lunedì 3 settembre 2007

MI RICORDO.... IL LAVORO NEGLI ANNI '80



Piccola esperienza personale...(oggi mi rifiuto di affrontare teorie)...

Quando avevo 20 anni, negli anni '80, nei cortei e ai dibattiti si gridava "No alla disoccupazione, no al lavoro nero". Oggi questi slogan sono caduti in disuso, vorrei che qualcuno dicesse un po' perché o ci riflettesse su. E' sparita la disoccupazione, è sparito il lavoro nero?
Quando mi laureai (sempre in quei "favolosi" anni '80) rimasi disoccupata per un po' e cominciai a fare un lavoro volontario, gratuito, all'università: un contrattino, uno stage, una borsa di studio? No, non esisteva niente di tutto ciò, o meglio era già un miraggio poter trovare qualcosa del genere.

Conobbi delle persone che lavoravano alla Rai: quasi mai avevano il contratto da giornalista, bensì da programmista. Quasi mai avevano un contratto a tempo indeterminato: spesso erano contratti di tre o sei mesi, dopo i quali dovevano stare senza lavorare per qualche mese e poi se erano fortunate, venivano richiamate. Ma anche quello per me era un miraggio. Non esistevano mica i concorsi per quelle cose! Solo le conoscenze. Era il 1985..... e la parola precariato, le leggi Treu e Biagi non se le sognava nessuno.

Un anno, in vacanza, mi trovai a discutere con un ragazzo americano: da noi è difficile trovare lavoro, anche solo per un periodo, gli spiegavo. Chi ce l'ha se lo tiene stretto, e chi non ce l'ha peggio per lui. Lui faceva delle facce sgomente, strabuzzava gli occhi. Ma come, un lavoro, un lavoretto, un lavoro temporaneo, anche questo è difficile? Sì, gli rispondevo, perchè se qualcuno ti vuole prendere per sei mesi, poi ti deve tenere tutta la vita... non ti può più mandare via. Lui era sempre più sgomento. Siete pazzi, diceva, siete pazzi. E io intanto ero disoccupata.

Nella foto vedete un'immagine di manifestazioni a favore del referendum per il punto unico di scala mobile, 1984. Per fortuna, i sindacati che vollero il referendum persero, il punto unico di scala mobile non tornò, l'inflazione calò, e i lavoratori invece "vinsero", almeno un po'.
Ciò detto, e senza voler trarre nulla di particolare da questi frammenti di ricordi, vi lascio per un paio di giorni. A mercoledì.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Angela,
quoto al 100% le tue considerazione.

Io ho cominciato a lavorare nell'azienda di famiglia nel "mitico '68" e ne ho viste di tutti i colori nei rapporti con il Sindacato nostrano.

Se vuoi sapere cosa penso del ruolo dei sindacati nostrani a partire dagli anni '70 linka sulla pagina wek qui sopra.

Complimenti per la chiarezza, serenità e determinazione che caratterizzazno il tuo rapporto con il mondo del lavoro!

Piero Viscardi

arnald ha detto...

Ciao Angela,

io sono d'accordo con te su un fatto: con il tempo indeterminato quello tra il datore di lavoro e il suo impiegato sembrava più un matrimonio che un contratto. Ma come ben sai noi siamo il paese degli estemismi. Ora per tenerti il posto di lavoro devi scendere a patti con un sistema che ri rende il futuro non futuribile e il presente un giorone infernale. Se hai la ricetta per guarire la nostra mentalità (di tutti) benvenga perché io brancolo nel buio e sprofondo nel sommerso. - Arnald

Anonimo ha detto...

Quello che dice è vero, ma come la mettiamo se ad uno stage (non pagato!) ne segue un altro (non pagato!) e un altro, e un altro... Certo si affastellano le "esperienze" ma gli anni passano; ma quello che viene richiesto - in qualunque ambito - è che si sia il più formati possibile ma nel minor tempo possibile, avendo inoltre un'età giovane (costante, oserei dire) e zero aspirazioni familiari.

Di buono ora c'è il fatto di potersi "imbucare", di riuscire ad entrare là dove non saresti mai riuscito senza una raccomandazione (che comunque serve, in certi settori, non raccontiamoci storie). Ma il limite è proprio che non ci sia un limite, e lo sfruttamento diventi perciò (quasi) giustificato.
E' sbagliato condannare in toto un sistema flessibile, che ci ha dato molte possibilità di inserimento, ma pure è scorretto giustificare un certo qual "sadismo" nell'avere stagisti tutto&niente-fare.

Io vorrei davvero che la mia "sana" gavetta serva al più presto a qualcosa, ma se ogni volta che inizi una nuova esperienza parti da "stagista" dove arrivi? Ma soprattutto... quando?!?!?

Aspetto di leggere il suo libro, per ulteriori commenti o delucidazioni! Arrivederci e... buon lavoro, io torno al mio stage

Anonimo ha detto...

Ecco, è arrivato il jobs act, la tanto sospirata "flessibilità". Contenti ora?

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