Una giornata dedicata al lavoro dei giovani, ma di giovani se ne sono visti pochi. In compenso si sono viste e sentite cose degne di una commedia di Shakespeare: peccato che i protagonisti facciano finta di non rendersene conto.
Cominciamo dal pomeriggio: come previsto, un sacco di gente ha sfilato per Roma per dire "basta alla precarietà". Non poteva accadere niente di diverso: è come quando si chiede a qualcuno se preferisce il tempo bello o il tempo brutto, la povertà alla ricchezza: ovvio che la precarietà, nel suo senso peggiore, non piaccia. Ma come affrontarla? In piazza il tema è di difficile analisi. Il diritto del lavoro, l'innovazione nel mercato, ecc, si prestano poco alla soluzione tramite slogan.
Invece, la mattina, se ne è parlato approfonditamente, con esperti e politici, sia di destra che di sinistra al convegno
"Dare valore al lavoro". E tutti sono arrivati alla conclusione che per combattere il senso di precarietà bisognerebbe assolutamente completare la legge Biagi, lasciata a metà, con ammortizzatori sociali (che significa sussidi e formazione), investimenti, innovazione, e poi affrontare alcuni nodi che riducano la dualità del mercato del lavoro. Insomma, riforme che modernizzino un mercato asfittico, quello che Biagi per primo definiva "il peggior mercato del lavoro d'Europa".
Purtroppo, mi dicono che alla manifestazione di Roma c'erano tutte persone di una certa età, quindi lavoratori e forse perfino pensionati, mobilitati evidentemente dalle organizzazioni tradizionali della sinistra. Il problema del lavoro e della flessibilità, invece, ricade quasi tutta sui giovani.
Anche al convegno di stamattina al Capranica di Roma l'età media era molto alta e c'erano pochissime donne (meno male che una mia amica ha portato la figlia di due anni: ha abbassato la media!). Purtroppo gli interessati, quindi, non erano nel pubblico.
A un certo punto, mentre sul palco si analizzavano le leggi del lavoro, si è materializzato un gruppetto con uno striscione che diceva: "Siamo così giovani che non possiamo aspettare", slogan carino ma dal significato oscuro. L'aspetto surreale era che questi ragazzi, che si professavano di Rifondazione Comunista, e che sono stati espulsi dalla sala in quattro e quattr'otto, rappresentavano (oggettivamente) una componente di governo, lo stesso governo che ha approvato il pacchetto del welfare, che loro criticavano. Viceversa, in sala, il pacchetto welfare veniva difeso da rappresentanti dell'opposizione che, a loro volta, si trovavano meravigliosamente d'accordo, con altri esponenti di quello stesso governo. Insomma, una commedia degli equivoci.
In sala c'era Gianni De Michelis, ex ministro socialista di grande intelligenza politica (anche se si è sempre attirato molte critiche) che diceva caustico: "Ma se i riformisti di destra e di sinistra si ritrovano d'accordo, perché allora non governano insieme? Che ipocrisia è questa?". L'amara conclusione di molti in sala era che, purtroppo, il riformismo in Italia non ha mai avuto molto successo . Da noi hanno sempre prevalso le ideologie più "forti" anche se, secondo me, meno ancorate alla realtà. Agli italiani piace così.
Eppure sarebbe stato bello se la giornata di oggi avesse potuto segnare l'inizio di un dialogo sulla legge Biagi tra chi la contesta e chi la difende. In fondo oso sostenere (vedi
"Legge Biagi, l'ora del dialogo" sul Messaggero)che sembrano volere entrambi la stessa cosa: il benessere dei lavoratori e dell'economia di questo zoppicante paese. O no?