martedì 24 luglio 2007

CONOSCERE LA LEGGE BIAGI


Si parla nuovamente di modifiche alla legge Biagi. Nell'ultimo incontro tra governo e sindacati si sono messi sul tavolo due interventi: 1)un limite al rinnovo dei contratti a termine (per un massimo di 36 mesi) e 2) l'abolizione del lavoro a chiamata, unanimemente riconosciuta forma di lavoro marginale. Per capirci, questo non cambia quasi nulla nel mercato del lavoro o nella vita dei cosiddetti "precari". Si rischia solo di fare aumentare il lavoro nero, dice Michele Tiraboschi, in un intervista sul Messaggero di oggi: ""Si crede che la precarietà derivi dal mercato del lavoro che offre poche opportunità. - dice Tiraboschi - Invece il problema è che l'Italia dovrebbe fare in modo che la scuola produca figure professionali più vicine alle esigenze del mercato. Se il rapporto tra scuola e lavoro è debole, è inevitabile che una volta usciti dal momento della formazione con basi diverse da quelle richieste dal mondo del lavoro vengano a crearsi schiere di precari. La precarietà si batte con percorsi certi di ingresso nel mondo del lavoro""




Voglio segnalare però un'iniziativa meritoria di due amici "ladypiterpan" e "precario a vita?", che sul sito somministrato, hanno iniziato a pubblicare e spiegare la legge Biagi, sempre citata, spesso denigrata, ma pochissimo conosciuta. Un'impresa non da poco, perché le leggi italiane si presentano sempre come un dedalo di oscurità, avvolto in un alone di mistero. Però vale la pena leggerla, questa legge, perché alcune parole sono sorprendentemente chiare, e forse lasceranno a bocca aperta chi la critica senza conoscerla!

Segnalo e raccomando però, per loro e per chiunque fosse interessato, che ciò che viene chiamato "legge Biagi", oltre alla legge 30, comprende anche altre norme, tra le quali un decreto di attuazione. Si può trovare tutto sul sito della fondazione Marco Biagi, a questo link

5 commenti:

mymmo74 ha detto...

Hai ragione Angela: "job on call" e "staff leasing" sono veramente forme marginali.

Dissento su una cosa: "...la precarietà si batte con percorsi certi di ingresso nel mondo del lavoro".
La precarietà si batte ANCHE con percorsi certi....ma si batte soprattutto mettendo paletti a pseudo-imprenditori (e credetemi che ce ne sono e molti) pronti ad abusare delle norme.

Potrei citare un'elenco di abusi che i terrebbero impegnato per giorni.

Si parla tanto di istruzione e mancanza di figue professionali: ma siamo poi tanto sicuri che la nostra classe imprenditoriale sia tutta pura, immacolata e capace???

Ti ringrazio per la citazione del "piccolo" lavoro che stiamo provando a fare. Nasce soprattutto come voglia personale di capire. Come consiglio generale (al legislatore) direi di semplificare un attimo la "dicitura" delle leggi e di evitare articoli e/o commi del tipo "...vista la legge xx, l'articolo yy e tenuto conto del dlgs z..." E' una ragnatela capace di demoralizzare il più volenteroso di questo mondo.
Ma noi non demordiamo e proveremo a capire e conoscere, allora sì che mi sentirò giustificato in pieno a criticare e a proporre.

Ti ringrazio per il link...sì, la legge Biagi è una piccola leggina di 10 articoli, il 276/03 è un decreto attuativo di un ottantina di articoli, senza contare leggi e decreti di rimando, circolari del ministero del Lavoro, sentenze della corte di cassazione....

A presto....

Anonimo ha detto...

Eh no, questa volta dissento. Anzi, mi viene proprio la dissenteria a sentir dire che il problema riguarda il disallineamento tra formazione e aspettative delle imprese. La stragrande maggioranza di noi precari è costituita infatti da persone preparate, formatissime e che anzi, consapevoli del fatto che l'università non ti ha formato adeguatamente per il mondo del lavoro, hanno investito su se stesse con ulteriori formazioni specialistiche, master e corsi post universitari. Il problema non è che noi non siamo abbastanza formati e pronti per il mondo del lavoro, anzi, forse è l'esatto contrario: siamo "iperformati" rispetto a questi arretrati e involuti imprenditorucoli italiani, che non sanno apprezzare (e soprattutto premiare con un giusto stipendio!) il valore che portiamo ad un'azienda. L'unico valore che gli imprenditorucoli riconoscono e premiano sta nelle mansioni tecniche (operai specializzati, ecc.), mentre il vero valore sta nei servizi, nella creatività, nell'innovazione, non necessariamente tecnica ma anche organizzativa. E nel raro caso in cui l'imprenditore comprenda questo tipo di valore, allora ti sfrutta, sottopagandoti e tagliando il costo aziendale della tua "risorsa umana" ricorrendo alla Biagi fino allo sfinimento.
Altro che formazione e specializzazioni, alla faccia di master e università, nella prossima vita mi faccio un bel corso da tornitore e vivrò ricco e non precario.
Cordialmente,
Max Cosmico

angela padrone ha detto...

Anche Max ha ragione. Il tessuto economico dell'Italia è quello che è, e la scarsa trasparenza e correttezza del mercato del lavoro (cioè i canali attraverso i quali si trova lavoro) risentono di vizi e , diciamolo, schifezze varie. Purtroppo un'unica soluzione non c'è, se no qualcuno l'avrebbe già trovata. Ognuno, nel suo piccolo, fa quello che può. Sbaglia però chi pensa che dare tutta la colpa a una legge o a un soggetto sia la formula magica. Certo chi ha un master "MBA"....! Aspettiamo sempre "Sono caduto dallo scalone", eh ;)
a.

Anonimo ha detto...

Incontro almeno 10 neo laureati al mese per cercare di introdurli nel mercato del lavoro nel campo informatico e anche i migliori sono lontani anni luce da quello che la mia microimpresa vorrebbe da loro (figuriamoci in una grossa impresa!)... e quindi investi almeno sei mesi per far capire loro quello che occorre e che tutta la teoria che hanno imparato (e che anch'io ho studiato pochi anni fa) dovrà servire loro per affrontare nuovi argomenti velocemente ma non potrà mai essere l'unica fonte di cultura.

La scuola dunque nel settore tecnologico è lontana anni luce dalle necessità del mercato... e purtroppo proprio ieri ho scoperto che un'università di Alessandria ha deciso di fare un passo indietro di 10 anni e ricominciare ad insegnare un linguaggio di programmazione che non si usa piu' nemmeno per le lavatrici.

:(

angela padrone ha detto...

Delle difficoltà della scuola rispetto al mondo del lavoro non si parla, come se non fosse pertinente...o non tanto. Ma il vero guaio è tutto lì. Chi si interessa di lavoro dovrebbe prima studiare la scuola e l'università. Io sento continuamente questa esigenza e adesso che ho una figlia mi accorgo di quanto sia importante quello che le insegnano e "come" glielo insegnano, rispetto alla sua visione del mondo e rispetto alle sue capacità! Prima faceva fatica in matematica, poi ha trovato un'insegnante bravissima che l'ha fatta divertire con la matematica e lei è diventata un'entusiasta...l'anno prossimo cosa troverà? Un muro a cui sbattere la testa o un bel trampolino elastico su cui fare dei salti e divertirsi?
Vi farò sapere
angela

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