martedì 23 settembre 2008

COME LAVORARE BENE E RIPRENDERSI IL TEMPO



Dobbiamo tutti lavorare di più, e meglio! Difficile pensare a un contesto nel quale questa frase non venga ripetuta e sottolineata con enfasi. Ma cosa vuol dire esattamente? In Italia i lavoratori già svolgono un numero di ore maggiore di quello di altri paesi industrializzati avanzati (tranne gli Stati Uniti, dove effettivamente si fanno più ore e meno ferie). Certo, da noi sono tanti quelli che non lavorano. E non parlo dei disoccupati, ma proprio di quelli che non si accostanto al lavoro per vari motivi. Tra questi soprattutto le donne, e chi mi legge sa che in Italia abbiamo la percentuale di donne al lavoro più bassa d'Europa. Una vera vergogna. Uno dei motivi di tutto ciò è che è sempre più difficile lavorare e, al tempo stesso, far funzionare la vita privata delle persone, perché il lavoro sembra costruito intorno all'idea che chi lavora faccia quasi solo quello mentre a, tutto il resto dei suoi bisogni ci penserà qualcun altro: una moglie, magari. Ovvio che con un'immagine del genere tutto diventa praticamente impossibile. Attorno a questi temi e all'utilizzo del tempo tra lavoro e vita privata , mi sono molto arrovellata negli ultimi tempi, tanto che avevo anche buttato giù l'impalcatura di un libro. Tuttavia, strada facendo, l'obiettivo mi era sembrato fin troppo ambizioso e, per l'Italia, quasi impossibile da portare in cima all'agenda del mondo politico e imprenditoriale.

Tuttavia il tema assedia il mondo del lavoro e lo dimostra questo libro uscito in America e ora tradotto anche da noi: "Perché IL LAVORO FA SCHIFO e come migliorarlo", di Cali Ressler e Jody Thompson, edizioni Elliot. Non per caso, le autrici sono donne. Le donne hanno una acuta percezione del bisogno di gestire in modo più efficiente il tempo, anche per non rimanere vittime dell'impossibilità di fare tutto. Il libro è tipicamente americano: scritto in uno stile piano, semplice e ripetitivo, destinato a un pubblico molto meno raffinato ma anche molto più numeroso di quello europeo. Parte dall'analisi di un esperimento in una azienda americana, la Best Buy, dove le autrici hanno collaborato a introdurre un nuovo sistema di lavoro, detto ROWE: results-only work environment. Ambiente di lavoro basato sui risultati. Il TEMPO è il vero protagonista del libro. Il tempo di lavoro viene attaccato, bombardato e sgretolato dal nuovo modello. Le briciole poi vengono reimpastate insieme al resto della vita privata, condite con dosi massicce di moderna tecnologia ormai comune nelle nostre case e nei nostri uffici, fino a modellare un nuovo tipo di azienda e di lavoratore. La chiave di quest'opera di smontaggio e rimontaggio sono gli OBIETTIVI e i RISULTATI. L'azienda deve fissare gli obiettivi, i lavoratori portare i risultati. Tutto il tempo che di solito c'è nel mezzo di questo operazione, e lo spazio in cui l'azione si svolge, non esistono più.

Scrivono le autrici: "Se il nostro capo dovesse scegliere tra concederci una mezz'ora per sbrigare le nostre faccende personali o farci partecipare a una riunione di un'ora dove la nostra presenza non è necessaria, è probabile che la maggior parte dei dirigenti opterebbe per la riunione. Anche di fronte alla certezza che alla riunione non si combinerà niente e che potrebbe durare più di un'ora, molti dirigenti preferirebbero senz'altro avere i propri dipendenti in ufficio, magari a non fare niente, piuttosto che non averli sott'occhio mentre sono fuori a fare qualcosa di concreto" (p. 116) La rivoluzione introdotta dalle due autrici alle Best Buy è che invece le riunioni sono facoltative (sta al lavoratore giudicare se siano utili) e che l'orario di lavoro non esiste più. Fine. Ciò che conta sono i risultati. Se il lavoratore produce risultati entro le scadenze previste, tutto il resto all'azienda non deve interessare. Può lavorare da una spiaggia, in casa in mutande, durante la notte, assistere la mamma malata in un altro Stato, seguire la propria band preferita in giro per il mondo per tre settimane, senza prendere neanche un giorno di ferie. Basta che nel frattempo "produca". E tutto ciò è possibile grazie al fatto che la maggior parte dei lavoratori oggi non avvita bulloni a una catena di montaggio, ma produce idee, conoscenza, applica saperi, e lavora con computer e cellulare. Scrivono ancora le autrici: "Tutto è ammissibile purché il lavoro sia portato a compimento. Inaccettabile semmai è l'assenza dei risultati. E non la scarsa presenza in ufficio o la timidezza durante le riunioni, oppure un tatuaggio o uno strano modo di ridere. Se non si porta a termine un certo incarico, si perde il lavoro. In caso contrario, si conquista la libertà" (p. 117) Nel libro ci sono anche alcune testimonianze. Come quella di Trey, 30 ani, esperto di e-learning: "Faccio ciò che voglio, quando e quanto voglio. Perlopiù lavoro in base alle mie esigenze. E, considerato che porto sempre a termine i miei incarichi, mi godo la vita al massimo e al contempo lavoro per una grande azienda" (p.101) La conseguenza di tutto ciò è che "il personale diventa proprietario del proprio lavoro. Viene pagato per i risultati e, quindi, comincia a d agire da imprenditore, sente quasi di avere una quota del capitale dell'azienda" (p. 136). Qui il discorso si fa molto complesso. Almeno in Italia. Gli esperimenti di responsabilizzazione del lavoratore rispetto al risultato sono ancora scarsi, ma hanno gli imprenditori tra i principali sostenitori. Da parte del lavoratore si potrebbe preferire la sicurezza dell'orario alla responsabilità dei risultati. Ma il libro sottolinea come questo sia un atteggiamento infantile, nel quale il lavoratore si fa trattare come un bambino minorenne, cui i genitori danno i premi se si comporta secondo le regole. Insomma, qui tratta di mettere in discussione una cultura del lavoro vecchia di un paio di secoli, figlia della rivoluzione industriale e ormai anacronistica nell'era digitale del web. Una cultura nella quale la produttività, la responsabilità e i risultati andrebbero esaminati e ridefiniti. Inoltre ogni azienda, e ogni tipo di lavoro, hanno certamente esigenze e difficoltà intrinseche. Bacchette magiche per rivitalizzre la nostra asfittica "vita privata" non esistono. Però il tema è gigantesco e nel futuro credo che se ne discuterà sempre più spesso.

15 commenti:

Unknown ha detto...

Tutto molto bello.
Mi trovo in totale accordo.
Dare obiettivi e verificare i risultati nei tempi stabiliti. TUtto il resto otto ore di lavoro comprese è fuffa.
Se ho un progetto da mandare in produzione lavoro la sera ed i sabato e domenica.
Perchè quando sono più scarico non posso ridurre flessibilmente l'orario?

Anonimo ha detto...

Certo che gli esperimenti di responsabilizzazione dei lavoratori hanno gli imprenditori tra i principali sostenitori. Loro si limitano a definire gli obiettivi, supponiamo il raggiungimento di una quota di vendite, e ai lavoratori lasciano l'onere improprio di auto-organizzarsi per raggiungerla. E i dirigenti che ci stanno a fare, allora? Così sono capaci tutti di fare gli imprenditori o i dirigenti. Si spostano le responsabilità e il rischio di impresa e sui lavoratori e si mettono i piedi sulla scrivania aspettando dividendi e premi. E se per raggiungere i risultati previsti il lavoratore ci mette il doppio del tempo? Nessun problema, lo stipendio rimane lo stesso per l’azienda, ma di fatto dimezzato per il lavoratore. E’ la pietra filosofale del capitalismo! E se il lavoratore non raggiunge il risultato? Semplice: licenziato. Geniale! Sarà infantile, ma quando uno ha il mutuo da pagare e una famiglia da gestire, qualche sicurezza sulle proprie e entrate e sul proprio tempo libero fa comodo. Il modello auspicato andrà bene per chi non ha queste preoccupazioni (i giovani che vivono con i genitori, ad esempio) o per chi ha un conto in banca sostanzioso o qualche proprietà che gli garantisce almeno una relativa sicurezza, ma non certo per il lavoratore medio. Che la maggior parte dei lavoratori si dedichi alla produzione di idee e di conoscenza mi sembra una sciocchezza. Useranno certo i saperi e strumenti sofisticati come il computer e il cellulare, ma nel terziario la maggior parte dei lavoratori si occupa di servizi e i servizi hanno in genere un’utenza/clientela e degli orari: negozi, sportelli, ospedali, trasporti, ecc. Non ci siamo ancora tutti quanti virtualizzati e trasformato in avatar di second life…

Anonimo ha detto...

E' davvero il "tema dei temi".

Abbiamo diversi case history italiani che applicano con pieno successo la teoria del ROWE da diverso tempo, con soddisfazione piena (economica+sociale) di azienda e lavoratori.

Questa è la vera strada.

Anonimo ha detto...

Esatto, è il tema dei temi.
Ma converrete con me che gli orari li decide il datore di lavoro. Se l'azienda pensa vecchio, il lavoro è vecchio. per non dire di quando il contratto a progetto con un obbiettivo si sfrutta solo per inchiodare la gente alle scrivanie. - Arnald

Anonimo ha detto...

@Arnald
Gli orari non li decide sempre il datore di lavoro - in questo caso nel ROWE non esistono orari, ma si lavora in funzione dell'obiettivo da raggiungere.
In una forma ancora + estremizzata ma favorevole al lavoratore, è possibile ipotizzare e realizzare un accordo di base su che cosa fare, nel senso che è possibile lasciar decidere al lavoratore se accettare o meno una lavorazione, nei limiti di quello che il contratto consente.
Perde di valore quindi il vecchio mous operandi che chiedeva di tenerti inchiodato alla scrivania: sarai tu a decidere quando stare a quella scrivania, sulla base di quelle che sono le scadenze lavorative. Potrai starci da casa, di notte, di giorno, etc etc.

Come si dice giustamente nel libro, la chiave è nel concetto di TEMPO.

Questo è oggi il lavoro moderno che funziona e se ben applicato fa davvero felici tutti.

angela padrone ha detto...

credo che questo sia effettivamente un tema molto grosso e che il lavoro sia destinato a cambiare, per tenere conto di molte nuove esigenze, sia personali, sia di lavoro. Però credo che non sia così facile trovare una soluzione. I lavori non sono tutti uguali, e neanche le persone. Flessibili e precari, ma anche altri: le esperienze concrete in questo caso potrebbero essere molto interessanti. Io, per esempio, il mio lavoro ben difficilmente lo potrei fare da casa o con orari a mio piacimento. Dovrebbe cambiare tutto l'orario del giornale. Invece il giornalista che scrive un pezzo già può essere molto più flessibile...

Anonimo ha detto...

Giustissimo. - Arnald

Anonimo ha detto...

Certo difficile possa cambiare tutto l'orario del giornale, né la cosa avrebbe senso con ogni probabilità.

A meno che ... non si tratti di una struttura nuova, diversa, e pensata fin dalle sue origini seguendo parametri differenti.

Probabilmente quel che abbiamo ora in discussione riguarda + facilmente le figure di livello basso o intermedio, le quali effettivamente (vedi il giornalista che scrive il pezzo) potrebbero avere - e di fatto non poche volte hanno - una libertà sul fattore tempo non indifferente.

Si dice che "l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro" ... ed è la cosa forse più giusta del mondo.

E non si dice infatti che "l'Italia è una Repubblica fondata sugli ORARI DI LAVORO".

Sarebbe molto interessante lavorare sul concetto di TEMPO legato al lavoro, come hanno fatto le 2 autrici del bel libro citato.

Siamo convinti che anche l'Italia possa stupire in positivo in questo senso - il problema è che chi urla in genere sono altri, perchè come più volte detto, chi sta bene non ha bisogno di urlare.

Ma ... facciamo almeno si che sia sempre più motivato e voglioso di fare.

Anonimo ha detto...

Esistono già lavori in cui si lavora a casa, con orario libero, basandosi sulla scadenza ("il lavoro va fatto entro il..") e sul risultato, come l'agente di commercio, lo scrittore, il grafico pubblicitario o il disegnatore di fumetti o di libri per l'infanzia, e so per esperienza che tutti questi si ammazzano di lavoro per un guadagno spesso ridicolo rispetto al dispendio di energie (fatta eccezione per qualche talento fuori scala). Dove si può si usa ben il lavoro a risultato.
E' il sistema italiano, basato su bassa tecnologia, investimenti a brevissimo termine, con poco rischio d'impresa e lavoretti di manovalanza ripetitivi e monotoni che rende necessario il "padroncino" che faccia sorveglianza ossessiva e feroce sui suoi sottoposti.

Il pagamento totalmente a cottimo (ossia a risultato) giustamente deve rimanere illegale, perché si presta troppo a truffe, tipo multilevel marketing (leggetevi "Il mondo deve sapere" di Michela Murgia e guardate il link sul mio nickname). Al massimo si possono pensare forme miste (tipo 70% a tempo e 30% basato sulla produttività), sarebbero utili per motivare certi "statali imboscati" (intendendo i disonesti di quelle categorie, senza fare tutt'un' erba un fascio) combattuti da Ichino e Brunetta.

Rimedi contro "lo schifo"? Forse incentivare ulteriormente con sconti fiscali quei datori di lavoro che permettono ai loro dipendenti di frequentare corsi di qualificazione e riqualificazione (ci sono già, ma pochi padroni usano questa possibilità, perché è difficile sostituire i lavoratori assenti). O sperimentare lavori da "tuttofare" in cui un impiegato farebbe lavori d'ufficio la mattina e pulizia e riordino il pomeriggio (magari con mansioni non così differenti tra loro).

angela padrone ha detto...

Fatemi fare l'avvocato del diavolo di me stessa. Il rischio è che la flessibilità di orario "buona" si trasformi in un inferno di lavoro che invade tutta la vita. vedi i lavoratori americani "sempre connessi"...
http://www.corriere.it/cronache/08_settembre_25/impiegati_digitali_stress_e41c2efa-8af3-11dd-b62d-00144f02aabc.shtml

Anonimo ha detto...

@alex
Dispiace la tua esperienza sfortunata, si spera ti andrà meglio una prossima volta - non fare mai di tutt'erba un fascio.


@angela
Interessante questo passaggio ...

"AMORE E ODIO - Certo nessuno li costringe a guardare il famigerato smartphone ogni due minuti per controllare la posta elettronica, sempre e ovunque, e probabilmente molti di loro lo butterebbero via molto volentieri, se non fosse che il fatto di essere sempre rintracciabili e aggiornati sugli avvenimenti «rende più competitivi all'interno di un'azienda», come spiegato dal general manager di una società di advertising di Philadelphia, Joe Soto"

A nostro parere è sempre tutto una questione di scelte. Bisogna avere la capacità di fare quelle giuste davvero per noi stessi.

E' probabile molti lo butterebbero via, ma ne conosciamo personalmente molti che allo stesso modo, amando il proprio lavoro, non si pongono ne si porrebbero mai questo tipo di problematica, sempre che essa possa essere chiamata davvero in questa maniera.

Uniamo quindi al determinante fattore TEMPO già citato prima, il fattore FARE UN LAVORO CHE CI PIACE, con infine il fattore SCELTA AUTONOMA DI PARTECIPAZIONE AD UN PROGETTO in funzione di motivazioni personali che possono essere le più svariate tra le tante presenti nel Mercato del Lavoro Flessibile(convenienza economica della lavorazione, ottimo rapporto tempo da impiegare per svolgerla/pagamento per la stessa, voglia di inserirsi in un circuito forte di lavoro effettuando un intervento di tipo tattico, etc etc).

Shackeriamo bene il tutto, e avremo un cocktail dotato molto spesso di sorriso e soddisfazione.

Unknown ha detto...

bravo flessibili e precari!
Ma chi l'ha detto che rimanere sempre collegati lavoro compreso sia un male?
Qualcuno dice che sia una vera e propria malattia. Forse è così ma queste persone stanno bene.
Alcuni decidono di fare del lavoro la loro ragione di vita, altri i divertono e basta.
E' una scelta tutto qua.

Unknown ha detto...

ancora per quanto riguarda le esperienze, io faccio il consulente informatico, a parte qualche riunione (che comunque potrebbe essere fatta via telefono o net meeting o altri strumenti molto più sofisticati che la mia azienda mi mette a disposizione),
sono veramente pochi i momenti in cui devo essere fisicamente presente dal cliente.
A volte arrivo al paradosso di lavorare vicino casa e perdere comunque due ore nel traffico.
E' una tragedia per la famiglia.
Nel mio caso basta una buona adsl (ancora troppo cara) ed un po' di flessibilità e voglia di collaborare.
A presto.

Anonimo ha detto...

Giusto, Gianlu!
Chi l'ha detto che rimanere sempre collegati lavoro compreso sia un male? C'è anche gente a cui piace farsi frustare e persino qaulcuno che non si perde una puntata di Porta a Porta. Chi siamo noi per giudicare le perversioni altrui?!
Scherzi a parte, ma davvero siete così inconsapevoli dei meccanismi posti in essere per asservire gli individui alla logica della produttività e del profitto?

Unknown ha detto...

Ciao Claudio,
stavo per risponderti male ma poi ho visto che sei divertente ed ho lasciato stare....
Non ho detto "stare sempre a lavorare" ho detto essere sempre (ma intendevo molto) collegati.
Comunque io al lavoro faccio cose che mi divertono, mi interessano, ho forse l'ambizione di riuscire un giorno a migliorare unpo' le cose...
Tutto qua.

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