DISOCCUPAZIONE IN SALITA, DONNE IN DISCESA
Per la prima volta dopo molti anni, la disoccupazione riparte anche in Italia. E’ arrivata al 6,7%, dal 5,7% dell’anno scorso. Un pessimo segnale, doopo che negli ultimi anni il numero dei disoccupati da noi è stato a livelli estremamente bassi, direi record per l’Italia, e più bassi di altri paesi europei, come la civile Francia. L’Italia però ha un peccato originale: il numero degli occupati, e di coloro che cercano lavoro, storicamente è molto più basso che in altri paesi. Il motivo è presto detto: mentre la percentuale di uomini che lavora è più o meno uguale al resto d’Europa, da noi le donne non lavorano. O comunque quelle che lavorano sono pochissime, se si fa il confronto con l’estero. Il dato nazionale è intorno al 46% (corretto) ma nel Sud si precipita a poco oltre il 30%. Questo è il nostro buco nero.
Tenendo fermi questi dati, va detto che negli ultimi anni i miglioramenti ci sono stati (nonostante la bassa crescita e la bassa produttività): il numero degli occupati negli ultimi dieci anni è costantemente aumentato. E’ aumentato un po’ anche il numero delle donne occupate, ma in misura estremamente più bassa di ciò che si potrebbe e dovrebbe aspettare (e che ci viene richiesto dagli accordi europei). Anche questa volta il numero degli occupati aumenta dell’1,2%. E’ poco, meno degli anni precedenti. Ma il mercato del lavoro comunque non ha l’encefalogramma piatto.
Però il dato della disoccupazione è preoccupante, ed è in linea con la tendenza di altri Paesi: pochi giorni fa l’allarme è suonato anche in Spagna, dove il tasso di disoccupazione sta schizzando verso l’alto e preoccupa un’economia che negli ultimi anni aveva fatto gridare al miracolo. Il rallentamento della crescita in tutto l’Occidente non può non avere riflessi su l mercato del lavoro. Quindi succede ciò che era facile aspettarsi.
Tuttavia nell’aumento della dicossupazione c’è anche un altro fattore: l’aumento di quelli che cercano lavoro. Magari poi non lo trovano, ma sempre più persone, soprattutto donne, si mette in cerca di un posto. Quest’anno sono 291 mila persone in più. Anche questo è un dato che può essere a doppio taglio. C’è chi lo legge come un segno di crisi: le famiglie non ce la fanno ad andare avanti e quindi alcuni membri tradizionalmente non occupati (vedi le casalinghe) si cercano uno stipendio per ”arrotondare”. Tuttavia questa interpretazione è riduttiva. E’ da paese moderno che sempre più donne entrino nel mercato del lavoro. E’ in questa direzione che vanno storicamente le economie industrializzate contemporanee, e sempre più questo fenomeno dovrebbe avvenire anche in Italia. Che poi alla domanda di posti di lavoro non corrisponda un’offerta adeguata e molte aspettative vadano deluse è esattamente ciò intorno a cui ci si dovrebbe interrogare. Infatti sono le donne le più penalizzate in questo momento, lo rilevano esattamente le cifre Istat: i nuovi disoccupati sono esattamente loro, le donne, e in particolare le donne del Sud.
Allora ci dobbiamo chiedere: cosa stanno facendo le nostre imprese, il governo, le istituzioni pubbliche e private, per favorire l’incontro di domanda e offerta di lavoro? Cosa si sta facendo per aiutare le donne a entrare nel mercato del lavoro e a rimanerci, senza atti di eroismo? Cosa si sta facendo per favorire le famiglie in maniera moderna a conciliare lavoro e vita privata, per tutti, uomini e donne? Un esempio solo: quanti nuovi posti negli asili nido sono stati creati negli ultimi mesi? Quanti posti saranno creati nei prossimi 2-3-5 anni? La Ue ci chiede di dare un posto nei nidi almeno al 30% dei bambini. Attualmente da noi ce l’ha solo uno su dieci. le mamme degli altri 9, per lavorare, devono arrangiarsi.
Al di là dei freddi numeri, che pure dobbiamo tenere presenti, queste sono le domande chiave che dovrebbero guidare l’interpretazione delle cifre. Altrimenti i dati possiamo anche giocarceli al lotto, e sperare così di risolvere quei problemi che sembrano insolubili.