martedì 22 dicembre 2009

"Siamo tutti outsider?" di Michel Martone


Vi regalo un estratto della presentazione di Michel Martone al mio libro La Sfida degli Outsider. Per chi vuole leggerla tutta c'è sempre il libro, che si può anche comprare online qui accanto.
"(...) Una società nella quale prosperano gli insider, di fronte alla crisi economica, può anche avere l’impressione di poter sopravvivere sacrificando ulteriormente gli outsider. Ma poi rapidamente declina fino alla stagflazione. Perché, se i primi a impoverirsi sono gli outsider, che già hanno poco e in genere sono donne e giovani, poi, inevitabilmente, la crisi contagia l’intero sistema.
Basta guardare i dati sull’occupazione 2008-2009 richiamati nelle sue considerazioni finali dal governatore della Banca d’Italia. Quando arriva la crisi economica, i primi a rimetterci sono i neolaureati, perché le imprese smettono di assumere. Poi, cominciano a perdere il posto di lavoro anche i più tipici degli
outsider, ovvero i lavoratori precari, che immediatamente
riducono i loro consumi, perché non hanno ammortizzatori sociali. Così l’economia rallenta ulteriormente e, dopo un po’, cominciano a diffondersi i licenziamenti collettivi degli insider, ovvero di quei lavoratori che hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato e sono assistiti dall’articolo 18, che
però non vale a scongiurare le riduzioni di personale per motivi economici. Conseguentemente aumentano la precarietà, il lavoro nero e la disoccupazione, i consumi si riducono ulteriormente e il sistema entra in recessione. Quando il sistema entra in recessione, gli outsider, che siano disoccupati, precari o neolaureati, cominciano ad arrabbiarsi, perché vedono che
altre categorie di lavoratori possono contare su ammortizzatori
sociali ben più generosi, mentre a loro viene negata persino la speranza di un’occupazione a tempo indeterminato. E se non trovano i canali per riscattarsi dalla propria condizione attraverso l’impegno e il merito, è facile che diventino violenti, prima verbalmente e poi, magari, persino fisicamente. E così
la crisi economica, che in origine doveva colpire solo gli outsider, contagia l’intera società.
Il pericolo oggi è quanto mai attuale, visto che l’Italia registra il più basso tasso di mobilità sociale dei paesi occidentali, s’impoverisce giorno dopo giorno ma, ciononostante, non trova il coraggio di adottare quelle riforme di cui si discute da decenni. Riforme, come quella degli ammortizzatori sociali o del mercato
del lavoro, e liberalizzazioni, dalle professioni ai servizi pubblici locali, che Angela Padrone, coraggiosa sostenitrice del riformismo nostrano, ripropone con forza nelle pagine conclusive del libro, per abbattere quei muri e quelle barriere che, costringendo le donne e i giovani ai margini della nostra economia, compromettono il futuro del nostro paese."

martedì 8 dicembre 2009

Il mondo di Arnald



Qui in Rete molti già conosceranno Arnald. E' l'uomo delle vignette.


Come altri amici del Web Arnald ha trasformato le sue ansie lavorative in un fattore creativo. Ha testardamente lavorato ai testi, che gli sono più congeniali, poi ai disegni. E' partito con delle figure che erano solo dei pretesti, dei pupazzetti neri poco attraenti, anche se le battute erano sempre fulminanti. Poi sono nati i personaggi con le buste di carta in testa, sotto le quali si indovinano ragazzi e ragazze , anzi ultimamente direi più ragazze che ragazzi.E posso svelare ai suoi fans che Arnald sta pensando a una evoluzione, grazie a una collaborazione con un disegnatore che porterà probabilmente nuova energia ai personaggi. Ma non corriamo avanti.


Dopo il blog , sul quale continua a sfornare vignette senza tregua, e dopo aver trovato ospitalità su vari altri siti, Arnald è approdato al libro, il caro vecchio libro di carta che nonostante tutto, resta l'oggetto del desiderio di tutti. "Diversamente occupati", Edizioni Angelo Guerini e Associati, 13,50 euro, contiene una vignetta per pagina, una più esilarante e sorprendente dell'altra. Anche se Arnald è convinto che il suo bersaglio sia il precariato nel lavoro, io sono convinta che senza rendersene conto lui vada molto oltre. Basta vedere la vignetta della copertina: "I miei genitori guadagnano più di me", dice la ragazza con il bicchiere in mano. E l'altra, un po' annoiata: "E perché non se ne vanno a vivere da soli?". Un concentrato di significati e di descrizioni sul mondo dei giovani, delle famiglie italiane, e della nostra esperienza quotidiana. C'è un intero mondo in quelle due battute. Ecco perché con le vignette di Arnald io mi diverto tanto, anche quando non le condivido.

domenica 6 dicembre 2009

Intervista su Dillinger.it (La pettinatura da outsider)

La pettinatura era da vera outsider! D'altra parte il tempo manca per certe frivolezze....

Questa l'intervista che mi hanno fatto i ragazzi di Dillinger.it la sera della presentazione del libro! Dopo il corpo a corpo con Brunetta, Bonino, Napoletano e last but not least Michel Martone!

mercoledì 2 dicembre 2009

Donne e giovani fuori dal lavoro



I dati Istat di ottobre sulla disoccupazione sono già abbastanza negativi da far capire quanto sia sottile il ghiaccio su cui pattina il desiderio di ripresa. C’è in questi dati, va detto, anche una nota positiva: la voglia di lavoro degli italiani. Sempre più persone decidono di attivarsi e guadagnarsi da vivere. Ma queste cifre nascondono una realtà ancora peggiore: alcune debolezze profonde che vanno oltre il carattere temporaneo dell’attuale crisi.Innanzitutto il dato buono: sono sempre di più coloro che si mettono alla ricerca di un’occupazione retribuita. Significa che continua la tendenza alla modernizzazione che coinvolge l’Italia e il mondo del lavoro da alcuni anni. Perché è giusto che in un Paese sano, non solo economicamente ma anche dal punto di vista del suo capitale ”sociale”, tutti si muovano sul mercato del lavoro. Significa che qualcuno emerge dal ”nero”, che comunque non ci si accontenta di più di vivere in famiglie monoreddito, e che si perde qualche posizione di rendita. Quindi fatti positivi. Ciò detto, però, sono finite le note dolci. Quelle amare riguardano tre dati: primo, il numero degli occupati, che diminuisce; secondo, si riduce il tasso di occupazione femminile, che già era anni luce lontano dagli altri paesi europei; terzo, aumenta enormemente il tasso di disoccupazione dei più giovani.
Allora, il tasso di occupazione ci parla del nostro mercato del lavoro in un modo particolare, ci descrive un Paese nel quale un terzo degli abitanti, grosso modo, non lavora e non cerca lavoro. A questo di solito si pensa poco. Molti di loro sono pensionati, ma si tratta anche di tantissimi ragazzi, che entrano troppo tardi nel mondo del lavoro, e delle donne, che spesso ne restano fuori o ai margini per tutta la vita.
Questo si connette al secondo dato: il basso tasso di occupazione delle donne. A ottobre 2009 è sceso ancora. Le donne che lavorano sono appena il 46,6 per cento. Ricordiamo che nel resto d’Europa le medie sono vicine al 60 per cento, e che in quei paesi sono più alti anche i tassi di natalità. Quindi, non consoliamoci con la retorica delle mamme italiane, perché da questo punto di vista siamo messi proprio male. E su questo si riflette poco e si agisce ancora meno, se non quando si levano periodici appelli a fare di più ”per la famiglia”, come se le donne non meritassero una tutela ”di per sé”. Va aggiunto che una crescita dell’occupazione delle donne comporterebbe un grande sviluppo dell’economia dei servizi, che da più parti si invoca per modernizzare la nostra economia. L’ultimo dato riguarda i nostri figli. Forse anche loro hanno le loro colpe, forse pascolano troppo a lungo nell’indecisione di cosa fare dopo la scuola e negli anni fuori corso dell’università, ma il loro approccio al mercato del lavoro è probabilmente più incidentato qui in Italia che altrove. Su di loro, e solo su di loro, pesa una flessibilità che dovrebbe essere più equamente distribuita e dotata di ammortizzatori sociali dei quali solo ora si comincia a discutere un po’ di più. Per questo dobbiamo ringraziare la crisi. Ma ancora quello che si fa non basta. E lo vediamo quando si parla dei dipendenti a tempo determinato, collaboratori a progetto, piccole partite Iva e lavoratori autonomi che sono poco tutelati dai soggetti e dagli istituti tradizionali, leggasi sindacati, cassa integrazione o mobilità. Forse partendo da questi semplici dati si potrebbe fare qualcosa di più per affrontare non solo i problemi quantitativi, ma anche la qualità del mondo del lavoro e la qualità della vita dei lavoratori in Italia.

sabato 28 novembre 2009

La Sfida delle imprenditrici di Verona


Le imprenditrici di Verona si sono fatte una bellissima festa e mi hanno invitato a partecipare. Non poteva esserci niente di meglio: si è parlato e scherzato di noi, dei nostri lavori, dei nostri progetti, delle nostre vite, dei nostri disastri. Una serata incredibile, in un antico palazzo di Verona, palazzo Giusti, circondaato da giardini storici che dovrò tornare a visitare prima o poi (visto che ieri sera con il buio non ho potuto), con tante donne belle, energiche, piene di esperienza e di energia, e pochi uomini, una volta tanto, contenti di partecipare a un evento nel quale però non erano protagonisti.
"Leggendo il tuo libro ho avuto l'impressione che ogni capitolo parlasse di un mio problema, ognuno infilava un argomento su cui spesso avevo riflettuto, ma non avevo mai messo tutto insieme", è stato uno dei complimenti che mi hanno riempita d'orgoglio. "Questo libro parla di noi", mi ha detto un'altra, e nulla poteva rendermi più felice.





Tutto è nato da una fulminea decisione di Matilde Poggi (nella foto), mamma di una splendida ragazza dall'aspetto rinascimentale, e imprenditrice del vino, che ha sentito me a Radio Uno parlare del mio libro "La sfida degli outsider". In un baleno ha deciso di comprarlo, leggerlo (mica poteva fidarsi solo delle parola lanciate nell'aria dalla radio!) e quindi lo ha proposto al Comitato per l'Imprenditoria femminile, che aveva già organizzato la festa-convegno di ieri sera. Il comitato ha comprato un certo numero di copie e ha distribuito il libro alle presenti, che così lo hanno potuto discutere, sapendo di che cosa si trattava.
A Verona le donne lavorano tutte. E tanto. Ancora più che in altre parti d'Italia, forse, stanno sempre lì a inventarsi qualcosa, a pensare progetti nuovi, a sviluppare qualche impresa. E ieri sera ho visto chi sfoderava il suo "progetto" dalla borsa per discuterne, per farlo vedere. Non voglio svelarlo. Se e quando vorranno, lo potranno fare loro, anche qui su questo blog, se ne avranno il tempo.
Perché tra le cose che mi hanno detto, discutendo per esempio del discorso sul tempo che faccio nella Sfida degli Outsider, c'è che loro sono ancora molto al di sopra della media del tempo lavorato dalle italiane (che già segna un record in Occidente). Ma sono solo medie, mi sono giustificata. E voi perché non obbligate i vostri mariti e compagni a darsi da fare, a farsi carico di qualcsa, per ridurre un po' il vostro temepo di lavoro? Eh, difficile, dicono le signore che non si arrendono. Però progettano viaggi di vacanza a Parigi e intanto lavorano senza sosta e con il sorriso sulle labbra. Parlano tanto di sé, dei propri figli, ma il loro lavoro non vale meno di quello di tanti imprenditori, anzi. Se penso ache cosa sarebbe un'analoga riunione di imprenditori uomini, in giacca e cravatta, mi viene la tristezza e mi dispiace per loro. E' ora che imparino però dalle donne!
Voglio qui salutare e ringraziare in particolare Graziella Tabacchi, che oltre alla sua attività si occupa anche di politica e dei nipotini. Voglio citare Alessia Rotta (nella foto), instancabile e poliedrica comunicatrice dal sorriso irresistibile anche quando è stanca, e poi le donne che hanno parlato. Prima fra tutte la prefetta, Perla Stancari, che ha strappato applausi e bis come una rockstar. Poi la senatrice Cinzia Bonfrisco (nella foto in alto), con la quale se ci fossimo messe d'accordo prima non saremmo riuscite ad andare tanto di comune accordo. E poi Lia Sartori, deputata europea, e Donata Gottardi, giuslavorista. Con loro abbiamo forse seminato qualcosa che va oltre la serata e le discussioni di ieri. Lo spero, perché in questi casi ho veramente la sensazione che raccogliere idee e diffonderle con un libro abbia veramente un valore

mercoledì 25 novembre 2009

Angela su La sfida degli outsider

Qui trovate solo il mio intervento alla fine della presentazione della Sfida degli Outsider

Presentazione La Sfda degli Outsider

Ed ecco il video con tutta la presentazione, registrata e postata sul sito di Radio Radicale.

Presentazione degli Outsider (Gli spietati)


Ecco l'articolo che ha scritto Umberto Mancini sul Messaggero, dopo la presentazione di martedì sera del libro:



"Lei lo definisce un «libro spietato». E in effetti «La sfida degli outsider, donne e giovani insieme per cambiare l’Italia» (Marsilio, 174 pagine) di Angela Padrone, giornalista e scrittrice, è una analisi cruda e impietosa di come proprio le giovani generazioni e le donne siano state lasciate indietro, emarginate, dimenticate da un mondo del lavoro dove il predominio maschile, almeno in Italia, resta un totem assoluto. Un muro insuperabile. Del resto il nostro Paese è considerato insieme a Portogallo, Spagna e Grecia una delle «pecore nere» in Europa: un «pigs». L’acronimo identifica le nazioni che hanno meno investito nel proprio capitale umano e che hanno un basso tasso di crescita del Pil. Che, in una parola, non valorizzano l’apporto che donne e giovani possano dare. Privilegiando una organizzazione sociale che si fonda su vecchi schemi e poca flessibilità. Dove le rendite di posizione, le corporazioni, l’impermeabilità del sistema sono inscalfibili. Ma il libro della Padrone non è solo una analisi dettagliata, densa di cifre ed esempi concreti. E di citazioni illuminanti, ironiche e profonde, dai blog a Baudelaire. E’ sopratutto - come hanno sottolineato il ministro Renato Brunetta, Emma Bonino e Michel Martone che hanno presentato il volume - un punto da cui partire. Per superare l’immobilismo e dare una nuova chance ad un Paese ripiegato su se stesso. Come? Approfittando della crisi per fare la vere riforme. «Come - dice Brunetta - quella realizzata con l’aumento dell’età pensionabile per le donne, che consente di liberare risorse per asili nido e le persone non autosufficienti». O quella - avviata faticosamente nella pubblica amministrazione - di dare al merito un ruolo centrale. Dai medici ai magistrati, ai dirigenti, a prescindere dal sesso. Una rivoluzione - si legge ancora nel libro della Padrone - che si deve coniugare con la voglia di mettersi in gioco e rischiare, scommettendo su se stessi, contro tutti e tutto. «Gli outsider - chiosa il ministro - devono in fondo essere un po’ irresponsabili». Contribuendo così a cambiare - aggiunge la Bonino - una Italia ingrippata. Spazzando via ogni tipo di discriminazione, la retorica del precariato, il lamento sterile, gli insider ipergarantiti. Quel patto sociale perverso che non premia chi vale di più, chi più studia e si impegna, ma che guarda solo al passato. La Padrone offre gli strumenti culturali per avviare un percorso innovativo. Invitando giovani e donne a prendere in mano il proprio destino. Da outsider vincenti e coraggiosi."


(Pubblicato sul Messaggero del 25/11/2009)

lunedì 23 novembre 2009

Oggi 24 novembre la presentazione a Roma














Vi aspetto oggi alla presentazione della Sfida degli Outsider, Marsilio editore, a Roma.
L'appuntamento è vicino a piazza di Spagna, in via Alibert 5/A, nella sede di Roma Eventi alle ore 18,30.
Ci saranno il ministro Renato Brunetta, la vicepresidente del Senato (nonché autrice della prefazione al libro) Emma Bonino, e il professor Michel Martone (autore della Presntazione sugli Outsider all'inizio del volume). Modera il direttore del Messaggero Roberto Napoletano. E ci sarà la vostra Autrice, cioè io.
Vi aspetto.

venerdì 20 novembre 2009

Emma Bonino e le donne: basta mugugni, passate all'azione



MARTEDI' 24 NOVEMBRE ORE 18,30 EMMA BONINO PRESENTA LA SFIDA DEGLI OUTSIDER IN VIA ALIBERT 5/A (PIAZZA DI SPAGNA), CON IL MINISTRO RENATO BRUNETTA, CON MICHEL MARTONE E ROBERTO NAPOLETANO DIRETTORE DEL MESSAGGERO. CI SARO' ANCHE IO IN QUANTO AUTRICE DEL LIBRO.

mercoledì 18 novembre 2009

Intervista su Blogosfere/Seconda parte



Ecco la seconda parte dell'intervista-Faccia a faccia con Antonio Incorvaia:



Antonio Incorvaia (I): Il messaggio che deduco dalla enunciazione dei (disarmanti) dati statistici del tuo libro è: l'Italia è un Paese che persevera nell'errore. Le attuali condizioni economiche, politiche e sociali parlano chiaro, eppure non c'è nessuno che dimostri di volere concedere agli Outsider una chance, anche solo per una pari opportunità di fallire. Secondo te qual è la causa - o l'obiettivo - di questo suicidio consapevole?
Angela Padrone (P): Credo che questa sia una grave forma di miopia. Si privilegia sempre il consenso più facile e immediato, rispetto all'investimento sul futuro. E' colpa anche degli Outsider, che non si riconoscono come soggetti politici. I giovani si interessano poco di politica. Le donne si vergognano di definirsi come soggetto, e preferiscono accettare quello che trovano. Si accontentano degli avanzi [.....continuate a leggere]

martedì 17 novembre 2009

Intervista su Blogosfere




Su Blogosfere una intervista, che mi ha fatto Antonio Incorvaia dopo aver letto il libro La sfida degli Outsider, addirittura in due parti!





Oggi la prima parte. del faccia a faccia, che comincia qui:



Antonio Incorvaia (I): Angela, inizio subito con una provocazione: un paio di anni fa, quando il trend mediatico era la denuncia del precariato nei suoi aspetti più drammatici, hai pubblicato Precari E Contenti rovesciando la prospettiva dalla mancanza di stabilità al potenziale di opportunità. ...Angela Padrone (P): In Precari e Contenti dicevo che il mercato del lavoro in Italia è, ed era, il peggiore d'Europa. Era una citazione da Marco Biagi. Tuttavia sono convinta che gli elementi di flessibilità introdotti negli anni abbiano dato nuove possibilità di lavoro a persone che avrebbero ...

lunedì 16 novembre 2009

La "Sfida degli outsider" a Ultime da Babele



Si parla della Sfida degli outsider su Radio Uno , nel programma Ultime da Babele, di Giorgio Dell'Arti, alle 8,30 di martedì 17 novembre. Lancerò una proposta, tra le dieci contenute nel libro.

venerdì 13 novembre 2009

La recensione di Incorvaia








Antonio Incorvaia, autore, insieme ad Alessandro Rimassa, di Generazione Mille Euro e di Jobbing, ha scritto una lusinghiera ma soprattutto intelligente recensione di La sfida degli Outsider. Vi consiglio la lettura, anche perché mi ha ricordato tanto " Quo usque tandem abutere...? "eccetera eccetera qui: "Quanto dovremo aspettare affinché (anche) in Italia i Giovani e le Donne non siano più trattati da "outsider"?..."

mercoledì 11 novembre 2009

La Prefazione di Emma Bonino a La sfida degli Outsider

Esce oggi La sfida degli Outsider - Donne e giovani insieme per cambiare l'Italia", di Angela Padrone, Marsilio, 176 pagine, 12 euro.
Questi sono estratti dalla prefazione di Emma Bonino:


"Da tempo sono convinta che l’Italia, parafrasando
il titolo di un film, «non sia un paese per donne».
Oggi il libro di Angela Padrone ci avverte che non
è neanche «un paese per giovani».
Donne e giovani italiani creano un esercito numeroso,
ma senza armi e con poca voce. Sono gli esclusi
da un sistema che negli anni ha accumulato errori,
privilegiando le pensioni alla creazione di ammortizzatori
moderni ed equi, la cooptazione alla meritocrazia,
l’attaccamento a stereotipi femminili obsoleti
alla creazione di servizi sociali utili e funzionali.
È il ritratto di un paese in stallo che vede da un lato
una parte privilegiata e molto protetta, composta in
gran parte da uomini anziani e «potenti», e dall’altro
una parte esclusa sia dalle opportunità offerte dal
mondo del lavoro, sia da una reale protezione sociale,
composta da giovani e donne.
Altri paesi ci hanno dimostrato che si può migliorare
se si fa qualcosa. Un esempio: la Spagna nel
1994 aveva solo il 30,7% di donne occupate, contro
il 37,4% dell’Italia, ma nel 2007 la Spagna ha registrato
il 54,7% di occupazione femminile, con un aumento
dell’80%, rispetto a un modestissimo 46,6%
dell’Italia

(...)
Non mi pare che si sia attivata alcuna iniziativa
per scalfire questo contesto culturale, né sul piano
istituzionale né da parte dei media, che continuano
a proporre stereotipi femminili francamente impresentabili.
(...)

Questo quadro così spietato, ma dipinto con freschezza
e umorismo da Angela Padrone, è salutare,
perché mette tutti gli attori davanti a scelte che sono
oramai improrogabili. L’autrice non è compiacente
né con i potenti né con gli esclusi e, senza cedere
alla lamentela priva di proposte, richiama tutti alla
discussione e all’azione politica (...)
"

lunedì 9 novembre 2009

L'ITALIA NON PUO' RINUNCIARE AGLI OUTSIDER


ITALY CANNOT GO WITHOUT ITS OUTSIDERS

(testo italiano originale a seguire)

Italy is different. It is different from the country so many dream about, the country which casts its spell on the foreigners on holiday, the country we would like to live in. Italy is hard on those who "don't count", it is not a country used to worship the self made man (or woman). Rather the opposite, those who come from the lower circles, those who see things differently are looked upon with suspicion: who do they work for, what do they really mean?
But this is actually the most interesting part of the country: Italy's Outsiders. It's the 60% of the population, mostly women and young. Here in Italy, if you are not a male, and aged, you are not taken into account, not really. Maybe you are good for fun, for a distraction, but not for a real Change (if you know what I mean).
Power, and all that it implies (politics, money, education, culture, social rank, balance in the family) is all in the hands of a little group of a few thousands males, aged males, 60 years old on average. They go on choosing, as consultants, as possible successors, people who look exactly like them. Their conform. Those who are different can be smart, but if they are outsiders, hardly will they ever be listened.
What could be said is: too bad for them! We live in democracies, why don't these people step forward? They have the strenght, the possibility to do so. So, it is also their fault, if nobody listens! They just complain!
I don't agree: it is too bad for Italy! Italy goes along without more than half of its own resources, and the people who are younger, stronger, new energies, new ideas! Italy needs its outsider to make things work better, to make the economy, politics, the labour market, work. This is what "LA SFIDA DEGLI OUTSIDER", "outsiders' challenge" is about.
I have decided to write about them, maybe because I still feel as an outsider myself, even though for decades I thought it was not so. We, "girls", we often delude ourselves saying that opportunities are equal for everybody. We thought we fought on an equal footing. Then, in the end, we realize it is not so. At the beginning we are not considered because we are too young and unexperienced, afterwards because we are women.
La sfida degli outsider, the outsiders' challenge, is a political book, a book that calls for an alliance, for a battle. If we win, Italy will thank us.



L'ITALIA NON PUO' RINUNCIARE AGLI OUTSIDER

L’Italia è diversa. E’ diversa da quel paese che in tanti sognano, quello che credono di vedere gli stranieri che vengono in vacanza, quello nel quale noi vorremmo vivere. L’Italia è dura con chi non fa parte dei gruppi che contano, e non è un paese abituato ad ammirare chi viene fuori dal nulla. Anzi, chi propone una visione diversa dal previsto viene guardato sempre con sospetto: chissà che cosa ”veramente” vuole dire....
Eppure questa Italia di Outsider è l’Italia più interessante. E’ composta da oltre il 60% della popolazione e per lo più da donne e ragazzi, che contano poco o niente, contrariamente a quello che succede nel resto del mondo occidentale. Lo sguardo diverso, qui da noi, non è gradito. Se non si è maschi, e "di peso", non si viene presi sul serio. La novità, il fuori dal coro, può suscitare tutt’al più un effimero divertimento. Ma non un cambiamento.
Il potere, con tutto ciò che ne consegue (e cioè la politica, i soldi, la cultura, l’importanza sociale e perfino in famiglia) appartiene per lo più a un gruppo di poche migliaia di maschi intorno ai sessant’anni. E loro continuano a scegliere, come collaboratori e come possibili successori, i loro simili. Questo è un problema oviamente per tutti quelli che non riescono a sfondare questo muro. Possono essere, bravi, bravissimi, volenterosi, pieni di energia, ma se sono outsider, difficilmente riusciranno perfino a farsi ascoltare.
Ma si potrebbe dire che la colpa è di queste persone, che questi outsider che cosa fanno per farsi avanti? SI lamentano e basta? PEGGIO PER LORO! No, purtroppo è peggio per l'Italia, che rinuncia a oltre la metà delle proprie risorse, che non utilizza idee nuove, energie nuove, anzi le lascia marcire, ripercorrendo sempre le stesse strade. Gli outsider servono al Paese per far funzionare l'economi,a i servizi, la politica. Ecco di che cosa si occupa La sfida degli Outsider.
Di loro ho deciso di occuparmi. Forse perché anche io mi sento un’outsider. Per decenni ho creduto che non fosse così. Noi ”ragazze” spesso ci illudiamo che ci siano per tutti le stesse opportunità. Che anche noi combatteremo ad armi pari con tutti gli altri. Poi, a poco a poco, ci accorgiamo che non è così. E che se prima non trovavamo abbastanza credito perché troppo giovani, dopo succede perché donne.
Ecco perché ho scritto LA SFIDA DEGLI OUTSIDER, un libro ”politico”, che vorrebbe incitare anche tanti di noi a non accettare passivamente di essere tali, a riconoscere i pochi (ma ci sono, qua e là), i pochi segnali di cambiamento e premiarli. Alleiamoci, combattiamo, rompiamo le scatole. E’ l’unico modo. E poi l’Italia ci ringrazierà.

venerdì 6 novembre 2009

OUTSIDER. La nuova avventura


Aprii questo blog due anni e mezzo fa, mentre lavoravo al mio primo libro, "Precari e contenti". Volevo raccontare il mondo del lavoro dei giovani dal punto di vista di quelli che, pure tra tante difficoltà, riescono a trovare la loro strada, riescono a fare ciò che amano, grazie alla passione, alla testardaggine.

Il mercato del lavoro italiano, dicevo, non funziona. Non funzionava neanche quando ero una giovane laureata io, negli anni Ottanta. Già allora i giovani si dibattevano e si disperavano perché non trovavano opportunità.
Però, con "Precari e Contenti" volevo indicare una strada di riscatto personale e uno spiraglio per tutti: in fondo in questo mercato, sembrerà strano, ci sono molte opportunità che bisogna imparare a cogliere, ci sono novità positive che bisogna sviluppare , e on soffocarle.

Da quel libro sono nate tante esperienze, tanti incontri, tante riflessioni. Tutte girano intorno al tema delle opportunità, alle storie di giovani di quest'Italia che non sempre sembra quel Paese moderno e nel quale sarebbe bello vivere come a tutti noi piacerebbe. La mia attenzione nei confronti del mondo del lavoro, e delle relazioni tra mondo del lavoro, politica e vita di tutti i giorni, si è approfondita.

E sempre di più mi sono resa conto che i giovani fanno parte di un gruppo di outsider, che potrebbe dare molto di più, se avesse e sfruttasse le occasioni.. E sempre più mi sono dovuta arrendere alla constatazione che le donne, più della metà della nostra società, non hanno pari opportunità, non hanno pari dignità, non hanno peso in questa società. Soprattutto, lo voglio sottolineare, questi due gruppi, che sono maggioranza, sono delle enormi risorse, economiche e politiche. Potrebbero fare il bene del nostro Paese se fossero ben sfruttati, e potrebbero crescere umanamente ed economicamente, se fossero stimolati. In questo sono nella stessa condizione dei giovani, anche se le donne sono tante: se si rendessero conto del proprio potenziale potrebbero rovesciare l'Italia. Invece non lo fanno.



Ecco, questo è l'inizio del viaggio, La Sfida degli Outsider , in libreria dall'11 novembre 2009.




ENGLISH VERSION
OUTSIDERS. THE NEW ADVENTURE

I started this blog two years and a half ago, while working at my first book, ”Precari e contenti”. I intended to tell stories about young people and the labour market, from the point of view of those who, amidst lots of difficulties, find their way, thank to their passion, and their strong will. Those who succeed, at las, in finding the job they love. The italian labour market has always been a difficult one: it didn’t work well when I was a young graduate, in the Eighties. At the time, young people already struggled to find job opportunities, perhaps more than now. Writing ”Precari e contenti” I wanted to show a way of personal ”rescue” and a path for everyone: even in a difficult market as the italian one, there are opportunities. We have to make them more, not crush them.

From that book on, many things sprang out: reflections, experiences, new people I have met.

This new voyage is all about the opportunities that are, or are not, to be found at this time in Italy, a country which is not always the beautiful country we all would like it to be. In th last two years I have deepened my knowledge of the labour market and I have learnt more and more about the relations between the labour market, politics, and everyday life.

More and more I have come to realize that the young are outsiders in the italian society. And more and more I have come to accept the hard truth about women in our society: they have not equal opportunities, they have not equal dignity, they don’t count. The condition of women and young is similar. The only difference is that women are a lot: if they realized how powerful they could be, they could overturn Italian power. But they don’t.


Together, these two groups are a formidable resource, but they are not recognized as such and there are two few active policies for them.

So, this is the beginning of this new journey, with ”La sfida degli Outsider”, ”Outsider’s Challenge”, on sale in bookshops and on the internet from November 11th 2009.

martedì 27 ottobre 2009

Donne e economia


"LE DONNE possono salvare l’economia mondiale. Anzi, potrebbero, se gli uomini le lasciassero fare. Secondo uno studio dal titolo ”Le donne vogliono di più” del Boston Consulting Group, citato da Kevin Voigt di Cnn.com, le donne sono la potenza economica che cresce più velocemente nel mondo, nonostante la crisi. Altro che Cina o India. Entro la fine del 2014, stima la Banca Mondiale, il loro reddito personale dovrebbe raggiungere i 18 mila miliardi di dollari, con un incremento di 5 mila miliardi rispetto al reddito attuale. Ma la loro capacità di spesa è ancora superiore, perché sono proprio le donne che spesso decidono cosa e quanto comprare. In Cina le donne sotto i 35 anni sembra che abbiano fatto crescere la spesa, nonostante la crisi, del 15 per cento nei primi nove mesi dell’anno. E entro la fine del 2009, il numero di donne che lavora negli Stati Uniti avrà superato il numero di uomini. Eppure, quelle stesse donne che raggiungono questi risultati, sono ben lontane dall’aver conquistato il potere che ne dovrebbe discendere, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Negli Stati Uniti non solo le donne che guidano una grande azienda sono ancora una minoranza (38 su 400 ”top company”), ma soprattutto ancora guadagnano meno degli uomini: 77 centesimi per ogni dollaro di un uomo. In Italia le donne che lavorano sono appena il 46% del totale, e meno del 5% di chi siede nel Cda di una grande azienda è una donna.Il paradosso a dire il vero non è nuovo. Sono già parecchi anni che gli istituti di ricerca mondiale calcolano di quanto il Pil di un determinato paese o di una regione del mondo potrebbe crescere, se le donne entrassero nel mercato del lavoro e accedessero al management nella stessa misura degli uomini. In Italia si stima che la parità economica delle donne sul mercato del lavoro possa valere almeno 7 punti percentuali di Pil. E esistono studi che rilevano la crescente redditività delle aziende guidate da donne. In Norvegia la legge che impone almeno il 40% di presenze femminili nei Cda delle società quotate è stata osteggiata furiosamente dagli uomini, ma poi si è dimostrata benefica.La cosa più sconcertante, però, è che neanche la crisi mondiale abbia convinto chi ancora detiene il potere economico (e politico), cioè il tipico maschio over 50 (in Italia anche over 60) a valorizzare questa risorsa. Anzi, come rileva la ricerca BCG, nel momento di crisi gli uomini tendono a mettere le donne da parte con la scusa che ”ci sono cose più importanti da fare”. Così, le istituzioni finanziarie e le aziende non si sintonizzano proprio con il loro potenziale miglior cliente, le donne. Un esempio di investimento sulle donne in realtà esiste, ed è nel microcredito. Chi conosce la storia del nobel Muhammad Yunus, sa che proprio le donne nei paesi più poveri sono le persone più affidabili e che lavorano di più per migliorare le condizioni della famiglia e dei bambini. Ed è investendo su di loro che Yunus ha fatto fiorire la sua banca, la Grameen. Tra gli immigrati, poi, sono le donne che mandano le rimesse più consistenti nei paesi di origine. Eppure, perfino nei nostri civilissimi paesi questa lezione ancora non è stata imparata. Le aziende hanno un atteggiamento spesso paternalistico verso le clienti, e le banche in particolare non le prendono molto in considerazione: ”Gli uomini in affari hanno dei mentori, le donne no - dice una rappresentante della Global Banking Alliance for Women, citata da Cnn.com, Teri Cavanaugh - Le donne vogliono avere un rapporto con la loro banca, vogliono informazioni e consigli, ma le banche non sono strutturate in modo adeguato”.E così in tutto il mondo continuano a perdere la loro occasione. "
Questo ho scritto oggi sul Messaggero, riprendendo un articolo su CCC.com. Insieme a questo vi invito a leggere l'articolo scritto da Leonardo Maisano sul Sole 24Ore "Nasce il fondo rosa e punta solo sulle donne", da Londra Pper ora senza link). L'economia e la finanza non possono più fare a meno di una fetta così dinamica della società, ma anche le donne si devono muovere...

lunedì 19 ottobre 2009

Chi non crede nel posto fisso?


Ma che razza di frase è ”Credo nel posto fisso” ? Eppure l’ha pronunciata Giulio Tremonti, ministro intelligente, con l’aria di chi fa una rivelazione epocale.
Ha piantato la sua bandiera su un terreno di battaglia e ora vuole raccogliere i frutti. Ma sono frutti avvelenati, come quelli cercati da chi in passato su questo, posto fisso o flessibilità, ha condotto la sua sporca guerra.

Chi è che messo di fronte alla scelta posto sicuro- posto insicuro, sceglierebbe il secondo? Nessuno in prima persona, se non per paradosso, ovvio.

Ma il punto non è questo. In ogni paese civile è normale, lo è stato per decenni, avere un lavoro. Il lavoro della vita. Più o meno. Ma era anche normale che in alcune circostanze il lavoro non fosse il lavoro della vita, bensì semplicemente un lavoro per sbarcare il lunario. Ma era anche normale voler cambiare, o poter cambiare, migliorare, spostarsi. Tutto ciò è normale.

Mi ricordo che negli anni Ottanta, parlando con un ragazzo americano in Inghilterra, cercavo di spiegargli che in Italia gli studenti universitari non erano soliti fare dei ”lavoretti”, perchè da noi il lavoro era per la vita o non era. Ecco perché molti di noi magari andavano all’estero a lavorare d’estate.

Le cose poi sono cambiate. Negli anni Novanta il lavoro a tempo determinato e poi le collaborazioni sono state regolamentate e sono entrate a far parte ufficialmente del mondo del lavoro (che prima invece contemplava allegramente il lavoro nero come unica alternativa al posto fisso). Si è fornito ai lavoratori e alle imprese un’opportunità in più. Infatti nei successivi dieci anni il numero degli occupati in Italia è aumentato. Ciò nonostante siamo ancora uno dei paesi industrializzati nel quale lavora il numero più basso di persone. Ma questo discorso ci porta lontano.

Cosa è meglio in tempo di crisi? Il posto fisso o il posto flessibile? Che domande. Ma se uno ha perso il lavoro - chiedo- è meglio un posto insicuro o è meglio la disoccupazione?

Ecco, come si vede la realtà è un po’ più complicata di come adesso Tremonti ce la vuole presentare.

mercoledì 30 settembre 2009

Qual è la destra, qual è la sinistra?




La Germania tradisce il suo tradizionale partito socialdemocratico e sceglie con decisione quello che noi chiameremmo centro-destra. Le ragioni sono tante e si può parlare del ruolo della crisi, del declino del wlfare state e di altro. Ma è interessante che la Germania decida di farsi governare da due personaggi che in Italia sarebbero totalmente estranei alla tradizione del centro destra, perlomeno come ce lo rappresentiamo noi: una donna e un gay dichiarato. Angela Merkel e Guido Westerwelle hanno vinto le elezioni con un programma liberale-di mercato, ma rappresentano una nuova politica, che supera la tradizionale divisione tra destra-uguale-conservatori, e sinistra-uguale-progressisti. Credo che questo sia il segnale che ci manda la politica del primo decennio del XXI secolo: le divisioni tradizionali sono superate, conservatori e progressisti si trovano ormai in entrambi gli schieramenti, e sempre di più gli elettori si riconoscono in personaggi nuovi e parzialmente anomali (Obama, Sarkozy, in Gran Bretagna il prossimo potrebbe essere Cameron), quelli che si potrebbero definire outsider, anche se non fanno parte, anzi forse proprio perché non fanno parte, di quello che un tempo era l’area progressista. Insomma, la politica si è complicata rispetto ai decenni scorsi. E anche la sinistra nostrana dovrebbe cominciare a rendersene conto.

venerdì 10 luglio 2009

Non è un paese per giovani



Qualcuno è già stufo. Per un po' ha sopportato, ma ora già non ne può più di sentir parlare del dovere di aprire gli spazi ai giovani, di dare più peso politico ai giovani. E' strano, perché questi "giovani" non sono da nessuna parte, se non in qualche discorso di facciata, per l'appunto. "I giovani italiani sono tra quelli con minor peso politico nel mondo occidentale", scrivono Elisabetta Ambrosi e Alessandro Rosina in "Non è un paese per giovani", Marsilio editore. Una ricerca sulla condizione dell'Italia, un paese che vive sulle rendite e pensa poco al futuro, nel quale il debito pubblico blocca qualunque slancio progettuale, nel quale scarseggiano le utopie, ma anche più prosaicamente, manca l'idea stessa di "bene pubblico, di bene comune", e nel quale come conseguenza, anche la condizione dei giovani non è buona.
E' importante, secondo me, sottolineare che le prospettive pessime dei ventenni e dei trentenni dipendono dal contesto generale. Altrimenti sembra che si facciano appunto i soliti discorsi da "largo ai giovani", che poi giustamente suscitano la reazione nauseata dei cinquanta-sessantenni che chiedono quale senso abbia disprezzare (a parole, ben inteso) la loro esperienza e le loro competenze. E' importante ciò che scrivono Ambrosi e Rosina:"Meno si investe sui giovani e li si valorizza e meno essi potranno giovare al proprio paese, contribuire fattivamente al suo sviluppo (...)dal successo individuale nel processo del diventare adulti dipende anche il futuro e il successo della comunità civile nel suo complesso" (p. 23). Ecco perché chi prende sul serio questo discorso, in realtà, sta facendo un discorso sull'investimento nel futuro, nella crescita del Paese. Altro che buonismo: i giovani vanno sfruttati. Vanno "utilizzati" per ciò che sanno fare: dare slancio al cambiamento. Non a caso, sia detto per inciso, il "change" vincente di Obama.
I dati parlano chiaro: siamo l'unico grande paese nel quale è occupato solo un giovane (tra i 15 e i 25 anni) su quattro; siamo l'unico grande paese che ha un'elite formata al 45% da ultrassettantenni (gli altri paesi sono al 30%). Non parliamo di stipendi bassissimi all'accesso al lavoro, di professori universitari under 35 (qualcuno una volta li ha definiti dei panda). E non parliamo di natalità, causa ed effetto dello scarso peso politico dei giovani in Italia. Oggi i giovani, anagraficamente, sono una rarità.
Guarda caso, la situazione in cui si trovano i giovani in Italia è condivisa con un'altra larghissima fetta della popolazione: le donne. Ambrosi e Rosina lo notano, anche se in un solo capitoletto: anche le donne sono state escluse dal potere. "Le redini delle istituzioni, delle aziende, dei giornali [sono] stranamente finite tutte in mano agli uomini" (p. 85). Non che qualcuno le abbia volutamente escluse, non che alcuna legge impedisca alle donne di occupare questi posti. No. "semplicemente e silenziosamente, per quei posti furono scelti sempre gli uomini", scrivono gli Autori. E, anche in questo caso come in quello dei "giovani", non manca chi le invoca, chi le utilizza come icone, immagini "interessanti", chi addirittura, aggiungo io, quando si fa una nomina importante proclama che "la prossima volta" per questo posto vedrei bene una donna". Una bella presa in giro. La verità è che abbiamo una struttura di potere "tenacemente antiquata", che esclude i giovani, e le donne, riproducendosi sempre per cooptazione dell'uguale.
Le colpe? Al primo posto le "pratiche selvaggiamente gerontocratiche, familiste e corporative" dominanti, messe in pratica da chi ha il potere e , magari, si riempie la bocca di peana al "merito", che però non mette in pratica.
Va detto però che qualche "colpa" ce l'hanno anche loro, i giovani, con i quali invece Ambrosi e Rosina sono forse anche troppo indulgenti. Sottolineano l'assensa di dissenso e di conflitto che li affligge. Sottolineano il loro essere spesso viziati da famiglie iperprotettive, che li hanno cresciuti nelle comodità. Notano come i giovani italiani, pur lavorando meno dei loro coetanei stranieri, ben difficilmente rinuncino (al contrario di quelli) alla macchina, al cibo buono, a vestiti inutilmente costosi e firmati", eccetera. Ambrosi e Rosina aggiungono anche che tra i giovani italiani non solo "le utopie scarseggiano", ma è subentrata "una privatizzazione dei fini, una riduzione della speranza al piccolo ambito quotidiano (...) E' come se i giovani di oggi, invece di fare la rivoluzione pubblica, cercassero di mettere in atto una micro rivoluzione permanente e privata" fatta di realizzazione di sé, autenticità personale e così via.
Ma gli Autori giustificano tutto ciò con l'estrema precarizzazione del lavoro che instillerebbe incertezza e incapacità di reagire " per paura" che qualcosa possa essere loro "tolto". E qui la storia si incarica di dimostrare che non può essere così, che i giovani hanno sempre cercato di far valere i propri diritti, anche in condizioni estremamente sfavorevoli. Esempi a noi contemporanei di altri paesi (vedasi Iran) stanno lì a dimostrarlo.
La conclusione che se ne trae è che viviamo in un paese antiquato e bloccato. E che certi blocchi e certe "arretratezze" culturali colpiscono gli stessi giovani e le stesse donne, i quali non si rendono neanche del tutto conto delle ingiustizie, delle esclusioni che subiscono.
"Non è un paese per giovani" non lascia, alla fine, grandi speranze. Però segnala brevemente quattro "muri da abbattere" per cominciare a smuovere le acque dell'Italia bloccata. I quattro "muri" sono l'enorme debito pubblico, l'iniqua ripartizione delle spesa per la protezione sociale, i vincoli anagrafici di accesso alle cariche pubbliche, i meccanismi di rinovo della classe dirigente. Da qui, per quanto arduo, si deve partire.

martedì 9 giugno 2009

Giovani leoni e leonesse




E così Debora Serracchiani, recente scoperta del Pd, definita spesso ”ragazza” nonostante i suoi quasi 40 anni, ha avuto una valanga di voti ed è stata eletta al Parlamento Europeo. Speriamo che non se la scordino lì. Perchè lei è l’incarnazione del desiderio di novità, di schiettezza, di donne e giovani che hanno qualcosa da dire nel partito democratico. E non solo. Debora Serracchiani non sarà contenta, ma io la metto in compagnia di tutte le altre novità di queste elezioni, tra Europee e Amministrative.

Ci sono molte piccole e grandi sorprese. Da quelle ormai ovvie e che sono esplose in faccia a tutti, come l’affermazione dell’Italia dei Valori, alla valanga di preferenze (con la stessa Idv) di De Magistris, giovane magistrato finito nel mirino del centrodestra. Ma è un segnale importante anche l’elezione (e con tanti voti) delle ex candidate-veline, le belle scelte dal Cavaliere per le loro qualità mediatiche. Un nome per tutti: Barbara Matera, anche lei trionfalmente diretta a Strasburgo. Aggiungerei a questo gruppo, messo insieme con una prima veloce scrematura, anche Matteo Renzi a Firenze, trionfatore delle primarie del Pd, ma anche Roberta Angelilli, Pdl.

Io sento, in una parte dell’elettorato, (certo, non in tutto, non in quello che ha scritto i nomi di De Mita o di Mastella, ma in una parte importante) un’ansia di farsi rappresentare da persone che portino idee, stili di vita nuovi, magari più simili a chi li vota: donne, giovani, fuori dalle vecchie ideologie del Novecento, che possano portare in politica un bagaglio più vario, più concreto dei politici di professione vecchio stampo, e ancora a caccia di un nuovo sogno politico.

A tutti loro , a destra e a sinistra, e a noi, faccio tanti auguri.

giovedì 4 giugno 2009

innNOVAazione a Padova, solo donne in politica



"Mi dispiace, questi sono i tempi tecnici". Quante volte davanti a uno sportello ci siamo sentiti opporre questa giustificazione? Quante volte abbiamo sbattuto contro questo muro, contro cui nulla vale, fretta, giustificazioni, drammi familiari? Ecco, una delle cose che mi ha colpito, nel programma di una lista elettorale anomala, tra le tante che corrono alle elezioni amministrative del 7 giugno, è che nel programmma di "inNOVAazione", c'è l'eliminazione del concetto di "tempo tecnico". Viene cioè considerato inaccettabile che il cittadino venga trattatto ancora come il povero Renzo di fronte al dotto Azzeccagarbugli e al suo "latinorum". "Il Comune, si legge nel programma di inNOVAazione, "deve adottare strumenti di semplificazione e di economia di accesso ai servizi pubblici (...) Il Comune deve anche assistere il cittadino nel contatto con altre istituzioni o aziende di pubblico servizio difficili da raggiungere". Ma questo è soltanto uno dei punti che caratterizzano questa lista.
Quello che invece chiunque avrebbe messo al primo posto è un altro aspetto: si tratta di una lista di sole donne. Quaranta signore che nella loro vita svolgono i lavori e le professioni più varie, e che hanno deciso di mettere in comune la propria esperienza per dare un contributo forte alla vita della propria citttà, Padova. E credo che la concretezza del programma di lista sia proprio la conseguenza, non casuale, della composizione tutta femminile. Ecco perché ho dichiarato il suo carattere "rosa" solo dopo aver parlato di uno dei punti del programma.

Sono convinta da tempo, e molte ricerche, soprattutto a livello internazionale lo confermano, che le donne, quando non sono in minoranza, possono portare una visione particolarmente innovativa, concreta, diretta ed efficace nella gestione delle aziende e nella politica. Questa lista è un esperimento in questo senso.
Padova è una cità complessa: tanto per far capire a chi vive ad altre latitudini, è la città del muro di via Anelli, un muro che un'amministrazione di centrosinistra ha elevato per fare fronte alla difficile convivenza tra cittadini di culture e provenienze diverse. "La complessità che caratterizza Padova -dice Susanna Biadene (nella foto sotto), una delle candidate della lista- è una qualità e solo affrontandola con profonde motivazioni culturali e adeguati mezzi organizzativi si possono sviluppare grandi risorse e un'immagine interiore e aperta di città-casa di cui essere orgogliosi".
Città-casa. Un'immagine che chiunque si proponga di amministrare un terriotoio forse dovrebbe tenere a mente. A cosa teniamo più che alla nostra casa? In un Paese come l'Italia dove non ci si preoccupa troppo di ciò che accade fuori dal proprio uscio, un Paese nel quale il concetto di "interesse pubblico" è spesso poco sentito dai cittadini, almeno l'idea di casa è chiara. Significa amministrare tenendo in primo piano il benessere e la confortevolezza di ogni singolo cittadino e di tutti. Come in una casa. Non a caso è un concetto da donne, ma a tanti uomini farebbe bene copiarlo.
La lista "inNOVAazione" , pur avendo l'ambizione di portare novità, non vive nelle nuvole: appoggia il sindaco uscente, Zanonato, e ha come capolista una politica di esperienza, Luisa Boldrini. Io credo che, se il risultato nelle urne sarà positivo, l'attività di questa lista di donne andrà seguita con attenzione .

giovedì 23 aprile 2009

Letteronze e vecchi marpioni

Volete più giovani in politica? Volete più donne candidate? Berlusconi vi accontenta. E recluta un gruppo di giovani donne, prese per lo più dal mondo dello spettacolo, per lanciarle come volti nuovi in politica e anche come candidate alle elezioni europee. Scandalo della sinistra.
Che però, la sinistra, si pone gli stessi problemi: svecchiarsi, dimostrare che non è un partito conservatore, e ”aprire” ai giovani e alle donne. Per esempio, il Pd candida Debora Serracchiani, icona del rinnovamento del Pd. Il video di lei che attacca senza mediazioni i dirigenti del Pd spopola su YouTube. Franceschini preferisce lei ai candidati proposti dai giovani del Pd e fa arrabbiare il presidente dei giovani, Fausto Raciti. Non sarà che anche la Serracchiani è diventata un personaggio mediatico? Oibo’, Come se ne esce?
Detto che la sinistra è bene che la smetta di fare la snob con le scelte di Berlusconi, qui nessuno può tirare la prima pietra: i giovani e le donne, nel migliore dei casi, vengono ”usati”. Sì, usati, da destra e da sinistra, come bandierine, per il loro effetto mediatico. Poi però, quando si tratta di decidere, di gestire il potere vero, il discorso cambia e entrano in scena i soliti vecchi marpioni.
Il problema è che i giovani, gli spazi, se li dovrebbero conquistare da soli, e non farseli gentilmente concedere dai capi dei partiti. Le donne anche. Oppure pretendessero delle quote. Meglio le quote che l’umiliazione del posto graziosamente concesso.
Penso che alla fine faranno meglio le letterine e letteronze (le donne si sa, di solito studiano e cercano di dimostrare che non sono solo belle ma anche brave), rispetto a certi marpioni della vecchia politica. Non faccio nomi, ma ognuno ci può mettere i suoi preferiti. Storace ha detto parole memorabili: ”Vuol dire che Berlusconi ha preferito facce nuove a Mastella e Pomicino”.

lunedì 6 aprile 2009

Solidarietà e razionalità

Come è bello e facile dare la solidarietà alle vittime del terremoto! Per chi però si pone sul serio il problema di che cosa bisognerebbe o si sarebbe dovuto fare, suggerisco la lettura di questo perfetto pezzo di Marco Cattaneo, direttore responsabile delle Scienze ,"Prevedere i terremoti o adeguare gli edifici?".
La prossima volta che ci sarà un brutto terremoto, per esempio in Calabria o in Campania, chiediamoci come avremo risposto a queste domande,

martedì 31 marzo 2009

Pensionata sarà lei


Voglio, per una volta, prendermi un po' di riposo e pubblicare l'articolo di un collega, maschio, su un tema che ritengo molto importante e interessante: l'età pensionabile delle donne. Ecco il pezzo di Pietro Piovani, pubblicato sul Messaggero di domenica 29 marzo, sul libro curato da Emma Bonino, Pensionata sarà lei, Rubbettino editore.


Un giorno all’aeroporto di Fiumicino la vicepresidente del Senato Emma Bonino fu avvicinata da una signora, che le disse: «Sei sempre stata dalla parte delle donne. Ma adesso proprio non ti capisco: io non vedo l’ora di andare in pensione!». La signora contestava la presa di posizione della Bonino sull’età pensionabile femminile. In effetti non è facile convincere una donna che deve perdere un diritto (quello di andare in pensione cinque anni prima degli uomini) e che oltretutto deve essere contenta perché a perdere quel diritto ci guadagna.Proprio questo è l’intento del libro Pensionata sarà lei (edito da Rubbettino, 12 euro). Si tratta di una raccolta di brevi saggi curata dalla stessa esponente radicale. Gli interventi sono di segno molto diverso fra loro, e includono anche gli argomenti di chi è contrario a una riforma che allunghi l’età lavorativa delle donne; in particolare le sindacaliste e i sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil, che nella seconda sezione del volume si dichiarano favorevoli a un innalzamento della soglia per la pensione solo su base volontaria.L’argomento principale di chi invece reclama la cosiddetta “equiparazione” fra donne e uomini è quello esposto dall’economista Fiorella Kostoris Padoa Schioppa. La pensione a 60 anni e gli altri privilegi previdenziali concessi alle lavoratrici sono «tardive compensazioni rispetto a grandi discriminazioni sofferte dalle donne italiane nel mondo del lavoro: too little, too late», troppo poco e troppo tardi. Perciò, sostiene la Kostoris, le donne dovrebbero rifiutare questo privilegio, e chiedere piuttosto «che gli eventuali risparmi ottenuti dalla finanza pubblica siano devoluti al miglioramento delle opportunità e del trattamento delle donne nell’occupazione».Quale miglioramento? Le idee non mancano. C’è chi, come la sociologa Chiara Saraceno, suggerisce di usare i soldi per aiutare chi assiste i figli, i parenti anziani, gli invalidi: prevedendo congedi retribuiti, ma anche contributi figurativi, in modo da non essere penalizzate poi quando si andrà in pensione.Un’altra proposta forte è quella di ridurre il peso del fisco sul lavoro femminile. Qualcosa in questo senso è stata già fatta con la Finanziaria del governo Prodi, ma servirebbe molto di più. È vero che le regole dell’Unione europea vietano interventi fiscali di tipo sessista, ma con alcuni accorgimenti l’ostacolo potrebbe forse essere superato. Tanto più che - lo ricorda fra gli altri il giuslavorista Pietro Ichino è la stessa Ue a imporci di arrivare al 60% di occupazione femminile entro il 2010. Un traguardo che al momento appare fuori dalla nostra portata.La premessa necessaria per realizzare tutte queste belle idee è che dall’innalzamento dell’età pensionabile femminile derivino dei risparmi. Al momento però il dibattito investe soltanto le dipendenti pubbliche. Mentre, come sottolinea Fiorella Kostoris, i veri risparmi si possono ottenere soltanto se la riforma riguarderà le lavoratrici del settore privato

Pietro Piovani

lunedì 30 marzo 2009

Storie precarie alla radio


Vi segnalo il link all'intervista radiofonica fatta dai ragazzi di Zainet, nella trasmissione "Storie precarie" del 25 marzo.


lunedì 23 marzo 2009

La fine del lavoro e la scuola

E' ARRIVATA la fine del lavoro? Perlomeno del lavoro così come lo abbiamo conosciuto nel XX secolo? La domanda non è oziosa: la Fondazione Marco Biagi ha dedicato il suo convegno annuale all'occupazione giovanile e una delle sessioni è stata per l'appunto intitolata "The end of employment", che sta per "lavoro" ma anche, più correttamente "impiego". E, infatti, attraverso le relazioni di studiosi di diritto del lavoro provenienti da tutto il mondo, emerge proprio questo: viviamo in un momento in cui possiamo legittimamente chiederci se il lavoro stia cambiando pelle per sempre. La crisi globale accentua questa sensazione e mina ancora più velocemente le vecchie certezze.La lettura più ovvia di questa teoria è quella che deriva dall'avanzata dei lavori temporanei tra i più giovani. Questo avviene in tutto il mondo, ma la sensazione è più netta in Paesi che hanno sempre assegnato una particolare protezione al lavoro "per la vita". Il Giappone è un caso esemplare, ma l'Italia gli assomiglia moltissimo. Tra i giovani giapponesi, così come tra gli italiani, ci sono ormai percentuali inedite di lavoro temporaneo. E questo influisce sulla capacità di questi giovani di fare famiglia, e di fare progetti per il futuro. Al contrario dei giovani di altri Paesi (tradizionalmente più abituati all'incertezza) ai giovani giapponesi (così come ai giovani italiani) è stato insegnato che per sposarsi e fare dei figli bisogna aspettare di avere un lavoro definitivo. Oggi, molti di loro rischiano di aspettare troppo e di trovarsi fuori tempo massimo. Un altro problema delle generazioni più giovani in Occidente, ma anche in Oriente, sono le aspettative. Le loro aspettative sono molto più alte di quelle che furono dei loro genitori. E, purtroppo, nella società globale, l'incontro tra domanda e offerta del ”giusto” lavoro per la persona ”giusta”, si è fatto più difficile. Facile, più facile di quanto non fosse nel xx secolo, è trovare "un" lavoro, cioè una qualsiasi opportunità di lavoro. Ma "il" lavoro che piace, che si desidera, che ci soddisfa, che ci realizza, quello è un altro discorso. E molti giovani sembrano destinati a rimanere delusi.La risposta per molti è "educazione", scuola, skills, competenze. Giusto, ma la domanda è: quali competenze? Perché un'altra caratteristica di questo mercato è che è molto difficile prevedere le specializzazioni che saranno più ricercate e più spendibili sul mercato del lavoro in un certo lasso di tempo. Oggi constatiamo spesso che le aziende fanno spesso fatica a ricoprire certe posizioni lavorative. Ma da qui a 5 anni, chi è in grado di prevedere, e quindi di consigliare, a quali settori, a quali specializzazioni rivolgersi? Pochi. E chi lo fa rischia di essere smentito dalla realtà. Infine, con un brillante rovesciamento di impostazione, il professor Jacques Rojot di Parigi ha sorpreso tutti annunciando che, con il declino dell'industria tradizionale e l'avanzata dei servizi, sarà di fatto sempre più difficile distinguere i lavoratori per ciò che sanno fare. Ciò che sempre di più conta infatti è la capacità di comportarsi, di interagire, con il pubblico e sul lavoro. Behaviour, è stata la sua parola chiave. Sapersi ben comportare, essere appropriati, gentili, fa tutta la differenza in certi settori. Nessuno però lo insegna. La conclusione non è consolante: ogni Paese cerca di mettere in atto delle politiche che rendano più fluido il mercato del lavoro. Ma nessuno sa quale sia la politica giusta, nessuno può dire se ciò che funziona in un Paese possa essere trapiantato in un altro. Nel mondo convivono le situazioni estreme del lavoratore svedese, che per il 90% si aspetta di cambiare molte volte lavoro nel corso della vita, e quelle del lavoratore giapponese che, nella stessa percentuale, sogna invece la sicurezza totale, a vita, come ce l'avevano i suoi genitori. Tutti si affannano a parlare di formazione, di flessibilità, di flexicurity, eppure, come è stato ben sottolineato da una brillante docente americana, Susan Bisom-Rapp, i professori raramente si sentono responsabili del futuro dei loro studenti.Qui c'è una delle chiavi principali, il leit motiv di questa tre giorni di studio alla Fondazione Biagi, e uno dei punti fissi della ricerca di Marco Biagi e del suo allievo Michele Tiraboschi. Il momento più delicato, quello su cui più bisognerebbe concentrarsi per una politica del lavoro diretta ai giovani, è il momento della transizione scuola-lavoro. Le scuole, le università, quindi, devono essere responsabili. Così anche i professori. Un professore di statura internazionale, Roger Blanpain, belga, ha parlato di "ponti", di importanti misure ponte, che aiutino a superare le diverse fasi della vita lavorativa. E' in queste aree, in questi momenti di passaggio che le politiche pubbliche dovrebbero concentrarsi, soprattutto ora che c'è da costruire il ponte più importante, quello che ci permetterà, si spera, di arrivare indenni all'uscita della crisi.
(Pubblicato sul Messaggero del 23 marzo 2009)

lunedì 9 marzo 2009

Se il papà si lamenta del pupo

Finalmente qualcuno che ci ha provato, e che si lamenta. Non ne potevo più di quegli uomini che si vantano di aver fatto tutto quello che c'è da fare in casa quando sono nati i figli e di continuare sempre a dedicarsi a figli e attività casalinghe, dividendo a metà i compiti con la loro compagna. Oppure, più modestamente, dichiarano di "aiutare". Ma qui entriamo nel patetico.
No, Angelo Mellone, collaboratore del Messaggero e del Giornale, su quest'ultimo quotidiano fa il pianto greco, ma onesto, del padre moderno, costretto ad essere efficiente, flessibile e frizzante sul lavoro e, al tempo stesso, a fare il padre a tempo pieno."Sceglie cioè - parole sue - l'impossibile conciliazione tra paternità, famiglia e carriera". Impossibile in teoria ma, nei fatti, possibile per forza, a meno di non pensare a un'estinzione della specie (O alla solita moglie che decide di "dedicare" la sua vita ai figli, e al marito. Tranne poi accorgersi, giustamente, che non è in grado di capirne le esigenze, e tranne poi, più tardi, rinfacciare loro di aver sacrificato per loro la propria vita. Inutilmente).
Per non ispirarsi solo alla sua autobiografia, Mellone ci parla di libri, e in particolare cita il personaggio di un romanzo, "Fai la nanna, nannina" di Gianluca Berardi, Mondadori. Lo definisce "un personaggio vagamente wagneriano, guardato con commiserazione dai coetanei (...) il padre postcontemporaneo lotta quotidianamente per il trionfo della sua volontà". Soffre, ma non si arrende, e lavora come un disperato anche se reduce da nottate in bianco e ore e ore di gioco con i Lego.
E qui il sorriso già si allarga sul viso di qualunque mamma e/o donna , non solo postcontemporanea.
"Se non dormi non produci idee, se non produci idee non guadagni", è il punto fermo e il grido di dolore del nostro eroe. Ma và?! Attenzione, che qualcuno potrebbe perfino rinfacciargli, come spesso capita alle donne: ma no, che dici, se hai le idee e sei bravo, vedrai che ce la fai, nessuno ti discrimina. Già.
Secondo grido di dolore dell'aspirante padre perfetto: non basta mai, nessuno ti riconosce lo sforzo immane, in casa resta l'insoddisfazione. E qui credo che il sorriso sul viso delle donne si può tramutare in una bella risata liberatoria, visto che a loro questo è sempre capitato. ..."nonostante tutto quello che faccio". Ma la parte migliore non è la conclusione dell'ancora poco esperto Angelo Mellone: "Insomma se vuoi fare il padre post contemporaneo (...)che concilia tra paternità e lavoro creativo, professione & pannolini, preparati ad essere un misconosciuto in casa e un incompreso in trasferta". No, il punto non è questo.
Il veleno sta in una frasetta che l'ignaro pronuncia, una frase furba: "A lui, a noi (poveri maschi, ndr) non è concesso alcun congedo, non esitono i cinque mesi di licenza poppate". Ah! Qui c'è la ritorsione, il tentativo di dire alle donne che fanno, in fondo ciò che devono e che gli è riconosciuto dalla società con il congedo maternità. Ma le cose non stanno così. Intanto, il congedo di paternità lo possono prendere anche i padri. Se non lo fanno, è perché 1) non lo sanno, 2)non ci pensano, 3)si vergognano.
E poi vorrei rivelare al neo padre sofferente, che quei primi mesi sono proprio il meno. Anzi, proprio niente, rispetto a quello che lo aspetta, mano a mano che il figlio cresce. Dopo, anche dopo anni, viene il bello e non ci sono congedi che tengano.
Comunque lo dobbiamo tutte ringraziare: l'unico modo per fare in modo che qualcosa cambi è che tutti, ma proprio tutti, si accorgano di quanto costano quegli sforzi "wagneriani". E che tutti comincino a farli..

sabato 7 marzo 2009

Stupri, infamie e discriminazioni

Lo stupro è un’infamia, sempre, dice il presidente Napolitano, non importa la nazionalità. Grazie presidente. Però in fondo è una banalità. Ci mancherebbe altro che lo stupro non fosse un’infamia, sempre. Immaginate uno che dicesse l’omicidio è un’infamia, a prescindere dalla nazionalità. Ovvio. Magari uno lo può anche dire, all’interno di un discorso. Ma perché i mass media lo riprendono con enfasi? Un’enfasi molto maggiore di quella che viene tributata all’altra frase detta da Napolitano nella stessa circostanza, e ben sottolineata dal suo intero discorso, nonché dal contesto: le donne sono ancora discriminate nel lavoro, nella vita civile! Che notizia è una banalità a fronte di un gravissimo fatto, evidentemente ancora non universalmente riconosciuto, e al quale la politica potrebbe, se volesse, applicarsi? Mentre lo stupro è già aborrito e condannato dalle leggi, purtroppo la discriminazione avviene senza grave scandalo e senza allarme sociale, questo è il guaio.
Nel giorno dell’8 marzo, questa noia tremenda dell’8 marzo, io ci trovo una logica vecchia: le donne ridotte alla loro fisicità, come nello stupro, sono più ”interessanti” delle donne nella loro dimensione civile. Come il Vaticano che si chiede se per le donne ha fatto di più la lavatrice o la pillola. E si risponde: la lavatrice. Questo non mi stupisce, ma attenzione, la domanda è sbagliata, ma se proprio vogliamo rispondere, io direi la democrazia. Come per gli uomini, guarda un po'.
Forse, dopotutto, Napolitano ha ragione: non è ovvio per tutti che lo stupro sia sempre un’infamia inconcepibile.

mercoledì 4 marzo 2009

In pensione dopo, ma non "a gratis"

Le carte sono partite. Il governo italiano ha mandato a Bruxelles il suo piano per l’innalzamento graduale dell’età di pensionamento delle donne che lavorano nella pubblica amministrazione. Come era stato promesso, dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea che condannava l’Italia per disparità di trattamento.
Trattandosi solo delle dipendenti pubbliche, il risparmio che è stato stimato, sarà di appena 2,3 miliardi di euro in otto anni. Un piccolo passo per le casse dello Stato. Ma per le donne potrebbe essere, se ben capito e sfruttato, un grande balzo. La cosa più sbagliata, invece, che le donne possano fare, è di lasciar passare questo momento senza chiedere niente in cambio. Perché se l’equiparazione dell’età (per ora solo nel pubblico impiego) è sacrosanta, però va affiancata allo stesso tempo, con delle azioni forti per promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, come hanno ripetuto in Parlamento donne e uomini di destra e di sinistra, a partire da Emma Bonino, che propone da anni l’equiparazione dell’età pensionabile. Le donne devono pretendere pari opportunità di inserimento professionale e di carriera. Cose che oggi invece sono lontanissime.
Se, per esempio, i soldi risparmiati con le pensioni venissero utilizzati tutti per un grande piano nazionale di asili nido, l’impatto sull’occupazione femminile sarebbe fortissimo. E’ alto infatti il numero di donne costrette a lasciare il lavoro con la nascita del primo e soprattutto del secondo figlio, a causa delle difficoltà di cura del bambino. La diffusione degli asili nido, inoltre, libererebbe molte energie anche per quelle donne che, pur convinte di rimanere al lavoro nonostante i figli, fanno tutti i giorni le funambole per gestire l’ingestibile, tra tempi di lavoro e tempi di famiglia. E questo è solo un esempio. Se in futuro si deciderà di cominciare una discussione più ampia sull’età pensionabile delle donne (e degli uomini) rendendola magari sempre più flessibile e soggetta alle scelte individuali, si dovrà ancora di più sottolineare come i risparmi vadano utilizzati per le politiche attive di inserimento delle donne al lavoro e ai livelli più alti delle carriere, fino ad oggi, di fatto, a loro quasi precluse. Non è un’opinione, i numeri stanno lì a testimoniarlo: nei Cda delle aziende, nella dirigenza delle banche, ai vertici dello Stato in Italia le donne sono delle mosche bianche. La presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, una di queste mosche bianche, lo ha ricordato più volte a partire dal suo insediamento: un numero crescente di donne nell’economia significherebbe immediatamente una crescita del Pil, cosa di cui in tempi di crisi abbiamo particolarmente bisogno.
Alle donne che si preoccupano e si rammaricano che ora venga loro tolto ”anche” il privilegio di andare in pensione di vecchiaia anticipatamente, va detto: non vivete questa decisione come l’ennesima penalizzazione della vostra vita. Piuttosto, consideratela come la tappa di un cammino ancora lungo verso la piena dignità e il riconoscimento (prima della pensione, non dopo) delle vostre potenzialità. Per voi, le vostre figlie e i vostri figli.
(Pubblicato sul Messaggero il 4/3/2009)

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