domenica 14 ottobre 2007

UN 3% CHE FA PENSARE



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In fondo abbiamo tirato un sospiro di sollievo: con l'accordo sul welfare chi si trova nella cosiddetta "trappola della precarietà", avrà finalmente delle prospettive migliori... abbiamo pensato, no? Bé, la Fondazione Marco Biagi ha fatto una stima delle persone che saranno interessate al limite di 36 mesi, oltre il quale il contratto a termine può essere rinnovato solo una volta e alla presenza delle rappresentanze sindacali: sarebbe circa il 3% dei lavoratori a tempo determinato. Il 3%.

E' molto poco. E di questi, dice Michele Tiraboschi sul Messaggero di oggi, la stragrande maggioranza avrebbero tutto l'interesse a continuare ad avere il contratto. Perché lavorano in aziende di servizi o del turismo, spesso aziende stagionali, con le quali lavorano da anni, proprio in virtù dellla loro competenza e del rapporto di fiducia che si è creato. Queste persone ora hanno buone probabilità di finire in nero....


Leggete sul Bollettino Adapt di oggi tutte le riflessioni di Tiraboschi. Ma la domanda che viene spontanea è una: perché su un argomento del genere si va avanti per sensazioni, per bandiere, per pregiudizi invece che in base a dati di fatto? Certo, è molto bello dire che si è fatto un passo avanti per ridurre il senso di precarietà, ma se il risultato è quasi irrilevante, e forse nagativo (per non parlare del famigerato scalone abolito dall'accordo), la sensazione di rabbia è inevitabile.

Si parlerà anche di questi temi nell'incontro di domani a Milano alla libreria Egea della Bocconi (vedi locandina qui sopra).

6 commenti:

arnald ha detto...

La locandina mi ricorda un testo universitario che forse hai studiato anche tu, Angela. "La Montagna italiana, da problema a risorsa". Il libro spiegava perché la nostra montagna, invece di essere una risorsa turistica, alimentare e quant'altro si era trasformata in un "luogo" desolato, vittima dell'emigazione. Per ridare forza al territorio montano, nacquero le leggi sulle comunità montane. Ma invece di usare quel denaro per aiutare davvero il territorio, i soldi se li sono spartiti i soliti furbi. Così la montagna italiana diventa da risorsa, un magna magna. E lo è tuttora (vedi le prime pagine del libro "la casta"). Il problema di questo Paese è sempre, infine, di mentalità. Flessibilità: opportunità o condanna? Secondo te cosa ne faranno i nostri grandi imprenditori di una lezione del genere, visto come si sono comportati finora? - Arnald

Anonimo ha detto...

La vicenda dei 36 mesi? A dire poco diabolica. Specialmente quando si prevede l'intervento obbligatorio del sindacato. Ma mi sembra di capire che i sindacati confederati oggi hanno loro stessi rifiutato questo concetto. E con ragione.

Ho comprato il tuo libro. Se non vale 14 Euro te lo farò sapere dopo averlo letto, se vale 14 Euro o anche di più te lo farò sapere lo stesso. Spero ovviamente la seconda. Potenza del blog!

valeria, virginia, francesca, donatella, giulia, emma, rita, elisabetta, maria antonietta and co. ha detto...

oggi ha sottoscritto questo

http://www.radicali.it/appello_equiparazione/form.phpscritto

anche rita levi montalcini

ci vediamo il 26;-)

valeria

ps: www.inpanchinavaccitu.blogspot.com

Anonimo ha detto...

Mia sorella fa la cuoca...cambia ristorante ogni 12 mesi.
Fortuna che lei si diverte!
In effetti la faccenda della "montagna italiana" è un'ottima riflessione, purtroppo le leggi in Italia (forse ache altrove, non dico di no) sono spunti per furberie disparate, si insomma, la solita arma a doppio taglio ce mentre dovrebbe difenderci ci attacca per mano di chi la rovescia.
Com'è poi possibile che ci siano comunità montane anche sul tavoliere delle Puglie?
Saluti e complimenti ancora per il libro!

Anonimo ha detto...

Resistere, resistere, resistere! NOn c'è altro da fare! La norma dei 36 mesi contenuta all'interno del Protocollo è inutile. E' lampante...Eppure sindacati e governo si ostinano a non vedere quale è la realtà dei 3.000.000 di precari in Italia.

Anonimo ha detto...

Era ben chiaro fin dall'inizio che la parte del Protocollo relativa alla precarietà avrebbe costituito il nodo più delicato di tutta la questione. Condizione osservata, ormai, da qualsiasi angolazione ma, allo stesso tempo, relegata (guarda caso) sempre al margine dell'agenda polico-economica e della maggior parte dei commenti istituzionali. Più facile, più comodo e soprattutto molto meno "pericoloso", intanto, aggiustare alla meglio il capitolo pensionistico o quello delle aliquote contributive. Già, la precarietà... Come se esistesse una sorta di PUDORE generale (figlio della malafede) nell'indicare in questa abnorme anomalia italiana il nostro più grande problema. Forse perchè, a quel punto, molti (troppi)dovrebbero ammettere le proprie colpe (imprenditori e politici prima di tutto) dichiarando come il fallimentare, vergognoso 'Sistema Italia' si sia appoggiato, negli ultimi dieci anni, esclusivamente sulle spalle dei precari, sulla schiena di una precisa generazione (la nostra).
Troppe code di paglia, troppa paura di perdere privilegi, ecco la triste risposta alla tua domanda.
Saluti resistenti!
Alessandro.

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