In pensione dopo, ma non "a gratis"
Le carte sono partite. Il governo italiano ha mandato a Bruxelles il suo piano per l’innalzamento graduale dell’età di pensionamento delle donne che lavorano nella pubblica amministrazione. Come era stato promesso, dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea che condannava l’Italia per disparità di trattamento.
Trattandosi solo delle dipendenti pubbliche, il risparmio che è stato stimato, sarà di appena 2,3 miliardi di euro in otto anni. Un piccolo passo per le casse dello Stato. Ma per le donne potrebbe essere, se ben capito e sfruttato, un grande balzo. La cosa più sbagliata, invece, che le donne possano fare, è di lasciar passare questo momento senza chiedere niente in cambio. Perché se l’equiparazione dell’età (per ora solo nel pubblico impiego) è sacrosanta, però va affiancata allo stesso tempo, con delle azioni forti per promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, come hanno ripetuto in Parlamento donne e uomini di destra e di sinistra, a partire da Emma Bonino, che propone da anni l’equiparazione dell’età pensionabile. Le donne devono pretendere pari opportunità di inserimento professionale e di carriera. Cose che oggi invece sono lontanissime.
Se, per esempio, i soldi risparmiati con le pensioni venissero utilizzati tutti per un grande piano nazionale di asili nido, l’impatto sull’occupazione femminile sarebbe fortissimo. E’ alto infatti il numero di donne costrette a lasciare il lavoro con la nascita del primo e soprattutto del secondo figlio, a causa delle difficoltà di cura del bambino. La diffusione degli asili nido, inoltre, libererebbe molte energie anche per quelle donne che, pur convinte di rimanere al lavoro nonostante i figli, fanno tutti i giorni le funambole per gestire l’ingestibile, tra tempi di lavoro e tempi di famiglia. E questo è solo un esempio. Se in futuro si deciderà di cominciare una discussione più ampia sull’età pensionabile delle donne (e degli uomini) rendendola magari sempre più flessibile e soggetta alle scelte individuali, si dovrà ancora di più sottolineare come i risparmi vadano utilizzati per le politiche attive di inserimento delle donne al lavoro e ai livelli più alti delle carriere, fino ad oggi, di fatto, a loro quasi precluse. Non è un’opinione, i numeri stanno lì a testimoniarlo: nei Cda delle aziende, nella dirigenza delle banche, ai vertici dello Stato in Italia le donne sono delle mosche bianche. La presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, una di queste mosche bianche, lo ha ricordato più volte a partire dal suo insediamento: un numero crescente di donne nell’economia significherebbe immediatamente una crescita del Pil, cosa di cui in tempi di crisi abbiamo particolarmente bisogno.
Alle donne che si preoccupano e si rammaricano che ora venga loro tolto ”anche” il privilegio di andare in pensione di vecchiaia anticipatamente, va detto: non vivete questa decisione come l’ennesima penalizzazione della vostra vita. Piuttosto, consideratela come la tappa di un cammino ancora lungo verso la piena dignità e il riconoscimento (prima della pensione, non dopo) delle vostre potenzialità. Per voi, le vostre figlie e i vostri figli.
(Pubblicato sul Messaggero il 4/3/2009)
1 commento:
Cominciamola pure adesso la "discussione più ampia sull’età pensionabile delle donne (e degli uomini) rendendola magari sempre più flessibile e soggetta alle scelte individuali" auspicata da Angela.
Non si capisce infatti in che modo si possa considerare che il provvedimento in questione si ponga in quest'ottica. E' vero piuttosto il contrario visto che impedirebbe alle donne di scegliere, come fanno invece adesso, in base alle PRORIE esigenze individuali, se andare in pensione prima dei 65 anni o no.
Un po' più di onesta intellettuale, please!
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