUORI DAL MAYTRIMONIO DA NOI SUPERANO DI POCO IL 10%
- I BAMBINI NATI FUORI DAL MATRIMONIO IN FRANCIA SONO UNO SU DUE
Pubblicato da angela padrone alle 11:56
Etichette: discriminazioni, donne, figli, gian antonio stella, lavoro, maternità, natalità
venerdì 18 maggio 2007
DONNE: COMINCIAMO BENE..., MA CONTINUIAMO MALE
Ieri sono stata ospite a un'interessante trasmissione su Rai Tre: "Cominciamo bene", condotta da Elsa Di Gati e Fabrizio Frizzi. La puntata era sulle donne e il lavoro, titolo "La parità che non arriva". Si partiva dall'esempio delle operaie della fabbrica di pantaloni vicino Napoli, di cui ho parlato in un precedente post. Si è discusso molto di discriminazioni "pesanti": operaie licenziate perché erano state in maternità, infermiere licenziate dopo una malattia, impiegate comunali licenziate perché donne. E si è parlato soprattutto di Sud, di lavoro nero, di concorrenza delle fabbriche cinesi. Temi duri per la televisione, di cui non è facile occuparsi.
Il tempo purtroppo non è bastato per approfondire anche di quella discriminazione, meno clamorosa ma ancora più diffusa, che tiene a casa oltre la metà delle donne italiane. Tante di quelle con figli. Lo sapete che alla domanda "pensate che un figlio soffra se la madre lavora?", in Italia il 77% delle risposte è "Sì"!? In Danimarca la risposta è affermativa solo nel 18% dei casi! Fossero madri degeneri queste danesi? Però fanno più figli di noi.
Ma in Italia non ci sono i nidi, non si aiutano le donne a lavorare, prima di tutto non le aiutano i loro mariti (il 77%del lavoro familiare spetta alle donne), figuriamoci lo Stato o le imprese... in Italia si fanno pochi figli, mentre nei paesi in cui le donne lavorano di più, nascono più bambini. E, ironia della sorte, sono spesso anche più educati dei nostri vezzeggiati e tutelati figli unici.
Ecco un po' dei dati che avevo preparato per la trasmissione, ma come spesso capita in tv, non c'è stato tempo per parlarne.
- IN ITALIA LAVORA IL 45% DELLE DONNE - LA MEDIA IN EUROPA E' DEL 60%
- AL SUD SOLO 4 DONNE SU 10 HANNO UN LAVORO
- TRA LE DONNE DEL SUD CON BASSA ISTRUZIONE SOLO UNA SU 3 HA UN IMPIEGO
- TRA LE DONNE CON FIGLI PICCOLI SOLO IL 53% LAVORA
- DOPO LA NASCITA DI UN FIGLIO SOLO IL 30% DI CHI LAVORAVA RIPRENDE IL LAVORO
- I BAMBINI CHE VANNO AL NIDO SONO IL 13,5% - AL SUD IL 5,4%
- TRA LE DONNE DI 35-44 ANNI ACCOPPIATE E CON FIGLI LAVORA IL 68,2% AL NORD - TRA LE SINGLE IL 91%
- AL SUD LAVORA IL 36,5% DELLE DONNE TRA I 35 E I 44 ANNI ACCOPPIATE E CON FIGLI- TRA LE SINGLE DEL SUD LA PERCENTUALE E' DEL 70,5%
- IL TASSO DI NATALITA' IN ITALIA E' 1,2 FIGLI PER DONNA
- IL TASSO DI NATALITA' IN FRANCIA E' DI 2 FIGLI PER DONNA
- IL TASSO DI OCCUPAZIONE DELLE DONNE CON FIGLI MINORI DI 6 ANNI IN ITALIA E' DEL 53%
- IL TASSO DI OCCUPAZIONE DELLE DONNE CON FIGLI MINORI DI 6 ANNI IN FRANCIA E' DEL 65%
- IL RAPPORTO TRA POSTI NIDO E NUMERO BIMBI IN ITALIA E' DEL 10%
- IL RAPPORTO TRA POSTI NIDO E BAMBINI IN FRANCIA E' DEL 40%
Pubblicato da angela padrone alle 13:00 0 commenti
Etichette: bambini, discriminazioni, donne, elsa di gati, fabrizio frizzi, figli, lavoro, lavoro nero, natalità, parità, rai, televisione
giovedì 17 maggio 2007
PRECARIO E CONTENTO, UN BLUESMAN A MILLE EURO
" Eccomi qui. Un 33enne del ventunesimo secolo alle prese con le sue frustrazioni e pronto a fare i conti con questa inaspettata precarietà lavorativa.
Inaspettata perché, sui banchi di scuola delle medie, del liceo, dell’università, dei vari corsi post universitari, del master, tutto mi sarei prefigurato tranne che ritrovarmi a 33 anni a fare un lavoro tutto sommato centrato rispetto alle mie ambizioni (mi occupo di consulenza in ambito marketing) ma con uno stipendio di mille (dico 1000) euro al mese. E con un “Co.Co.Pro.” eterno e rinnovato, tale e quale, di anno in anno. Uno stipendio che in senso assoluto può essere decente (diciamo al di sotto dei limiti della sopravvivenza, se si aspira ad un minimo di indipendenza economica e dunque un affitto da pagare) ma che è senz’altro ridicolo se rapportato alle mie competenze, al tempo e al denaro investito in formazione, alle responsabilità di cui il mio lavoro mi investe.
Ridicolo soprattutto guardando i miei compagni di scuola, che hanno trascurato gli studi e che ora guadagnano il doppio (se non il triplo) di me, avendo avuto la lungimiranza di buttarsi subito nella “trincea del lavoro” (inconsapevolmente, hanno fatto – ex post - la scelta giusta). Ridicolo quando mi ritrovo, nel mio lavoro, di fronte ad operai che mi guardano con invidia e sospetto, tutto bello incravattato e sbarbato, pensando che io guadagni chissà cosa, quando so per certo che costoro guadagnano tre volte tanto il mio stipendio, senza contare i fiorfiori di contributi che gli consentiranno una vecchiaia agiata, nel tepore domestico, accanto ai figli che si sono potuti permettere di procreare e persino mantenere.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere.
Questa precarietà, questo sfruttamento, questa profonda sperequazione economica mi ha aperto gli occhi. Ha risvegliato in me uno spropositato spirito di riscossa e di rivalsa. Ho incanalato questo rancore, questa insoddisfazione lavorativa in qualcosa di positivo, di artistico. Il precariato mi ha offerto lo stimolo per alzare la testa, per non subire passivamente questo schifo. Per diventare a tutti gli effetti “artefice del mio destino”.
Ho riveduto, a 33 anni, le priorità della mia vita. Basta giacca e cravatta, basta “certo, me ne occupo io”, basta “il progetto sarà pronto entro lunedì”, basta “il nostro obiettivo è la soddisfazione del cliente”, basta “creare valore aggiunto”; il mio obiettivo deve essere prioritariamente la mia soddisfazione, non accrescere il fatturato di qualcun altro.
La legge Biagi mi ha donato, paradossalmente, l’incentivo ad affrancarmi da questo orrendo sistema, mi ha fatto disinnamorare di questo modo di intendere il lavoro. Piuttosto che venir sfruttato per 1000 euro al mese, senza certezze sul futuro, preferisco dedicarmi ad inseguire i miei sogni artistici, trasformando questi nel “mio lavoro”. Quei sogni infantili che cullavo nella mia testa quando avevo 10 anni, di diventare un artista, ricco e famoso.
E così ho ripreso in mano la chitarra, mi sono messo per la prima volta a scrivere canzoni. Canzoni che parlano di sfruttamento, di ingiustizie, di frustrazioni, ma anche di spirito di riscossa. Del resto è lo stesso spirito che animava i primi bluesman.
E sono convinto, oggi, a 33 anni, che questa mia insperata determinazione mi porterà a concretizzare i miei sogni, molto più che titoli di studio e stage e contro-stage per arricchire il mio curriculum vitae (ma non il mio portafoglio).
La legge Biagi mi ha fatto del bene. Mi ha fatto riappropriare delle mie passioni, mi ha spinto a credere fortemente nei miei obiettivi personali. Non gli obiettivi del cliente e del datore di lavoro."
lunedì 14 maggio 2007
PRECARI E CONTENTI
Prima di discutere i contenuti devo dire che ancora non so se la copertina sarà effettivamente quella che trovate qui accanto. Comunque si vedrà.
Nel libro ci sono venti storie di giovani e lavoro. Tra queste anche la mia, nella quale si racconta come e con quali travagli attraversai la lunga strada dall'università al giornalismo, oltre venti anni fa. E questa storia serve anche da termine di paragone tra quel mercato del lavoro (anni '80) e quello di oggi.
Le altre sono vicende di giovani (ma c'è anche qualcuno vicino ai 40!) che sono in qualche modo riusciti a trovare delle opportunità nel lavoro. Perché io credo che qualche opportunità, in questo disastrato mercato del lavoro, si possa e si debba trovare. A certe condizioni.
Venerdì scorso su questo tema sono stata intervistata da Ecoradio. Chi vuole ascoltare l'intervista può aprire la pagina qui e poi cliccare sul nome.
Pubblicato da angela padrone alle 17:24 2 commenti
Etichette: flessibilità, giovani, lavoro, libro, marsilio, precari
domenica 13 maggio 2007
SQUALI PER MANAGER
Nuotare tra gli squali per imparare a gestire le emozioni e per acquisire sicurezza sul lavoro. Si può. All'Acquario di Cattolica ci si può iscrivere a un corso per 20 dirigenti d'azienda, organizzato dall'Adecco Management School. Ne parlano anche Dose e Presta sul Messaggero di domani....!
Pubblicato da angela padrone alle 22:14 1 commenti
STIRATRICI PRECARIE? MAGARI...PER LORO IL LAVORO E' NERO
Aggiungerò, forse provocatoriamente, che troppo spesso la precarietà è lamentata da persone che per loro fortuna vivono ben lontane da questo tipo di problemi. (Nella foto "Le stiratrici" di Degas)
Pubblicato da angela padrone alle 09:39 1 commenti
Etichette: fabbrica, flessibilità, lavoro nero, Maria Lombardi, operaie, part-time, precari, precarietà
venerdì 11 maggio 2007
...E LE ITALIANE, TROPPO PERFETTE PER ESSERE MAMME IMPERFETTE
Le donne italiane lavorano troppo poco (fuori di casa) rispetto alle loro "colleghe" europee, eppure fanno molti meno figli... Si parla di agevolazioni fiscali per le donne, si parla di più servizi all'infanzia per aiutarle, poi qualcuno, come Luca Cifoni, si spinge a ipotizzare che le donne italiane siano vittima dell'etica del tempo libero, che io stessa ho lanciato, quasi a dire: non hanno poi tanta voglia di faticare.
Bè, doversi difendere è quasi offensivo. Non solo le donne lavorano mediamente più degli uomini (8 ore al giorno contro le 7 dei loro compagni), ma spesso accumulano ruoli e doveri che rendono tutto più pesante, al limite dell'impossibile. Perciò si moltiplicano gli studi e le proposte per aiutare le donne a fare un lavoro regolare e retribuito fuori di casa. Per esempio la voce.info di oggi riprende il tema: scarta la proposta di Alesina e Ichino di tasse più basse per le donne, scarta anche l'idea di tassare il reddito monofamiliare, e spinge invece sul tasto dei servizi disponibili. Quindi nidi, assistenza ai non autosufficienti, colf e badanti detraibili dal reddito. Anche perché le donne che lavorano devono anche superare l'opposizione dei loro mariti!
Ma, detto tutto ciò, mi chiedo se non ci sia anche un fattore in più nella scarsa propensione italiana delle donne a fare figli e al tempo stesso a lavorare. Lo chiamerò fattore "P" . Dunque, non è che per caso siamo vittime della sindrome della perfezione?
Avevo adombrato questa possibilità già nel post in cui raccontavo della famiglia francese con 5 figli e delle reazioni delle mamme italiane. Ma insisto: prima di lanciarci vogliamo che tutto sia sicuro. E nell'attesa della perfezione...niente. Vogliamo il lavoro "sicuro", ma anche il divano in soggiorno, la casa di livello adeguato e vicino ai "nonni", gli appuntamenti con piscina, palestra, musica, e quant'altro per i pargoli. E aspettando la perfezione, forse si rimanda un po' troppo la vita attiva. In altri Paesi vedo che ci si mette insieme, si "vive", si fanno figli, forse con un po' più di nonchalance. Magari prima ancora di sposarsi (e di spendere 20 mila euro per un matrimonio in piena regola, con festa e vestito bianco), magari con una casa un po' inadeguata. Insomma: noi italiani sogniamo sempre la vita perfetta, e ci lamentiamo. Dovremmo, tutti, essere capaci di "buttarci" un po' di più. O no?
giovedì 10 maggio 2007
LE SCUOLE CHE SCONFIGGONO DISOCCUPAZIONE E LAVORO PRECARIO
L'importante, però, è non sbagliare nella spesa. Se, cioè si spendono soldi per corsi e master che non valgono niente, l'investimento è sicuramente sballato e il risultato frustrante. Ho conosciuto un laureato in giurisprudenza che poi ha cambiato città e ha speso una bella sommetta per un master sulla comunicazione che, ovviamente, non gli ha dato nessuna possibilità di lavoro in più.
Tuttavia, se l'istruzione è ben mirata, serve, eccome. Su Job24 del Sole 24 Ore di ieri c'è un articolo di Walter Passerini che riporta l'ultimo rapporto Unioncamere sulle assunzioni di laureati e diplomati: sembra che sia un buon momento, con una stima dell'occupazione in crescita e con una domanda di lavoro di maggiore qualità: 20 mila nuovi laureati e una grande crescita anche dei diplomati nel 2007.
Attenzione, però, la scelta del campo di competenza è un fattore chiave. Non basta essere laureati, come non basta essere diplomati. Già avevo raccontato in un post di marzo e in un articolo sul Messaggero, il caso dei master per manager dell'università di Modena dove, grazie alla legge Biagi, gli iscritti sono assunti prima ancora di finire la specializzazione. L'ulteriore prova in un interessante articolo di Anna Maria Sersale sul Messaggero di oggi: ci sono istituti superiori tecnici industriali che sfornano giovani super-ricercati dalle aziende. Tra questi istituti di Verona, Udine, Torino, e anche il Galilei di Roma. L'86% di questi giovani trovano facilmente un'occupazione.
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mercoledì 9 maggio 2007
ERASMUS, CHE INVIDIA
Sono passati 20 anni da quando è nato il programma di scambi tra università europee Erasmus, ci sono passati 173 mila studenti italiani e un milione e mezzo di europei, sono stati scritti libri, girati film sulle loro esperienze indimenticabili.
Prodi oggi ha lanciato una proposta: rendiamo obbligatori 6 mesi all'estero per tutti quelli che si devono laureare. Mitico! Al povero Mussi, ministro dell'Università e della Ricerca, sono venuti i capelli dritti. Ha subito precisato che la proposta è bella, ma di massima, si vedrà. Io credo che cambierebbe molte, molte cose, se si facesse. Anche perché, non sottovalutiamo, portare all'estero i nostri studenti deve significare anche portare in Italia gli stranieri...e bisogna attirarli gli studenti stranieri!
martedì 8 maggio 2007
I GIORNI DELLA FLESSIBILITA'...O DELLA PAURA?
Una platea di oltre 200 studenti oggi pomeriggio ha fatto, per una volta, le domande sul tema della flessibilità e del mercato del lavoro. Sotto esame Antonio Catricalà, presidente dell'Autorità garante per la concorrenza, Renata Polverini segretario generale Ugl, Bruno Tabacci, deputato Udc, Maurizio Sacconi, senatore di Forza Italia, e Michel Martone docente della Luiss . Anche a non voler essere filo-confindustriali o anti-qualcosa, le trovo che le risposte sono degne di riflessione.
LE DOMANDE DEGLI STUDENTI
"In quali settori sono più urgenti le liberalizzazioni?"
"Chi pagherà le nostre pensioni?"
"Come si concilia la riforma del Tfr con il precariato?"
MONTEZEMOLO
"Veniamo da anni di trasformazione e di poca cultura del mercato, con leliberalizzazioni vicine allo zero e un mercato ancora così chiuso. È il Paesedelle corporazioni"
"Ma c'è una parola chiave che è il merito perchè spesso si richiama al rischio e alla capacità.
"Occorre moltiplicare le opportunità ma anche distribuire il rischio", "è strano che certa sinistra non se ne renda conto, ma nel mondo di oggi le grandi diseguaglianze hanno a che fare con il rischio perchè viviamo in una società in cui il rischio è allocato in modo non simmetrico".
Montezemolo ha quindi fatto l'esempio dei dipendenti del
pubblico impiego che anche quando "nullafacenti e perfino delinquenti non sono licenziabili" in contrapposizione ai dipendenti privati "più o meno vulnerabili". Il presidente di Confindustria ha anche parlato della diseguaglianza tra "imprese visibili al fisco e imprese invisibili e a pubbliche amministrazioni in bancarotta permanente e permanentemente ripianate".
Pubblicato da angela padrone alle 18:26 0 commenti
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lunedì 7 maggio 2007
ASPETTO UN URLO...MA SENTO SOLO LAMENTI
(Updated)
Vorrei sentire un urlo, un ruggito: "Non ci sto". Ma non sento nulla. Solo flebili lamenti.
Oggi vari giornali si occupano dei cosiddetti "giovani", categoria che va dai quindicenni agli over 35. E già qui c'è qualcosa che non va.
Comunque.... Repubblica dice che i ragazzi sono "sospesi", e punta soprattutto su quella fetta, non maggioritaria per fortuna, ma sicuramente rilevante, di ragazzi che lasciano la scuola prima del diploma. Circa il 20%. Di loro si dice che sono stressati dalla scuola, stanchi per i lavori precari, si direbbe complessivamente un po' depressi, anche se in cima ai loro sogni c'é "una vita serena". Penso che i pensionati siano più frizzanti e anche più salutarmente incazzati.
Sulla Stampa i loro fratelli maggiori che vanno all'università vengono definiti fannulloni e senza ambizioni. Si dedicano alle belle lettere, finiscono l'università, in media, quando sono in vista della trentina. E in fondo preferirebbero studiare indefinitamente.
Sto esagerando, spero, ma sarebbe normale che questa generazione sognasse di cambiare le cose, si ribellasse a una logica loro imposta dalla pubblicità, zeppa di luoghi comuni, intrisa di svenevolezza. E mi fa arrabbiare immaginare quelli che annuiranno leggendo l'intervista ad Aldo Nove a Repubblica , nella quale parla di "una generazione che ha subito il furto del futuro...Come potrebbero i ragazzi che hanno 16 anni essere ottimisti?" Ottimisti? Ma quando mai i sedicenni sono stati ottimisti? I sedicenni hanno sempre sognato di costruirsi un futuro diverso, lo hanno spesso strappato a morsi. Il "giovane Werther" dell'omonimo libro sui "Dolori..." in confronto era un rivoluzionario! E poi qualcuno mi ha rimproverato perché ho osato suggerire che forse si è instaurata un'etica dominante del tempo libero, che ha tolto a tanti la voglia di cambiare, di sforzarsi, anche di soffrire un po'.
Vorrei additare a chi ha qualche sprazzo di interesse per la realtà l'esempio di una cinquantenne come Ségolène Royal, che almeno oggi merita di essere ricordata. Ha perso. Ma ha sorriso, con una grinta, una forza, una capacità di soffrire sovrumana e ha detto: "Non finisce qui". Segnalo il bel pezzo su di lei (e sulle donne) di Lucia Annunziata.
Per approfondimenti sulla "Generazione connessa" leggere qui.
Pubblicato da angela padrone alle 12:31 0 commenti
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domenica 6 maggio 2007
QUEGLI "SCONTI" CHE FANNO ARRABBIARE GLI UOMINI
sabato 5 maggio 2007
GIOVANI E DONNE: LA PENSIONE SI ALLONTANA
Allo stesso tempo, in un'intervista a Luca Cifoni sul Messaggero, Enrico Morando (Ds), ammette: "Mi sembra ormai arrivato il momento di affrontare il nodo dell'età di uscita delle donne. La mia opinione è che anche per loro il limite di vecchiaia potrebbe arrivare gradualmente ai 65 anni degli uomini: ma i relativi risparmi andrebbero reinvestiti a favore delle donne che lavorano, quindi per pagare contributi figurativi per la maternità di chi ha un'occupazione saltuaria o non a tempo pieno". Ce n'è di che discutere.
Pubblicato da angela padrone alle 11:42 0 commenti
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venerdì 4 maggio 2007
PIU ' LAVORO, PIU' FIGLI. E GLI UOMINI INTANTO...
Gli italiani al tavolo hanno uno o due figli massimo.
In Francia, si sa, sono incentivati gli asili nido, le baby sitter e gli aiuti alle famiglie. "Da noi ci sono agevolazioni fiscali - conferma la famiglia francese a tavola - e anche i prezzi dei prodotti per l'infanzia sono più bassi. Vestiti, cibo, giocattoli, tutto costa un po' meno"
In Italia è più difficile. "Eh, ma non si potrebbe lavorare, se una donna volesse fare più di uno o due figli", nota una delle commensali. Mi permetto di dire che, fatti due figli, gli altri pesano meno: si bada meno a tante piccolezze, si riciclano i vestiti, si organizzano dei turni, e forse l'educazione di tutti ne guadagna. "Eh, ma tutti questi figli poi bisogna seguirli, portarli in piscina, a musica, a fare tutte le varie attività... non è la stessa cosa tre o cinque". I francesi sorridono e parlano poco. Tutti ovviamente hanno, dal loro punto di vista, ragione.
Però... però in Italia le donne hanno il record negativo di partecipazione al mercato del lavoro (46%, contro percentuali vicine al 60% nel resto d'Europa, e del 70% nei paesi scandinavi) e, allo stesso tempo, il record negativo di figli pro-capite. In Francia, si lavora e si fanno figli. In Svezia si lavora e si fanno figli. Anzi, gli economisti sostengono che gli incentivi al lavoro delle donne potrebbero far crescere anche la natalità!
Eppure, anche in questo blog, appena si parla di incentivi al lavoro femminile, gli uomini italiani subito protestano. E anche se le donne italiane vogliono ovviamente lavorare e mettere a frutto studi e qualità professionali, vogliono anche somigliare alle proprie madri quanto a perfezione nel loro ruolo di mamme, mogli e angeli del focolare. E rincorrono i figli intorno al tavolo per aiutarli a mangiare la pasta o la "fettina".
Aggiungo che le donne italiane lavorano in casa mediamente molte più ore delle donne europee. E gli uomini italiani molto di meno...
Pubblicato da angela padrone alle 17:12 1 commenti
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mercoledì 2 maggio 2007
ETICA DEL TEMPO LIBERO CONTRO ETICA DEL LAVORO
Ci sono vari temi che premono in questa settimana del primo maggio, in cui avrei voluto scrivere parecchio, ma sono stata bloccata da difficoltà tecniche di collegamento a Internet. Due temi sopra tutto: uno, le donne; due, l'etica del lavoro.Comincerò da quest'ultimo, stimolata anche da un articolo di Paolo Pombeni sul Messaggero del 1° maggio, dal titolo "La voglia di faticare, l'orgoglio e l'etica del lavoro".
Negli ultimi anni molte cose si sono modificate nel mondo del lavoro, non sempre in peggio. Si potrebbe dire, veramente, che sono mancati miglioramenti decisivi, soprattutto in Italia: la qualità del lavoro è ancora bassa, i laureati sono pochi e hanno perfino difficoltà a trovare occupazioni all'altezza della loro formazione e delle loro aspettative, il mercato è poco trasparente e ci sono scarsi canali di collegamento tra formazione e aziende. Tuttavia, qualche passo avanti c'è stato e, se si confronta la situazione attuale con quella degli ultimi decenni, non si può certo dire che si stava meglio prima.
Qualcuno sostiene che dieci anni fa fosse facile trovare un lavoro, e che lavoro: stabile e di alto livello. Nente di più falso. La disoccupazione giovanile e la disoccupazione intellettuale si sono manifestate drammaticamente alla fine degli anni '70 e per una ventina d'anni non è mai migliorato niente, soprattutto nel Meridione d'Italia. Le prime legioni di diplomati e laureati, che allora si affacciavano trionfalmente al mondo del lavoro (e che pensavano di avere sconfitto la scuola e l'università di élite degli anni '60) negli anni '80 diedero una bella musata. Per loro non c'era lavoro, e non c'erano neanche lavori temporanei, non esistevano gli stage, non avevano ancora preso piede le specializzazioni che ti accompagnano verso qualche esperienza temporanea. Però esisteva già, come adesso, il lavoro nero, per il quale eravamo famigerati in tutta Europa. I giovani si lamentavano, protestavano, lottavano. La loro stella polare erano le lotte operaie. Gli economisti parlavano un giorno sì e l'altro pure di pieno impiego come obiettivo irrinunciabile, ma era come parlare della terra di Utopia. E intanto tra i giovani la disoccupazione era oltre il 30%. Nel totale della popolazione era oltre l'11%.
C'era comunque ancora l'etica del lavoro, che impregnava la cultura socialista così come quella capitalista, che era prevista nella nostra Costituzione e che resisteva anche ai miti dell'immaginazione al potere del '68.
Adesso il lamento, la protesta, la sensazione di disagio si è fatta più forte. Si è coniato il termine "precario", che da aggettivo è diventato sostantivo e poi descrizione di una condizione esistenziale, che va ben oltre la realtà della flessibilità nell'epoca della globalizzazione, e della fine dell'organizzazione del lavoro fordista. Eppure tra stage, tirocinii, uffici di placement, uffici di lavoro temporaneo, esperienze all'estero, sono tanti quelli che trovano qualcosa in questo mercato del lavoro. Magari non è il posto dei loro sogni, non è il lavoro perfetto e all'altezza della loro preparazione. E' giusto che una generazione non si accontenti e che si batta, anche più di come sta facendo, per migliorare la propria condizione. Ma c'è qualcosa di più e di diverso, su cui mi sono arrovellata per mesi.
COME NASCE L'IDENTITA' PERSONALE
Perché la qualità delle proteste ha un sapore così diverso? Perché, perfino le parole d'ordine del sindacato e dei partiti di estrema sinistra suonano così strani? Il motivo è più semplice e più complesso di quanto siamo disposti ad accettare, e che risponde alla domanda di Paolo Pombeni: esiste ancora l'etica del lavoro? No, la verità, è che nella nostra società , non solo italiana, ma in tutto l'Occidente, l'etica emergente non è più quella del lavoro, ma quella del tempo libero. E il lavoro è solo un mezzo per realizzare l'obiettivo primario: l'utilizzo del tempo libero.
Sottolineo che questo non è un giudizio di valore. Anzi: è necessario partire da una comprensione della realtà, per riuscire a dare risposte alla proteste e alle incomprensioni. Molti di noi, praticamente tutti quelli che hanno più di 40-45 anni, partono da un'etica dominante diversa da quella che si è diffusa tra gli attuali giovani, tra i 15 e i 30-35 anni. Ogni generazione ha un proprio modello emergente, ed è giusto che sia così. La ma etica, e quella di chi governa il paese e le aziende è ancora un'etica del lavoro. Come dice Pombeni, è ancora l'etica della fatica, dello sforzo. Aggiungerei: un'etica in cui la mia identità si definisce attraverso il lavoro.
IL LAVORO COME MEZZO, NON COME FINE
La generazione Y nata dopo il 1979, e ancora di più forse i loro fratelli minori, non capiscono questa logica, non la condividono. La loro è un'etica diversa, per la quale ancora non si è trovata la definizione adatta. Forse etica del sé, forse etica del tempo libero. Quello che è certo, è che sono pochi quelli che definiscono se stessi in funzione del lavoro che svolgono o che vogliono raggiungere. Qui il discorso si farebbe lungo, e meriterà di essere ripreso. Ma io sospetto che il punto sia questo. Di fronte alle difficoltà del mercato del lavoro, la reazione di chi sta sviluppando una cultura del tempo libero, non è quella di aggrapparsi a qualunque appiglio per andare avanti, felice comunque di trovare delle opportunità. No, la reazione è di stizza: rabbia, di fronte a un sistema che intralcia il proprio desiderio di espansione personale, che chiede troppo prima di dare qualcosa, che procede ciecamente su una logica economicistica, rispetto a persone che non valutano affatto le leggi dell'economia. Persone che hanno vissuto la propria infanzia e gioventù nella inconscia convinzione che l'economia, la società, fossero finalmente piegate alle esigenze dell'individuo. Ripeto, e ripeterò ancora, che qui non c'è nessun giudizio di valore. Sto solo cercando di capire.
La differenza tra etica del lavoro ed etica del tempo libero ci può dare una chiave. Non è detto che la nostra etica della fatica sia per forza migliore. Chi è cresciuto con l'etica del lavoro non riesce a capire, letteralmente, i problemi di chi ne è fuori. Temo però che chi vive nell'etica del tempo libero non si renda conto, in realtà, di essere spesso "agito", manipolato, sfruttato, più di quanto avrebbe mai immaginato, da una società inevitabilmente e profondamente, almeno per ora, basata sulle forze dell'economia.
Pubblicato da angela padrone alle 09:42 6 commenti
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