venerdì 12 ottobre 2007

"AIUTO, SALVATEMI DAL POSTO FISSO"

AGGIORNATO

Piccola avvertenza: questo post non è destinato al pubblico dei precari, a meno che non siano di stomaco particolarmente forte come Max Cosmico. Il post è destinato a un pubblico di ingrigiti lavoratori a tempo indeterminato.

"La chiamano l'era dell'accesso: basterebbe avere le chiavi per entrare in un nuovo mondo di possibilità. Nessuna proprietà. Nessun legame con le città. Matrimoni che passano di moda. Ma, un momento: perché in questo panorama in cui tutto si modifica nessuno dice che anche il posto fisso dovrebbe avere i minuti contati? Certo si parla di flessibilità ma anche le imprese si sono affrettate a dire che non vogliono un mondo precario....Con il risultato che siamo insoddisfatti prima perché vogliamo essere assunti. E siamo insoddisfatti dopo perché lo siamo stati".


Questo è uno dei passaggi di un libro che consiglio: "Come salvarsi dal posto fisso", edizioni Il Filo, 10 euro, di Massimo Sideri, giovane giornalista del Corriere della Sera. Massimo la settimana prossima modererà a Milano un tavola rotonda durante la quale si parlerà del mio libro ma soprattutto della flessibilità (martedì 16 ottobre, Libreria Egea, via Bocconi 8, ore 18. Ci saranno anche due notissimi giuslavoristi, Michele Tiraboschi e Stefano Liebman, e due giovani scrittori, Alessandro Rimassa e Antonio Incorvaia, autori di Generazione Mille euro). Quello che Sideri ha scritto è un pamphlet dagli intenti provocatori, il cui sottotitolo è una perla: "Elogio del precariato a uso degli assunti a tempo indeterminato". A ben guardare non è un libro "serioso" sul lavoro o sul mondo del lavoro, ma un'opera filosofica e ironica, che però colpisce molto seriamente.

Per prima cosa Massimo mette le mani avanti: i precari si arrabbieranno. Certo, perché tutti quelli che soffrono per un lavoro poco sicuro potrebbero anche sentirsi presi in giro da chi, con il sedere al caldo, dice: beati voi. Eppure il tema è profondo e potrebbe riguardare non due o tre milioni di precari, ma oltre 20 milioni di lavoratori a tempo indeterminato in Italia!


Per capire subito di che si parla leggiamo la scena madre del libro: "Provate ad immaginare un ring dove si affrontano nel match del secolo un precario e un contratto a tempo indeterminato. Gli allibratori sono al lavoro, le scommesse si stanno per chiudere. Il precario è stanco, ha dormito in una topaia di quinta categoria, il secondo al suo angolo non ha una bella cera e gli fuma una sigaretta in faccia. E' magro, ma più perché non ha mangiato che per la forma fisica. Sui book è dato 7 a 1. La quotazione di un brocco. Ultimi secondi. Dobbiamo scommettere i nostri risparmi. Su chi puntare?" Bè, nelle pagine successive, passando per le scimmie, esperimenti scientifici sul cervello, incursioni nella storia dell'economia e nelle vite di precari celebri, Massimo ce lo svelerà, anche se potete immaginarlo. Lui, trentenne, con un buon lavoro, rimpiange la sua "forza" di quando era precario. Io spesso dico ai miei amici precari: ma il precariato ti ha dato delle grandi opportunità, no? La forza di tirare fuori il meglio di te, i tuoi sogni accantonati....Per esempio lo dico sempre a Max Cosmico, ad Arnald e l'ho detto qualche giorno fa anche ad Andrea Bajani, che l'ha preso per un tranello. Invece c'è del vero. Dice Sideri: "Se fossi riuscito a trascinare nel posto fisso tutte le energie, le aspirazioni, il coraggio e la fantasia che avevo negli anni bui dei contratti a tempo determinato, in due parole il pensiero precario, potrei dirmi felice. Eppure non è stato così. E sono sicuro che anche a voi è successa più o meno la stessa cosa. Inoltre la condizione ottimale per la società, quella di un mondo fatto esclusivamente di precari, sembra lontana dal venire. Tra noi e questo paradiso terrestre si porranno mille ostacoli e resistenze insospettabili...."


Insomma, c'è da divertirsi e da pensare. In fondo è come quando alla fine delle favole i protagonisti si sposano: cosa sarà di quel loro amore appassionato, nel grigio tran tran del matrimonio?

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Parole sante, Angela. A volte mi faccio dei viaggi mentali alla "Sliding Doors". Se mi fossi trovato bene e stabile lavorativamente e con un buon stipendio mi sarei tovato a 40 anni con pochi capelli, pieno di frustrazioni e di rimpianti. Invece, dopo aver dato questa "svolta" alla mia vita, mi sento rinato, pieno di energie e di progetti. Homo faber...ecc ecc bla bla! :-)
Precarially Yours
Max

Anonimo ha detto...

Ahi ahi,

qui si respira un aria strana. Vuoi vedere che ora siamo più contenti da precari, per davvero? Certo è che il bisogno di realizzarsi mette in moto tutta una serie di meccanismi, quali la creatività e la tigna. Poi c'è una selezione naturale più spietata, secondo la quale tanti ragazzi nemmeno provano più a cercarsi un lavoro. Insomma, non so Max, ma io non ci capisco più niente. Finora l'unico punto chiaro è che ho capito la differenza tra precariato e flessibilità. L'altra cosa è che Max non avrebbe scritto il mille euro blues e che io non avrei aperto un blog, e non avrei cominciato a coprire roma di adesivi. Angela, un consiglio. Io non ho intenzione di scrivere libri sul lavoro. Il mio pensiero è troppo mobile, tropp o quotidiano per fermarsi su una pagina; almeno per quanto riguarda il capitolo lavoro. Tuttavia credo che la cosa ormai meriti un appuntamento mensile fuori dai blog, su carta. Tu sei nell'editoria "quotidiana" - e non solo - da tanto tempo. Che mi consigli?
Io per ora sto pensando ad un mensile/quindicinale col nome deil mio blog. Un progetto editoriale freepress, attraverso il quale risvegliare la cultura del "rimbocchiamoci le maniche, troviamo la nostra strada e, dove c'è, denunciamo lo schifo. Soprattutto, apriamo un dibattito e condividiamo/pubblichiamo progetti". - arnald

Anonimo ha detto...

Ihihih, sembra paradossale ma è così. Sarà che mi ha sempre affascinato l'idea di essere un "loser" ma mi sento contento così. Non mi sono piegato alle regole falsate da questa imprenditoria malata che ti rende "precario" mentalmente ancor prima che lavorativamente. Ho semplicemente smesso di giocare, a quelle regole. Ho risucchiato tutte le energie (progettualità, buone intenzioni, "proattività", come dicono i grandi manager!) all'automa che siede beffardo in ufficio e le ho travasate nel mio alterego "artistoide". L'idea di dare continuità (anche stampata) ai blog e trovare momenti "fisici" di incontro è ottima, e quell'evento che programmiamo per novembre potrebbe esserne il "kick-off" (daje con l'aziendalese!!)
Max

Ladypiterpan ha detto...

Non avendo letto il libro non posso esprimere un parere oggettivo e soggettivo, certo il titolo è tutto un programma. Aiuto salvatemi dal posto fisso! Cosa vuol dire, salvarsi forse dal tran tran del lavoro che dopo i primi tempi di entusiasmo va a mano a mano fiaccando? Significa forse pensare che è inutile dare il meglio di sè sul posto di lavoro fisso, tanto comunque a fine mese c’è lo stesso la pagnotta? Certo può significare tante cose! Leggendo solo le parole scritte sul post potrei pensare che l’autore del libro si sia annoiato del suo lavoro oppure potrebbe essere una semplice provocazione? Bho’, che dire? Secondo me, a prescindere, da lavoro a tempo o lavoro per sempre, nella vita si dovrebbe sperimentare quello che si ha in mente, sia lavorativamente parlando che altro…Io morirei se mi sentissi in gabbia a svolgere il mio lavoro per sempre, nel momento in cui non mi soddisfa più basta, si cambia. La vita è un continuo divenire…Ognuno è libero di scegliere il proprio destino, quindi anche il proprio lavoro. Non siamo mica come i pesci di acquario che abituati a girare sempre nel proprio bicchiere tondo, una volta lasciati liberi in una vasca continuano a girare sempre in tondo! La stabilità o l’instabilità ce l’abbiamo dentro noi, non viene dall’esterno, secondo me.
Anna

Anonimo ha detto...

Ho letto anch'io il bel testo di Massimo Sideri (cfr. http://www.humanitech.it/?p=733). Bello il gioco del paradosso, ma insostenibile. Credo che associare la condizione di precario o flessibile alla "condizione dello spirito" sia una scelta pessima dal punto di vista del dibattito pubblico. Si trasforma il diritto del lavoro in stato d'animo. Stimolante da un punto di vista letterario e filosofico, ma fuorviante.

arnald ha detto...

Intendi dire che la differenza tra precario è flessibile è solo piscologica? Il uso questa distinzione quando introduco gli argomenti nei miei post, ma credo sia un problema solo italiano, o quasi. Io credo che ci sia invece una bella differenza tra precariato e flessibilità. Posto che ci sia una flessibilità però, e in questo paese non c'è. - Arnald

angela padrone ha detto...

rispondo a dario per tutti: ovvio che il discorso è più filosofico che concreto! nessuno vuole dire a chi chiede pane: "mangiate brioches". Però ci sono dei temi interessanti per chi il posto fisso ce l'ha eccome e molto spesso soffre per mancanza di slancio, di iniziativa, si intristisce, ecc. Al tempo stesso è reale la grande voglia di tutti di fare "ciò che piace, che dà soddisfazione" e non solo da mangiare; infine, anche i precari spesso ammettono che la loro situazione gli ha fatto tirare fuori energie insospettate. Insomma, se si prende il discorso con cautela, è interessante e ci riguarda tutti. Se invece si vuole utilizzare un pamphlet, un divertissement per fare una battaglia dura e pura, secondo me si sbaglia

Anonimo ha detto...

Naah, dai. Lasciamo le battaglie dure e pure a chi ha potere per farle, suvvia. Diciamo meglio: se vogliamo raccontare che ci sono precari e contenti e molti dipendenti insoddisfatti, è vero. Facciamolo. Penso però che il problema del precariato non si debba porre a partire dalla relazione che esisterebbe o meno con la soddisfazione personale. E' solo casistica, come ci sono i dipendenti soddisfatti e i precari sul punte col sasso al collo (scherzo). Basta sapere che si tratta di fenomenologia, narrazione, filosofia, ma non di nessi causali. Tutto qui. Che è come dire: lasciamo la soluzione del precariato fuori dalla sfera personalistica, perchè questa commistione non dimostra nulla.

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