UN AVVOCATO ITALIANO IN VIETNAM
Non pretendo che questa storia sia ordinaria. Non è alla portata di tutti essere eccezionali. La storia di Federico Vasoli, che potete leggere qui di seguito, è di quelle che possono galvanizzare o deprimere: qualcuno si rassegnerà al fatto che lui, o lei, non sarà mai così. Ma per tanti altri credo che dimostri che, se non tutto, molto si può fare. Spesso bisogna solo fare un primo passo, aprire una porta. Non sempre basta. E, leggendo, qualcuno dirà che comunque Federico è favorito dal suo ambiente, dalle sue doti naturali, dalla fortuna. Ma anche per chi nasce dotato, la fortuna non basta. A sperperare una fortuna ci vuole un attimo. Io ho incontrato Federico
e ho avuto la sensazione di una grande determinazione. Ma l'ho incontrata anche in molte altre persone. Ecco il suo racconto:
"Sono Federico e faccio l’avvocato a Milano e... in Vietnam!
Qui dico qualcosa del mio lavoro, ma il mio lavoro oggi corrisponde alla mia vita e quindi devo essere un po’ autoreferenziale e parlarvi di me.
Adoro il mondo, ho la fortuna di vivere una vita stupenda e come tutti quanti noi sono un universo pieno di sfaccettature e di (apparenti?) contraddizioni.
Non mi piacciono gli stereotipi quando si descrivono le persone, proprio perché siamo troppo complessi per essere etichettati.
Per questo, scrivere di me è un felice privilegio concessomi da Angela, ma anche una bella impresa, perché, se ho quasi sempre un’opinione su tutto e spesso mi vengono battute fulminee, allo stesso tempo raccontare la mia storia significa affrontare la sfida di condensare con efficacia percorsi, passioni, situazioni contingenti.
Fino a nove anni fa ero un ottimo studente di liceo classico, che mi è piaciuto da morire, e grazie alla mia scuola, il Collegio San Carlo di Milano, e soprattutto ai miei genitori, ho viaggiato parecchio anche negli anni di scuola. Mio padre mi ha trasferito un’inguaribile passione per la storia e per l’internazionalità. Mia madre mi ha donato il suo spirito da guerriero e la sua capacità di risolvere i problemi (almeno ci provo). Detesto le piccinerie, odio i litigi e le perdite di focus dalla visione e dall’obiettivo. Non mi arrabbio quasi mai, ma, come il Pai Mei di Kill Bill, le rare volte che sono inconsolabile divento letale.
Fin qui qualche riga su quello che non mi piace.
Ma penso di sapere anche cosa mi piace. Mi piacciono un sacco di cose. Mi piace viaggiare, conoscere nuove persone, confrontarmi con figure che per me rappresentano degli esempi interessanti (anche se non sempre da seguire), mi piace sentirmi crescere, migliorarmi, andare oltre i rapporti formali. Mi piace quando le arti mi trafiggono il cuore e mi piacciono cose molto terra-terra come le comodità riservate a quei misteriosi e distinti tizi che vengono chiamati executives, come i voli in business-class, l’iPhone e i termini complicati di finanza. Mi piacciono le sfide e le nuove imprese. Mi piace farmi un mazzo così. Mi piacciono gli eroi classici e i grandi leader, ma non i demagoghi. Mi piacciono le contraddizioni armoniche, come una mia elegantissima e classicissima cravatta di lana, regimental... viola e fucsia! A volte contemplo qualcosa che colpisce il mio senso del bello. Può essere un paesaggio, un tratto caratteriale di una persona, il giro di basso in una bella canzone. La mia vita non potrebbe mai essere senza musica. E infatti durante l’università ho anche cantato con artisti abbastanza quotati nel loro ambiente.
Università. Volevo farla in Inghilterra, un po’ per spiccato senso dell’indipendenza, un po’ perché un tipo stravagante come me con gli Inglesi va a braccetto.
È finita che ho studiato alla Bocconi di Milano, dove avevano appena inserito la laurea in giurisprudenza. E mi è andata bene, perché, a fronte di qualche esame e di qualche professore che mi ha davvero ispirato e che mi ha fatto dire intimamente di aver scelto per il meglio, i miei quattro anni in Bocconi rischiavano di essere grigi e bruttarelli come la facciata di via Sarfatti. Così, durante l’università ho scatenato la mia versatilità e ho fatto di tutto: ho studiato qualche lingua, ho viaggiato, mi sono fidanzato (e mi sono pure lasciato, grazie al cielo!), ho cantato, ho partecipato attivissimamente ad associazioni giovanili facendone una più del diavolo. E avevo solo iniziato.
L’ottimo studente aveva scoperto il mondo e aveva vissuto i suoi diciott’anni con un po’ di ritardo.
Avevo anche fatto un pensiero molto semplice: posto che di studenti bravi è pieno il mondo, posto che pure di avvocati lanciatissimi è pieno il pianeta (e non sono nemmeno così amati!), posto che noi italiani sulla carta siamo molto meno competitivi dei nostri colleghi gallonati a Harvard, posto che la vita è una e non va sprecata, non mi è mai interessato rientrare negli schemi, ma piuttosto cercare un modo per differenziarmi e per essere un passo avanti. Le numerose esperienze non sono dunque mai state fini a se stesse, ma sono servite, quasi come un Grand Tour, a formarmi, sempre che un pigraccio come me possa formarsi... Chi mi conosce bene sa che sono iperattivo semplicemente perché se mi fermassi mi stancherei! Poltrire a letto e divorare quello che trovo nel frigo sono tra i miei massimi piaceri!
Insomma, se non mi diverto, non imparo e non lavoro.
Ecco perché quando ho avuto il minimo sentore della grama vita dell’avvocato medio italiano, fatta di pignolerie, burocrazie, sangue avvelenato, realtà locale, me la sono data a gambe!
Prima di laurearmi avevo in mente di mandare un’“application” in qualche gigantesco studio anglo-americano di diritto commerciale e magari di fare un master in America.
Poi, sempre durante l’università, ebbi la chance di lavorare in uno studio legale a Pechino. Mi candidai perché credevo che la Cina fosse sporca e arretrata e che un’esperienza simile avrebbe fatto impressione sui miei potenziali futuri datori di lavoro.
Scoprii che la Cina era abbastanza sporca, ma per nulla arretrata, e soprattutto mi appassionai alla vita che conducevo lì e all’idea di essere abbastanza pionieristico da inventarmi di lavorare nello studio di famiglia per clienti che volevano investire nel gigante asiatico.
Laureatomi, stavo per iniziare la pratica forense in un mega-studio milanese, dove però non mi avrebbero fatto andare a Bruxelles, dove ero stato preso per svolgere parte della pratica nello studio corrispondente nostro. Mi convinsi quindi che altrove sarei stato incatenato, magari con catene d’oro, ma avrei dovuto sacrificare il lungo elenco di cose che mi piacciono. E siccome il lavoro dev’essere un piacere, visto che ci passiamo su un mucchio di tempo, ho preferito prendere tutto quello che mi piace e farlo diventare un lavoro.
Così sono entrato nello studio di famiglia, lo studio legale con coraggio portato avanti dalla mia fortissima mamma, affiancata da colleghi straordinari, che sono davvero parte della mia famiglia.
Senso di sfida: internazionalizzare un piccolo - ma validissimo - studio milanese. Lavorare duro: ho passato subito l’esamone d’avvocato, a Milano, studiando come un matto. Rapporti umani: lavorare con amici fraterni e non con scorbutici colleghi che ti accoltellano alle spalle. Viaggiare: dopo Pechino e Bruxelles, ho aperto un ufficio a Hanoi, cosa volete di più! E così via.
Nel frattempo, ho sviluppato le mie altre aree di attività: ho scritto due libri (uno sulla sentenza Microsoft, l’altro sulla Cina), ho studiato diritto comparato all’Università di Strasburgo, sono stato eletto Rappresentante Distrettuale 2007-2008 del mio Distretto Rotaract (http://www.rotaract2040.org/), la cosa più bella del 2007 insieme alla licenza d’avvocato straniero in Vietnam. Il Rotaract è davvero l’organizzazione più bella del mondo: un programma per giovani dai 18 ai 30 anni, per crescere, divertirsi, fare del bene agli altri, un contenitore di opportunità (cultura, sport, lavoro di squadra, conoscenze, viaggi, ...) e un amplificatore di talenti. Grazie a questa esperienza, ho imparato moltissime cose nuove che ho riproposto nel mio lavoro: ho imparato a parlare in pubblico e ogni tanto mi chiamano a fare qualche piccola conferenza; ho imparato ad organizzare eventi e abbiamo realizzato un seminario sul Vietnam davvero di qualità (http://www.businessinvietnam.net/); ho imparato a confrontarmi con i bilanci, a pianificare i calendari a lavorare in gruppo, ed eccoci aprire lo studio a Hanoi. E si potrebbe continuare.
Oggi, a qualche mese dall’apertura dell’unico studio italiano in Vietnam e a pochi mesi dal momento in cui cesserò il mio gravoso incarico nel Rotaract, posso cominciare a tirare qualche conclusione.
Non tutto va bene, ma gli elementi fondamentali sono solidi: il nostro nome legato all’internazionalizzazione comincia a circolare, viene valorizzata la qualità di uno studio che raccoglie una tradizione familiare in ambito giuridico di oltre quattro secoli, i nostri clienti e i nostri interlocutori sono di qualità sempre maggiore.
Ci aspettano sfide molto dure: dare una struttura sempre più efficiente al nostro studio, ampliare l’organico (e trovare i soldi e soprattutto le persone giuste per farlo!), “farcela” in un’Italia al collasso economico e in un sistema sempre più complesso e competitivo (sempre più regole, l’avvocatura presa di mira, consulenti di dubbio valore che fanno “dumping” dei propri servizi, ...), trovare il tempo e la freschezza mentale per tutto, in un mondo che richiede capacità professionali sempre nuove e aggiornate.
Il mio obiettivo più vicino è di internazionalizzare la nostra clientela. Facciamo parte di un network di studi legali in tutta Europa e dunque il potenziale c’è.
Nel frattempo, stiamo acquisendo nuove competenze e ci stiamo affacciando su nuovi mercati, quali quelli del Golfo e quello londinese, senza perdere di vista l’Italia e la Cina, anche se non sono minimamente tentato dall’idea di essere uno studio grande per dimensioni o numero di sedi nel mondo. Mi interessa solo lavorare con gusto e bene ed essere premiato per i risultati che ottengo.
Terminata l’esperienza rotaractiana, arderò dal desiderio di tornare a studiare approfonditamente il diritto e di mettere in pratica quanto ho imparato in questi anni di attività extra-lavorative.
Il mio focus è e resterà sempre sulla qualità e sul fornire servizi di reale utilità per le imprese, lontano dai litigi, dalle piccolezze, dal cavillare fine a se stesso. Mi piace sentirmi un coach dei miei clienti, offrire loro opportunità, accompagnarle verso il successo. Mi piace affrontare sfide nuove ed essere quindi “costretto” a studiare, ad esplorare, ad essere flessibile.
Ho la fortuna di lavorare per me stesso ed è una vera benedizione. Non escludo di cambiare in futuro: potrei rivendermi altrove, potrei cambiare totalmente area di attività. Ma sicuramente ci metterò lo stesso spirito e lo farò perché mi piacerà."