venerdì 16 marzo 2007

PRECARI E CONTENTI?


A 18 anni misi piede per la prima volta in una fabbrica, in Inghilterra. Lì, alla catena di montaggio stile Tempi Moderni, erano fianco a fianco operai, che dopo vent'anni non si aspettavano più nulla, e ragazzi che, da tutte le parti del mondo, arrivavano per imparare l'inglese, per conoscere un mondo nuovo, per studiare, o anche semplicemente per guadagnare denaro sufficiente a vivere per l'anno successivo nel loro paese di origine. Molti venivano dall'Africa, dalla Turchia o dai paesi dell'Est.
Un giorno mi capitò, proprio come a Charlie Chaplin nel film, di non riuscire a tenere dietro al ritmo del nastro trasportatore. Nella fabbrica si lavorava carne di tacchino. Il mio compito in quel momento era il confezionamento dei pezzi di tacchino, che poi venivano inviati più avanti per l'etichettatura. Improvvisamente mi resi conto che i pezzi di tacchino si accumulavano e che non riuscivo a impacchettarne qu anti avrei dovuto. Rischiavo di finire sommersa dai tacchini. Ma mi ripresi. E la sera, con i miei compagni, si parlò di alienazione dell'uomo nel lavoro, di Marx e dei Manoscritti Economico-filosofici del 44. E
Per quanto l'esperienza possa sembrare spiacevole, per me era un'opportunità. E ancora di più lo era per i miei compagni di lavoro venuti da tutte le parti del mondo: per loro quel lavoro era un passo verso un futuro nuovo.
Da allora mi sono chiesta: perché il lavoro non deve essere, sempre, per tutti, un mondo di opportunità? Questa domanda, che non si è mai placata in me, si è riaffacciata in modo prepotente, da quando in Italia si è cominciato a parlare di lavoro precario. Ho cominciato a indagare e a parlare con tanti giovani. E mi sono fatta l'idea cha ciò che alcuni vivono come una tortura quotidiana, per altri può essere un trampolino per la vita. E mi sono chiesta cosa mancasse perché sempre più persone potessero vivere il lavoro come una scala fatta di tanti gradini verso la propria realizzazione personale. La domanda finale è: attraverso il lavoro, anche se precario (ma cosa non è precario nella nostra vita?) come si fa a realizzarsi? Si può essere felici? Insomma, si può essere precari e contenti? La mia risposta è sì. Si può, si deve, giovani e anche non giovani. Anzi, più andiamo avanti nella vita e più dobbiamo cercare delle opportunità. Raramente saranno gli altri a offrircele. Ma, ogni volta che ne scoveremo una, saremo un po' più vicini a noi stessi.

2 commenti:

L'Ingegnere pentito ha detto...

se 100 stanno sul trampolino, quanti saltano in alto e quanti cadono? :)

angela padrone ha detto...

Consiglio alcuni libri di Zygmunt Baumann, per esempio "La società individualizzata", Il Mulino, e "Vita liquida", Laterza.

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