CONTRATTO UNICO, QUESTO SCONOSCIUTO
Sempre più spesso si parla di "contratto unico". Sarà perché anche in Francia Sarkozy sembra che voglia riformare il mercato del lavoro con questo strumento. Cosa esattamente voglia dire contratto unico non è facile da chiarire, anche perché probabilmente ci sono parecchi tipi di contratto unico nella testa di chi ne parla. La voce.info pubblica un articolo di Tito Boeri e Pietro Garibaldi, nel quale si fa riferimento alla proposta avanzata da Tiziano Treu e caldeggiata anche da Veltroni, e chiarisce quello che intendono loro (che ne parlano e lo propongono da circa due anni).
"Nella nostra proposta - dicono Boeri e Garibaldi - il contratto ha tre fasi: la prova, l'inserimento e la stabilità". Dopo il periodo di prova di sei mesi e fino al terzo anno, "il lavoratore è coinvolto in un periodo di inserimento in cui viene tutelato dalla protezione indennitaria (da due a sei mesi di salario) nel caso di licenziamento economico....Al termine del terzo anno, l'obbligo di reintegrazione viene esteso anche ai licenziamenti economici senza giusta causa." Gli altri tipi di contratti, aggiungono gli autori, "rimangono, ma devono essere compatibili con gli standard minimi...in termini di salario minimo orario e contributi previdenziali obbligatori".
Credo che sia una base di discussione importante, anche se mi piacerebbe un confronto con Michele Tiraboschi che in suo articolo di pochi giorni fa scriveva: "...Sul piano progettuale riscuote oggi un discreto successo la proposta del contratto unico in tre tempi: prova, inserimento, stabilità. A noi pare che questa forma di lavoro già esista sulla carta, anche se poco e male applicata dalle norme regionali e dai contratti collettivi. È il nuovo apprendistato della Legge Biagi, che è infatti un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma senza articolo 18, che prevede una prova, un inserimento in modalità formativa e infine, al termine del periodo di apprendimento, la possibilità di stabilizzazione senza soluzione di continuità".
Ci sono però altri due passaggi dell'articolo di Tiraboschi che mi hanno colpito. Il primo riguarda la sovrabbondanza di norme che alla fine non fanno contento nessuno:
"...Anche dopo le recenti innovazioni apportate dalle Leggi Treu e Biagi è palese, e non solo nei settori maggiormente esposti alla competizione internazionale, l’insofferenza verso un corpo normativo sovrabbondante ed ostile che, pur senza dare vere sicurezze a chi lavora, intralcia inutilmente il dinamismo dei processi produttivi e l’organizzazione del lavoro. Così, se per un verso i lavoratori chiedono maggiori e più incisive tutele, le imprese reclamano a loro volta maggiore flessibilità e un quadro di regole meno invasivo".
Il secondo mette in guardia da imposizioni di legge formali che poi il mercato si incarica puntualmente di eludere, senza quindi portare grandi vantaggi:
"La verità è che lavoratori e imprese hanno oggi bisogno di un quadro di regole semplici, sostanziali più che formali, accettate e rispettate in quanto contribuiscano a cementare rapporti di fiducia e un clima di fattiva collaborazione nei luoghi di lavoro. Una economia competitiva fondata sulla conoscenza - scrive Tiraboschi - deve cioè poter contare su lavoratori il cui potere contrattuale poggi sulla loro qualità professionale e capacità di adattamento piuttosto che su di un sistema di garanzie ingessate. Questa è la vera stabilità del lavoro. Una stabilità basata su un sistema di convenienze reciproche piuttosto che su formalistiche imposizioni di legge, che vengono poi largamente superate nei processi normativi reali, se è vero che l’articolo 18 trova applicazione per una cerchia sempre più ristretta di lavoratori e, comunque, nulla può quando una impresa chiude o delocalizza".
In biologia e anche in cibernetica esiste il concetto di omeostasi che io trovo affascinante: è la capacità dell'organismo ( o di un sistema complesso) di conservare una stabilità al suo interno, data da alcuni processi regolativi e controregolativi che si attivano a ogni variazione delle condizioni esterne.
Che vuol dire? Vuol dire che in un sistema organico (e in senso lato un sistema sociale ed economico certamente si può definire "organico") le parti cercheranno sempre un sistema per rimanere più o meno come erano, anche se qualcosa dall'esterno (in questo caso una legislazione astuta) cerca di modificarlo. Il rischio che l'eccesso di regolazione spinga alcune fasce di lavoratori e di aziende verso il lavoro nero, l'elusione più o meno ampia, l'utilizzo di escamotage, o che semplicemente ne impedisca i movimenti, credo che sia sempre in agguato. Comunque meno male che si comincia a discutere su qualcosa di nuovo.
"Nella nostra proposta - dicono Boeri e Garibaldi - il contratto ha tre fasi: la prova, l'inserimento e la stabilità". Dopo il periodo di prova di sei mesi e fino al terzo anno, "il lavoratore è coinvolto in un periodo di inserimento in cui viene tutelato dalla protezione indennitaria (da due a sei mesi di salario) nel caso di licenziamento economico....Al termine del terzo anno, l'obbligo di reintegrazione viene esteso anche ai licenziamenti economici senza giusta causa." Gli altri tipi di contratti, aggiungono gli autori, "rimangono, ma devono essere compatibili con gli standard minimi...in termini di salario minimo orario e contributi previdenziali obbligatori".
Credo che sia una base di discussione importante, anche se mi piacerebbe un confronto con Michele Tiraboschi che in suo articolo di pochi giorni fa scriveva: "...Sul piano progettuale riscuote oggi un discreto successo la proposta del contratto unico in tre tempi: prova, inserimento, stabilità. A noi pare che questa forma di lavoro già esista sulla carta, anche se poco e male applicata dalle norme regionali e dai contratti collettivi. È il nuovo apprendistato della Legge Biagi, che è infatti un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma senza articolo 18, che prevede una prova, un inserimento in modalità formativa e infine, al termine del periodo di apprendimento, la possibilità di stabilizzazione senza soluzione di continuità".
Ci sono però altri due passaggi dell'articolo di Tiraboschi che mi hanno colpito. Il primo riguarda la sovrabbondanza di norme che alla fine non fanno contento nessuno:
"...Anche dopo le recenti innovazioni apportate dalle Leggi Treu e Biagi è palese, e non solo nei settori maggiormente esposti alla competizione internazionale, l’insofferenza verso un corpo normativo sovrabbondante ed ostile che, pur senza dare vere sicurezze a chi lavora, intralcia inutilmente il dinamismo dei processi produttivi e l’organizzazione del lavoro. Così, se per un verso i lavoratori chiedono maggiori e più incisive tutele, le imprese reclamano a loro volta maggiore flessibilità e un quadro di regole meno invasivo".
Il secondo mette in guardia da imposizioni di legge formali che poi il mercato si incarica puntualmente di eludere, senza quindi portare grandi vantaggi:
"La verità è che lavoratori e imprese hanno oggi bisogno di un quadro di regole semplici, sostanziali più che formali, accettate e rispettate in quanto contribuiscano a cementare rapporti di fiducia e un clima di fattiva collaborazione nei luoghi di lavoro. Una economia competitiva fondata sulla conoscenza - scrive Tiraboschi - deve cioè poter contare su lavoratori il cui potere contrattuale poggi sulla loro qualità professionale e capacità di adattamento piuttosto che su di un sistema di garanzie ingessate. Questa è la vera stabilità del lavoro. Una stabilità basata su un sistema di convenienze reciproche piuttosto che su formalistiche imposizioni di legge, che vengono poi largamente superate nei processi normativi reali, se è vero che l’articolo 18 trova applicazione per una cerchia sempre più ristretta di lavoratori e, comunque, nulla può quando una impresa chiude o delocalizza".
In biologia e anche in cibernetica esiste il concetto di omeostasi che io trovo affascinante: è la capacità dell'organismo ( o di un sistema complesso) di conservare una stabilità al suo interno, data da alcuni processi regolativi e controregolativi che si attivano a ogni variazione delle condizioni esterne.
Che vuol dire? Vuol dire che in un sistema organico (e in senso lato un sistema sociale ed economico certamente si può definire "organico") le parti cercheranno sempre un sistema per rimanere più o meno come erano, anche se qualcosa dall'esterno (in questo caso una legislazione astuta) cerca di modificarlo. Il rischio che l'eccesso di regolazione spinga alcune fasce di lavoratori e di aziende verso il lavoro nero, l'elusione più o meno ampia, l'utilizzo di escamotage, o che semplicemente ne impedisca i movimenti, credo che sia sempre in agguato. Comunque meno male che si comincia a discutere su qualcosa di nuovo.
1 commento:
post interessante.
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