sabato 27 ottobre 2007

COSA FRENA LE DONNE AL LAVORO



Al convegno di ieri su donne ed equiparazione dell'età pensionabile (Proteggimi di meno e includimi più) Giulia Bongiorno, avvocato formidabile, ha raccontato questa storia: "Nel corso di uno dei tanti colloqui che faccio per assumere collaboratori per il mio studio (che non riesco mai a trovare, per cui siamo sempre a corto di organico...) ho conosciuto una giovane avvocatessa, bravissima. Dov'è il trucco, mi sono detta? Come mai una persona così in gamba ancora non ha un lavoro? Dopo le mie insistenze la brava avvocatessa ha ammesso il suo problema: ha un figlio piccolo. In uno studio sommerso di lavoro, ovviamente, una dipendente che si deve assentare per il bambino piccolo, malattie e vari piccoli imprevisti, può essere un problema, questa è la verità. Io l'ho assunta e poi ho telefonato alla banca dove lavora il marito, dicendo: io vorrei assumere questa persona, però voi mi dovete garantire che concederete anche al marito di assentarsi per le malattie del figlio, così da dividere l'onere tra me e voi. Altrimenti sarete responsabili della mancata assunzione di questa avvocatessa".

L'avvocato Giulia Bongiorno ha così, in questo aneddoto, efficacemente riassunto alcuni dei problemi delle donne e del lavoro: i costi per le piccole aziende, la condivisione con gli uomini, il supporto sociale, i pregiudizi. Tutto ciò si lega anche alle questioni più generali del mercato del lavoro e dei bassi stipendi per i giovani (e per le donne ancora di più) di cui ha parlato mirabilmente il luminoso Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia.

5 commenti:

Ladypiterpan ha detto...

Cara Angela,
in parte sai come la penso al riguardo, ultimamente mi dico (tra me e me)che la biologia ci frega, ossia nel nostro DNA di donne c'è scritto che prima vengono i figli e la famiglia e poi tutto il resto...
Sarà vero? Oppure questa è una semplice scusa per non fare nuovi passi (e quindi metterci in discussione)?
Per quanto mi riguarda, pur avendo mio marito molto collaborativo davanti alle varie malattie di mia figlia, ciò non basta.
Quando i bimbi sono così piccoli, si ammalano troppo spesso (la mia in particolare). Mia figlia, nei suoi primi 3 anni di vita, sono stati più i giorni di assenza dal nido (e ora dalla materna)che tutto il resto! Nonostante la presenza giornaliera del papà, quando mia figlia non sta bene, io, ad esempio, sul lavoro non sono mai concentrata tanto.. E poi, i figli sono così bravi a farti sentire in colpa...
E la mentalità? Questo è un altro grosso ostacolo! Noi donne siamo sempre state abituate, o meglio educate, a sacrificarci in nome della famiglia, rispetto ai nostri compagni, perchè così è..., purtroppo.
C'è tanta strada da fare, ancora....
Anna

Anonimo ha detto...

Facevo una ricerca su Internet e sono capitato prima sul suo libro e poi sul suo sito. Devo dire che il suo punto di vista, che pretende di sbarazzarsi dei luoghi comuni sul precariato, è a sua volta un luogo comune, tipico di chi il precariato non l'ha sperimentato sulla propria pelle. L'incertezza che lei ha sperimentato vent'anni fa è altra cosa dal precariato diffuso del giorno d'oggi. E si legga bene, precariato non flessibilità. Nessuno ha paura della flessibilità, ma se la flessibilità non consente di vivere, se è contraddistinta da impieghi saltuari e mal retribuiti - Draghi docet - , allora diviene precariato e autentica bomba a orologeria del Paese. E in Italia ancora si stenta a comprendere che non esiste la flessibilità ma il precariato. Della legge Biagi, così come capitò con il pacchetto Treu, si fa un abuso continuo: parrucchiere, panettieri e operai generici assunti a progetto, PA che tracima di collaboratori - anch'essi a progetto (ha mai letto il testo di legge?)! Si vive e si lavora nell'illegalità più diffusa. Il suo libro, sicuramente interessante e pur anche istruttivo, immagino che descriva casi e situazioni distanti anni luce da ciò che accade oggi nel mercato del lavoro. Le testimonianze presenti in "schiavi moderni" sono realmente drammatiche. Inoltre, come le ha già fatto notare qualcuno, non tutti i lavoratori sono all'altezza di mettersi in gioco così come lei intende, vuoi per situazioni contingenti vuoi perchè semplicemente non sono in grado di farlo, non ne hanno le capacità. Io mi ritengo un lavoratore flessibile - stipendio leggermente superiore alla media e volontà di mettersi in discussione - ma sento e vedo tanti colleghi e amici precari, coppie con figlio a carico e mutuo da pagare. Che contributo può dare la sua posizione a queste persone? Troppo facile e ingenuo elevare la propria esperienza personale ad esempio universale: il mercato del lavoro è drasticamente cambiato, l'università è un fatto di massa, e l'Italia, qui sta la chiave di volta, non investe in ricerca, condannando i suoi lavoratori ad una competizione, persa in partenza, con paesi che offrono le stesse produzioni a costi inferiori. Abbia l'umiltà di essere più realista.
Con stima, Francesco.

angela padrone ha detto...

Mi piace quando qualcuno ha tante certezze e conclude: siamo realisti! bene, siamo realisti.... quindi? Che fare? :-(

Anonimo ha detto...

E' assurdo accettare una mentalità del genere. I politici e gli imprenditori dovrebbero vergognarsi.
www.onlinecasinomania.net

Eleonora Voltolina ha detto...

Contributo fulmineo alla discussione in corso: e se il sottile (ma significativo) confine tra precariato e flessibilità stesse, molto semplicemente, nel denaro?
Io non ho mai sentito uno lamentarsi dicendo "Guadagno 3mila euro al mese ma sono precario, sto male perchè non ho un contratto che mi tutela".
A dire questa frase sono quelli che prendono 800, 1000, 1200 euro al mese con i loro lavori precari. Cifre ridicole, che non permettono nè di pagare affitti per case dignitose, nè di metter su famiglia, nè di affrontare serenamente un imprevisto costoso come per esempio una malattia o una ristrutturazione condominiale.
Quindi io dico: facciamo una bella linea chiara e definita, seguendo in sostanza quel che ha dichiarato anche il Governatore della Banca d'Italia Draghi. Da una parte della linea, i precari, cioè quelli che non gliela fanno ad arrivare alla fine del mese con le briciole che prendono dai loro "contratti strani" (come li ho ribattezzati io). Dall'altra parte della linea, i flessibili: quelli che non hanno garanzie contrattuali, ma prendono stipendi adeguati e quindi non patiscono più di tanto la situazione.
Che lo si ammetta o no, l'Italia non ha (quasi) flessibilità. Ha solo precarietà.
Quasi quasi dedico a questa linea un post sul mio blog www.repubblicadeglistagisti.it. Magari non è poi così originale, come idea, ma mi interessa svilupparla e sapere cosa ne pensano anche gli altri.

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