martedì 4 dicembre 2007

LE "CATENE" DEL LAVORO


Proseguendo il discorso sul mercato del lavoro italiano e su tutti gli ostacoli che impediscono una flessibilità "buona", che faccia bene alle imprese ma direi ancora di più ai lavoratori, segnalo un bellissimo dossier, pubblicato sull'ultimo bollettino della Fondazione Marco Biagi: "Lavoro: il peso della regolazione", a cura di Iacopo Senatori e Michele Tiraboschi.


Tanto per cominciare, il dossier cita il rapporto annuale della Banca Mondiale che in rapporto alla facilità di fare impresa colloca l'Italia al 53° posto! Veniamo "dopo tutti"! L'Italia è uno dei paesi con il peggior mercato del lavoro del mondo occidentale e non è certo un paese dove investire e creare lavoro a cuor leggero.
Il dossier analizza anche le potenti e quasi diaboliche rigidità del nostro mercato del lavoro che, senza tutelare particolarmente il lavoratore, però impediscono al sistema di funzionare in maniera semplice ed efficiente.



Per quanti, anche su questo blog, guardano giustamente all'estero, segnalo i confronti con altri paesi europei e con gli Stati Uniti. Nella tabella con l'indice della difficoltà a licenziare, l'Italia ha l'indice 40; come noi stanno la Francia, ma anche la Germania e la Svezia. Negli Usa questo indice è 0 (zero), il che vuol dire che non c'è il minimo impedimento al licenziamento, nel Regno Unito e in Danimarca questo indice è 10, quindi bassissimo.
Difficoltà ad assumere: in Italia l'indice è 33 (Francia e Spagna stanno peggio di noi), negli Usa è sempre 0 (zero), in Danimarca 0 (zero), nel Regno Unito 10. Mi sembra che questi dati meritino una riflessione. Soprattutto, ricordo che quando qui qualcuno ha detto "magari fossimo in Irlanda, Gran Bretagna, Danimarca"....e il nostro lettore "'Imprenditore" ha detto anche lui "magari". E si capisce perché: le nostre rigidità, tese in teoria a costituire delle "tutele", si trasformano spesso in boomerang per gli stessi lavoratori.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Gent.ma Angela Pedrone,

continuo a leggere con grande attenzione il suo blog. Naturalmente ho anche divorato il suo libro che reputo un punto di vista interessante. Tanta e giusta critica, ma concrete soluzioni applicabili poche. La realtà culturale del nostro paese è vecchia e le proposte lungimiranti come quelle che il prof. Tiraboschi snocciola, devono scontrarsi contro l’obsoleta cultura dirigenziale tipicamente italiana. Una volta tanto partiamo dal basso. I lavoratori hanno un concetto di mercato del lavoro, ma anche del lavoro stesso, troppo distante da quelle che sono l’esigenze reali della new economy. Sono talmente impegnati a cercare lo stipendio fisso o garantito, da non preoccuparsi del loro profilo professionale. Quest’ultimo è il vero tesoro dell’economia moderna. Mai come oggi la figura dell’uomo è al centro del sistema economico mondiale, dove le stesse aziende riconoscono il contenuto di conoscenzae professionalità del lavoratore come elemento portante del capitale. Come non si può biasimare il lavoratore, quando esistono imprenditori o manager che nelle aziende continuano a parlare di mansionari o di cariere programmate? Le aziende, hanno una cultura forse più obsoleta dei lavoratori. Lo dimostra il fatto che per mancanza d’iniziativa o di lungimiranza, hanno utilizzato pochissimo alcuni strumenti validi contenuti nella Legge 30. Mentre tutto questo accade la politica guarda da un’altra parte, solo questo può spiegare la staticità decadenziale di questa classe politica. Complicano con inutili finanziarie i calcoli delle trattenute dei lavoratori, dove con una semplice regola, ovvero escludere da qualsiasi imposizione i redditi fino a 14000,00 euro annui, ci consentirebbero di avvicinarci alle retribuzioni nette medie francesi. Concludo con il punto più dolente, il mondo dell’istruzione, farraginoso, completamente assente di una progettualità. Questo non dovrebbe solo istruire ma anche educare. Manca una struttura all’istruzione, manca una struttura alla nostra economia, vorrei che qualcuno finalmente non la vedesse solo ad una coincidenza.

Anonimo ha detto...

CIAO A TUTTI!io continuo a dire magari essere irlandesi,danesi o americani...il fatto è che ognuno ha esigenze diverse e io se regolarizzata e applicata bene amo l'idea della flessibilità,del movimento,del continuo mettersi in gioco!crea stimoli,fa bene alla persona e all'economia!in danimarca questa possibilità cè per esempio, e qual' il problema che in alcuni paesi non c è diffioltà a licenziare se poi si ritrova lavoro?siamo sempre il fanalino di coda!vergognamoci!sarò un debole ma la cosa che mi fa più pena è la gente intorno a me che ancora crede di cambiare questo paese!il paese del cambiamo tutto per non cambiare nulla,il paese dove la mafia fa le leggi,il paese dove i nuovi partiti politici cambiano solo i nomi il paese del fatta la legge trovato l'inganno!siamo ridicoli!in queste frasi non metto dell'antipolitica ma solo una realtà,la realtà della mentalità italiana,cioè che se fossimo al loro posto faremmo le stesse cose in quanto italiani!basta ipocrisie!chi ha una mentalità diversa,chi non ci si rispecchia o si abitua o se ne va!qui non c è spazio per una mentalità diversa! appoggio arnold anche sul discorso dell'istruzione! valerio

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo sul fatto che in questo Paese la non facilità dei licenziamenti possa essere un boomerang per i lavoratori. Certo che se ci fosse un mercato del lavoro florido, sono convinto che tante leggi sui diritti del lavoratore diventerebbero obsolete. Invece, non essendoci crescita, meritocrazia, incentivo ecc. Siamo obbligati a mettere paletti, muri e fossati intorno ai posti di lavoro. O sbaglio? - Arnald - www.diversamenteoccupati.it

Anonimo ha detto...

...le chiacchiere sulla precarietà stanno a 0. In italia non è e non sarà con queste basi che diventa quella flessibilità sostenibile di cui si discute.
Prendere ad esempio le stime della Banca Mondiale poi... E' una scelta per carità, ma facciamola passare come scelta e non come la Verità.
Posto qui perchè ho citato il libro e il post sul mio blog... Non sarò il primo ne' l'ultimo credo... però per rispetto lo segnalo.
www.gluca.info/dblog/

Anonimo ha detto...

anche se a dopo mezzanotte è difficile essere lucidi con i numeri gli indici di difficoltà a licenziare e la rigidità del lavoro non sembrerebbero correlati con la posizione nel ranking della competività (che è poi quello che conta): Svezia (indici 40,39) posizione 4, Gemania (indici 40,44) posizione 5, Italia (indici 40,30) posizione 46. Ci sono anche controesempi (Stati Uniti, Svizzera) ma questo avvalorerebbe la tesi che non sono correlati. (andrebbe fatta un'analisi di correlazione che ho fatto ad occhio e dopo mezzanotte ma i dati non sono poi così univoci)

Anonimo ha detto...

...univocità??
Non credo che interessi a nessuno qui sopra...
Ho iniziato ieri a leggere il libro... se solo vedessi la scelta delle tabelle... Tutte serie storiche di tassi di occupazione e disoccupazione. Aggregatissimi, non una differenziazione su variabili strutturali (sesso, regione provenienza...o che so io) figuriamoci poi su variabili altre... tipo la provenienza sociale o la tipologia dell'impiego dei nuovi impiegati...
altro che univocità.

gianluca.
a piedi nudi

Unknown ha detto...

Probabile che le aziende siano legate a mansionari e percorsi di carriera (mi piacerebbe conoscere l'alternativa).

Ma siamo pronti al merito, lavoratori per primi?
O meglio il "poco per tutti" che da anni i sindacati spingono?
Chi la spiega poi a quelli che non meritano la differenza?
Avete mai conosciuto qualcuno che dice "io non faccio nulla?"

La cosa giusta detta è che oggi il vantaggio è tenersi aggiornati.
E le aziende andrebbero scelte anche in base alla capacità di formare e premiare il merito.
E nonostante quello che si pensa ce ne sono.

Anonimo ha detto...

non ho nemmeno conosciuto un manager/imprenditore che dicesse non ci abbiamo capito molto abbiamo sbagliato e per questo dobbiamo ristrutturare/chiudere e licenziare tot persone.

angela padrone ha detto...

Rispondo prima di tutto ad Alberto Rapisarda: analisi assolutamente giusta, di fronte a un paese così disastrato si cercano degli spiragli, ma è difficile trovarne...pensiamo alla proposta di detassare automaticamente tutti i redditi bassi: così tutti quelli che evadono il fisco avranno subito un doppio privilegio. Pazzesco, no? Se io facessi politica avrei un unico punto nel mio programma: l'istruzione. Punto.
Quanto a Simone Valenti: penso anch'io che non ci sia un rapporto di causa effetto univoco tra quei dati, anche perché ha un forte impatto la struttura del Paese preso in considerazione e la sua cultura diffusa...Però chiunque abbia mai messo piede in un ufficio (non importa se pubblico o privato) si accorge che la difficoltà a far uscire alcuni lavoratori dal loro posto (dove non fanno quasi niente) toglie automaticamente possibilità ad altri che invece farebbero quel lavoro con bravura, competenza e entusiasmo, o come minimo, con correttezza. Ovvio che poi, nei casi concreti, tutto sdia più complesso, questo non c'è bisogno di dirlo.
Ultima cosa: le tabelle nel libro. Quello è un libro giornalistico, non certo da economista, però alcuni dati sono utili e comprensibili a tutti. Mi domando solo se in alcune copie mancassero delle pagine ;-)

Anonimo ha detto...

uff... mi si è cancellato il commento che avevo scritto...
vabbè...
Guarda queste tabelle
dell'istat
.
Tanto per dire, si legge come nell'ultimo trimestre del 2007 se in Italia 0,9 persone sono uscite dalle forze di lavoro, cioè non lavorano più e non cercano lavoro, mentre solo al sud abbiamo una differenza del 3,6. Che significa? Che hanno vinto alla lotteria? Che sono donne appena sposate? O forse è gente che ha rinunciato?
Non è questo l'importante adesso, quanto che si capisca cosa voglio dire quando dico che hai scelto le tabelle con una certa malizia. Almeno osservando quelle che ho trovato sulla mia copia. :)
Non sono un economista, nè ancora sociologo, ma non penso che la stesura di un testo giornalistico debba essere meno onesta intelletualmente parlando di elaborati tecnici.

ciaoooooooooooooooo

gianluca

Anonimo ha detto...

Credo che ciò che ha indicato Alberto Rapisarda sia una verità di livello così assoluto da lasciare - come si suol dire - gli occhi offuscati dalla troppa luce.

Quello che più colpisce noi, imprenditori giovani ma già con un po di esperienza alle spalle, è proprio la parte che ora citiamo:

I lavoratori hanno un concetto di mercato del lavoro, ma anche del lavoro stesso, troppo distante da quelle che sono l’esigenze reali della new economy. Sono talmente impegnati a cercare lo stipendio fisso o garantito, da non preoccuparsi del loro profilo professionale. Quest’ultimo è il vero tesoro dell’economia moderna. Mai come oggi la figura dell’uomo è al centro del sistema economico mondiale, dove le stesse aziende riconoscono il contenuto di conoscenza e professionalità del lavoratore come elemento portante del capitale.

Questo non ci colpisce tanto in senso negativo a livello assoluto, ma ci lascia senza una possibile risposta, in particolar modo relativamente al fatto che esiste una fascia ben definita - a nostro parere non così grandfe come si vuole far pensare, ma non per questo piccola - di ragazzi giovani che - spesso senza rendersene del tutto conto - cercano stipendi fissi e garantiti, senza preoccuparsi in senso assoluto del profilo professionale, uccidendo in questo modo più o meno metaforicamente quelle che sono le loro prospettive di emergere.

E' la Cultura del "prima ricevo, perchè è un mio diritto farlo, e poi do, perchè lo devo fare" a terrorizzarci: basti pensare che nel nostro settore - grafica - e nel nostro caso, abbiamo una % di CV adatti di circa 1 su 10, e una % di persone con sufficiente tasso di motivazione tra questi rimasti di circa il 2-3 % del totale ...

prime

angela padrone ha detto...

Caro Gianluca, non credo che tu possa addirittura spingerti a parlare di disonestà intellettuale... perché poi? Fin dalle prime pagine del libro e a più riprese nel testo si parla delle differenze nel mercato del lavoro tra diverse regioni e tra diversi strati della popolazione, per non parlare delle differenze tra uomini e donne. Che al Sud ci siano tassi di inattività, di disoccupazione e di lavoro nero più alti che in tutto il resto d'Italia lo sanno anche i sassi...Proprio i giovani e le donne del Sud sono i principali obiettivi di politiche del lavoro che permettano più flessibilità "legale". Queste persone devono comunque avere la possibilità di trovare dei lavori (anche se a termine), uscire dal lavoro nero, e fare delle esperienze che consentano loro di cominciare ad avere un curriculum e non "un foglio bianco". Ma le politiche sono sempre nazionali, giustamente.
A Prime: questo problema dell'"inadeguatezza" personale e/o professionale dei giovani lavoratori è un discorso da fare con molta cautela. I punti sono due: primo, c'è una mancanza di cultura del lavoro, come a volte ho tentato di ipotizzare, e questo è un cambiamento epocale, che forse dovremo capire meglio. Seconda cosa, ancora più importante: la scuola, l'università, non "formano", non lo fanno con gli occhi rivolti al mercato del lavoro e quindi lasciano aleggiare tra i ragazzi e le loro famiglie false convinzioni su ciò che li aspetta. E questa è una responsabilità di tutti noi. Anche le aziende, forse, potrebbero promuovere maggiori occasioni di raccordo con scuole e università...

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