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E' il Nord il protagonista di queste elezioni politiche: il Nord come realtà da conquistare, come mercato politico da capire e interpretare. Il Nord anche come punto di forza, come avanguardia della nostra modernità. Questo Nord nessuno lo può dare per scontato.
Ma in particolare è per la sinistra che rappresenta un problema. E mentre sta per uscire a quanto pare un libro di Riccardo Illy "Così perdiamo il Nord", che appunto ammonisce la sinistra, io voglio parlare di un altro libro, che ho trovato particolarmente acuto, un vero libro di "politica": "Nord terra ostile. Perché la sinistra non vince" di Marco Alfieri, Marsilio.
Marco Alfieri è un giornalista che aveva una ventina d'anni quando Berlusconi è entrato in politica, e che negli anni della lotta all'ultimo sangue tra il Pci e il Psi di Craxi stava forse finendo le elementari. Eppure, citando le note di Tonino Tatò, braccio destro di Berlinguer, individua la nota dominante della sinistra che arriva fino a noi oggi: "...la famosa diversità berlingueriana, il mito dell'alterità antropologica del Pci rispetto ai fratelli coltelli del Psi; l'autocontemplazione morale in cui la diversità diventa lo spleen insuperabile per spegnere qualsiasi riformismo autentico, postideologico, di sinistra liberale. A farne le spese - continua Alfieri -
e a uscire paurosamente svuotata è la capacità di interpretare le nuove composizioni sociali che specie al nord andavano affermandosi, il rapporto con la piccola impresa diffusa, la modernizzazione dei consumi, l'atomizzazione dei lavori e l'esigenza di un autonomismo federalista appena decente" (p. 90). Giù giù fino a oggi, la cultura di ciò che è rimasto della sinistra dopo gli anni '90, e del nuovo partito democratico, dice ancora Alferi: "è un deficit pauroso di parole nuove, strumenti e linguaggi moderni". Nelle sezioni del Pd si rinvengono ancora vecchi volumi sulla storia dell'Unione Sovietica, l'enciclopedia del marxismo e altri reperti. Non ci sono, o non erano lì a fare storia, anche se certo i quadri giovani del partito li avevano a casa, Rawls, Amartya Sen, Darhendorf, Tocqueville. Tutti autori, aggiungerei perché me lo ricordo bene, che invece circolavano tra i riformisti di sinistra negli anni '80.
Il libro è ricco e complesso, non posso certo riassumerlo qui. Ma va citata una frase dell'introduzione: "O saprà costruire davvero una nuova cultura politica capace di interpretare questi mondi a capitalismo diffuso in cui la qualità delle infrastrutture, la competitività dell'azienda in cui si lavora, il rapporto con il fisco e con la burocrazia diventano fattori decisivi delle scelte di voto, oppure il Pd non servirà a nulla" (p.22).
Il libro è stato scritto probabilmente quando ancora non si sapeva che si sarebbe andati a votare ad aprile. Ora la grande sfida del Pd al Nord è cominciata, il tempo è poco, ma si vede che il tentativo di uscire dalle vecchie pastoie c'è. La sinistra oggi sogna di tornare ad essere quello che era tanto tempo fa: la parte politica che cavalcava l'onda del nuovo, dei fenomeni emergenti, dei giovani. Oggi è capace di recuperare l'onda di rinnovamento, può conquistare i settori più moderni e vitali della società italiana, è capace di portare l'Italia tra i paesi più dinamici d'Europa? Queste sono le domande che tanti elettori della sinistra si sono posti in questi anni. La risposta non sempre è stata positiva. E la sfida è molto difficile.
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