Donne e giovani fuori dal lavoro
I dati Istat di ottobre sulla disoccupazione sono già abbastanza negativi da far capire quanto sia sottile il ghiaccio su cui pattina il desiderio di ripresa. C’è in questi dati, va detto, anche una nota positiva: la voglia di lavoro degli italiani. Sempre più persone decidono di attivarsi e guadagnarsi da vivere. Ma queste cifre nascondono una realtà ancora peggiore: alcune debolezze profonde che vanno oltre il carattere temporaneo dell’attuale crisi.Innanzitutto il dato buono: sono sempre di più coloro che si mettono alla ricerca di un’occupazione retribuita. Significa che continua la tendenza alla modernizzazione che coinvolge l’Italia e il mondo del lavoro da alcuni anni. Perché è giusto che in un Paese sano, non solo economicamente ma anche dal punto di vista del suo capitale ”sociale”, tutti si muovano sul mercato del lavoro. Significa che qualcuno emerge dal ”nero”, che comunque non ci si accontenta di più di vivere in famiglie monoreddito, e che si perde qualche posizione di rendita. Quindi fatti positivi. Ciò detto, però, sono finite le note dolci. Quelle amare riguardano tre dati: primo, il numero degli occupati, che diminuisce; secondo, si riduce il tasso di occupazione femminile, che già era anni luce lontano dagli altri paesi europei; terzo, aumenta enormemente il tasso di disoccupazione dei più giovani.
Allora, il tasso di occupazione ci parla del nostro mercato del lavoro in un modo particolare, ci descrive un Paese nel quale un terzo degli abitanti, grosso modo, non lavora e non cerca lavoro. A questo di solito si pensa poco. Molti di loro sono pensionati, ma si tratta anche di tantissimi ragazzi, che entrano troppo tardi nel mondo del lavoro, e delle donne, che spesso ne restano fuori o ai margini per tutta la vita.
Questo si connette al secondo dato: il basso tasso di occupazione delle donne. A ottobre 2009 è sceso ancora. Le donne che lavorano sono appena il 46,6 per cento. Ricordiamo che nel resto d’Europa le medie sono vicine al 60 per cento, e che in quei paesi sono più alti anche i tassi di natalità. Quindi, non consoliamoci con la retorica delle mamme italiane, perché da questo punto di vista siamo messi proprio male. E su questo si riflette poco e si agisce ancora meno, se non quando si levano periodici appelli a fare di più ”per la famiglia”, come se le donne non meritassero una tutela ”di per sé”. Va aggiunto che una crescita dell’occupazione delle donne comporterebbe un grande sviluppo dell’economia dei servizi, che da più parti si invoca per modernizzare la nostra economia. L’ultimo dato riguarda i nostri figli. Forse anche loro hanno le loro colpe, forse pascolano troppo a lungo nell’indecisione di cosa fare dopo la scuola e negli anni fuori corso dell’università, ma il loro approccio al mercato del lavoro è probabilmente più incidentato qui in Italia che altrove. Su di loro, e solo su di loro, pesa una flessibilità che dovrebbe essere più equamente distribuita e dotata di ammortizzatori sociali dei quali solo ora si comincia a discutere un po’ di più. Per questo dobbiamo ringraziare la crisi. Ma ancora quello che si fa non basta. E lo vediamo quando si parla dei dipendenti a tempo determinato, collaboratori a progetto, piccole partite Iva e lavoratori autonomi che sono poco tutelati dai soggetti e dagli istituti tradizionali, leggasi sindacati, cassa integrazione o mobilità. Forse partendo da questi semplici dati si potrebbe fare qualcosa di più per affrontare non solo i problemi quantitativi, ma anche la qualità del mondo del lavoro e la qualità della vita dei lavoratori in Italia.
Allora, il tasso di occupazione ci parla del nostro mercato del lavoro in un modo particolare, ci descrive un Paese nel quale un terzo degli abitanti, grosso modo, non lavora e non cerca lavoro. A questo di solito si pensa poco. Molti di loro sono pensionati, ma si tratta anche di tantissimi ragazzi, che entrano troppo tardi nel mondo del lavoro, e delle donne, che spesso ne restano fuori o ai margini per tutta la vita.
Questo si connette al secondo dato: il basso tasso di occupazione delle donne. A ottobre 2009 è sceso ancora. Le donne che lavorano sono appena il 46,6 per cento. Ricordiamo che nel resto d’Europa le medie sono vicine al 60 per cento, e che in quei paesi sono più alti anche i tassi di natalità. Quindi, non consoliamoci con la retorica delle mamme italiane, perché da questo punto di vista siamo messi proprio male. E su questo si riflette poco e si agisce ancora meno, se non quando si levano periodici appelli a fare di più ”per la famiglia”, come se le donne non meritassero una tutela ”di per sé”. Va aggiunto che una crescita dell’occupazione delle donne comporterebbe un grande sviluppo dell’economia dei servizi, che da più parti si invoca per modernizzare la nostra economia. L’ultimo dato riguarda i nostri figli. Forse anche loro hanno le loro colpe, forse pascolano troppo a lungo nell’indecisione di cosa fare dopo la scuola e negli anni fuori corso dell’università, ma il loro approccio al mercato del lavoro è probabilmente più incidentato qui in Italia che altrove. Su di loro, e solo su di loro, pesa una flessibilità che dovrebbe essere più equamente distribuita e dotata di ammortizzatori sociali dei quali solo ora si comincia a discutere un po’ di più. Per questo dobbiamo ringraziare la crisi. Ma ancora quello che si fa non basta. E lo vediamo quando si parla dei dipendenti a tempo determinato, collaboratori a progetto, piccole partite Iva e lavoratori autonomi che sono poco tutelati dai soggetti e dagli istituti tradizionali, leggasi sindacati, cassa integrazione o mobilità. Forse partendo da questi semplici dati si potrebbe fare qualcosa di più per affrontare non solo i problemi quantitativi, ma anche la qualità del mondo del lavoro e la qualità della vita dei lavoratori in Italia.
4 commenti:
Gli istituti sindacali, leggasi sindacati, dovrebbero chiudere...l'unica cosa che chiedono è la tessera per avere in cambio nulla...
Immaginiamo di sederci davanti al nostro desktop, notebook, netbook, un qualsiasi monitor insomma, e di recarci presso il sito telematico Public Work 2.0, nascendo sistema d'interfaccia con l'insieme delle Pubbliche Attività. Immaginiamo di aprirvi un ormai classico account e di riportarvi dentro le nostre generalità e poi via via le nostre skill acquisite od in via, o perfino in desiderio, di acquisizione. E poi ancora le nostre esperienze, attitudini, preferenze, anche delle località, od entro quale raggio, preferiremmo rimanere, e così pure quelle caratteristiche psicofisiche che volessimo dichiarare. Insomma: ogni cosa che possa esser d'aiuto al sistema per qualificarci ed utilizzarci al meglio ed a noi per trovare un inserimento adatto e gradito.
Immaginiamo che il sistema Public Work 2.0, una volta terminata l'acquisizione dei dati della nostra persona, ci chieda entro quanto tempo desideriamo essere inseriti in una organizzazione lavorativa: se preferiamo mantenerci per un po' di tempo in attesa di un lavoro in particolare, o semplicemente per godere di un periodo di riposo, oppure se desideriamo immediatamente impiegarci in qualche attività. Immaginiamo che a questo punto il monitor ci offra una schermata contenente la lista o rosa delle disponibilità presenti, ordinate a nostro piacimento per tipologia, retribuzione, località, durata dell'incarico, data di scadenza dell'impiego del presente addetto e subentro del nuovo che saremmo noi.
Già, il subentro: è a questo punto che appare evidente la differenza tra un qualsiasi sito di collocamento nell'ambito delle attività private ed un ben più composito, armonioso, collaborativo, ricco sistema di inserimento all'interno delle Pubbliche Attività. Se nell'ambito privato il proprietario dell'attività può legittimamente decidere come impostarla, stabilendo, tra l'altro, se sia il caso di mantenere rapporti duraturi o meno, nell'ambito del settore pubblico non esiste altra possibilità che alternarci periodicamente, noi cittadini, all'interno dei singoli ruoli. Ciò sia per evitare la corruzione derivante da un ristagno ed una conseguente invasiva oppressione statale sia per realizzare una struttura efficacemente interfacciata con la realtà: dinamica e capace di mutare facilmente secondo le necessità.
Proprio il subentro è la chiave di volta che, al contrario di quanto si possa ora pensare, può renderci tutti felici, iniziando immediatamente a far funzionare alla perfezione la società e quindi donando ad ognuno di noi soddisfazione, sicurezza e tranquillità. Vediamo perché:
http://public-work-2.0.hyperlinker.org
Vive cordialità,
Danilo D'Antonio
Laboratorio (artigiano di idee) Eudemonia
Monti della Laga - Appennino Centrale
eulab@hyperlinker.com
Signora Angela,
Mi sono permesso di citarla per in suo articolo.
Da una lettura veloce noto che per lei esistono solo i problemi al femminile; ognuno si specializza nel campo che gli è più congeniale.
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http://renzoslabar.blogspot.com/
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http://forum.radicali.it/content/renzo-riva-avanti?page=24#comment-499761
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Pubblicato come lettera su "Il Gazzettino" del 24 Settembre 2006
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Una società migliore
a tutti i giovani compete combattere
Alcune considerazioni per tratteggiare la protervia della politica sindacale per mantenere posizioni di rendita, nonché degli stessi pensionati che hanno conquistato con le famose "lotte" i privilegi che le giovani generazioni stanno pagando, taglieggiati nel proprio reddito dalla scelte politico-sindacali che impone loro tasse e contributi che depauperano di oltre il
50% il totale del lavoro da loro prodotto. Dico questo specialmente ai pensionati che hanno promosso e partecipato domenica 10 settembre alle 11 presso la Piazza di Madonna alla l0a festa dei pensionati; "anziani e non" avevano pure avuto l'ardire di scrivere sul volantino e le locandine esposte nei locali pubblici. Ciò è stato promosso dalle organizzazioni sindacali dei pensionati spi/cgil, fnp/cisl e uilp/uil in collaborazione con i comuni Buja, Arte-gna, Bordano, Forgaria, Gemo-na, Montenars, Osoppo, Trasa-ghis. Ciò ha raccolto pertanto una platea a disposizione delle autorità che hanno potuto fare la passerella di rito per acquisirne il consenso, quasi in forma cooperativa. Lo sanno i pensionati attuali che i giovani d'oggi pagano esosi contributi e tasse per mantenere i loro privilegi e le rendite di posizione? Che sono frutto delle insane politiche concorsuali di tutti i partiti e sindacati e che hanno permesso nel pubblico impiego: al genere femminile pensionamenti con 14 anni 6 mesi ed 1 giorno di contributi; pensionamenti per ambo i generi con 19 anni 6 mesi e 1 giorno di contributi, e solo nel pubblico impiego; come è notorio per un lavoro altamente usurante. Si sono posti quindi sul groppone dei contribuenti, pertanto anche dei lavoratori non dipendenti, assieme ai privilegiati del parastato. Non capisco co-me un lavoratore dipendente delle acciaierie, dell'edilizia ed in genere di tutti i lavori gravosi possano continuare a mantenere questa "classe" sindacale attraverso il pagamento delle trattenute sindacali automatiche in busta paga e sul trattamento pensionistico; che sia frutto della sindrome di Stoccolma? Ai giovani competereb-be di lottare come fecero D'Alema e tanti suoi compagni in gioventù, mettendo a ferro e fuoco l'Italia negli anni 70, "guadagnandosi" lui in tal modo anche un appartamento Inps in piazza Navona, pagato con i contributi dei lavoratori.
Gli incendiari di ieri sono gli stessi che oggi pretendono di fare i pompieri; in puro stile bipartisan, col concorso di tutti i partecipanti al desco della spesa pubblica. Oggi, i sinistri pacifondai, i no-global dei cosiddetti centri sociali, alcune associazioni Onlus, altre Ong (Organizzazioni non governative) sono mantenuti ad arte dalle amministrazioni pubbliche fiancheggiatrici, con lauti contributi pubblici e con il silente assenso delle gerarchle cattoli-che. Permettono ai sinistri il diversivo del Libano che cade a fagiolo per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dall'invasione islamica dell'Italia che hanno favorito e dai problemi energetici, e come conseguenza economici, che attanagliano il Paese.
Beati i pensionati se ce la faranno a morire prima di conoscere e sperimentare le conseguenze della loro operosa vita. La meritocrazia vorrebbe che ognuno abbia in conseguenza di quanto ha dato. Ma di questi tempi anche la giustizia è impegnata altrove: sul fronte dell'obbligatorietà dell' azione penale; per le malversazioni sindacali e amministrative del personale politico non c'è tempo.
Renzo Riva
Buja
(continua dal precedente commento)
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http://www.archivionucleare.com/index.php/2008/03/07/toshiba-america-nuclear-energy-corporation/#comment-30800
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Renzo Riva scrive:
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6 Agosto 2010 alle 19:23
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ilmessaggero.it/home_blog.php?blg=P&idb=90&idaut=10
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Più banalmente, anche in casa ne succedono di tutti i colori. E non mi riferisco solo alle donne ammazzate dagli uomini (l’inverso succede, ma più raramente), ma proprio agli incidenti domestici. Secondo l’Istat ne muoiono di più cadendo dalla scala per pulire i vetri che nei cantieri. In base agli ultiimi dati disponibili dell’Istat, pubblicati nel 2001, in Italia avvengono ogni anno 3 milioni 672 mila infortuni in ambito domestico di cui mediamente 8 mila mortali. Sono circa 7 mila le morti sulla strada e circa 1300 le morti sul lavoro.
La cucina è il luogo in cui avviene il maggior numero degli incidenti domestici che, tuttavia, non lasciano indenni neppure gli uomini. È lì che si verifica il 58% degli infortuni delle donne e il 31% di quelli degli uomini. Scale e scalette interne ed esterne provocano incidenti nel 9,3% dei casi tra le donne e nel 9,8% dei casi tra gli uomini. Secondo stime più recenti dell’Inail (dati 2006) scivolamenti, inciampi e cadute provocano l’80% degli incidenti, tagli e fuoco sono la causa di un altro 9% di infortuni. Le fratture costituiscono il 70% delle lesioni riscontrate negli incidenti che avvengono tra le pareti domestiche; ustioni, ferite e traumi vengono provocati nel 12% dei casi.
È già stato scritto su questo forum che fino al grado 3 non sono incidenti.
Dal 4 sono incidenti.
In vent’anni sulle sole strade italiane sono morte circa 140.000 persone e 450.000 ferite di cui 125.000 con danni permanenti ed alle volte gravi.
Il signor paolo del bene fa molto male se utilizza l’automobile perché la possibilità statistica che possa capitargli qualcosa è elevata.
Se lui vuole il rischio zero non doveva nascere.
A margine dico che la statistica dei 1.300 morti per infortuni sul lavoro non sono veritieri perché i morti diretti sui posti di lavoro sono 650 mentre altri 650 muoiono d’incidenti stradali per spostarsi da casa al luogo di lavoro e viceversa.
Pertanto gli suggerisco di non andare a lavorare proprio se deve utilizzare l’automobile.
(fine)
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Mandi,
Renzo Riva
renzoslabar@yahoo.it
+39.349.3464656
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http://www.agoravox.it/Fondi-per-l-ambiente-lo-sviluppo-e.html
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