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giovedì 6 marzo 2008

TEORIA DELLA SCALA MOBILE



Da un po' di tempo ho sviluppato un'allergia all'automobile in città. Perciò, quando non posso andare in bicicletta, prendo l'autobus o la metropolitana, e cammino. Risparmio su multe e benzina, faccio un po' di moto anche quando non ho tempo di andare in palestra, e trovo anche il modo di pensare, attività sempre più desueta e scoraggiata sul lavoro.
Quando però esco dalla metropolitana (non mi piace chiamarla "metro") e salgo su una scala mobile, ho sempre un moto di stupore e insofferenza. E capisco perché l'Italia è un Paese che non riesce a superare le sue difficoltà: la gente occupa la scala mobile in ordine sparso (nella prima immagine in alto una scala mobile a Milano, ma Roma è uguale se non peggio) e, anche se ci sono solo una ventina di passeggeri, per chi vuole "salire" (o scendere) i gradini della scala mobile, l'impresa diventa improba, al limite della maleducazione, perché devi infastidire e spintonare quelli che occupano tutto lo spazio. Spesso rinuncio.
Chi sia mai stato su una scala mobile all'estero, in particolare in Gran Bretagna, sa invece che lì è normale "stand on the right" (vedi seconda immagine): anche se c'è folla, così, chi vuole camminare, e perfino correre, sui gradini, lo può fare sulla sinistra. Semplice ed efficace.
Perché in Italia non si fa? Immagino che la maggior parte delle persone non ci pensi: nessuno glielo ha mai spiegato, che dovrebbero stare a destra. E poi, cosa ci guadagna chi tiene la destra? Niente. Quindi perché dovrebbe? Per il bene comune? Per avvantaggiare gli altri? "A gratis"? Non sia mai.
Forse però si potrebbe cominciare a mettere dei cartelli, come nella London Tube (la metropolitana di Londra): "Please, stand on the right". Troppo semplice? Troppo poco costoso? L'Italia, temo, è vittima della sindrome della scala mobile in molti altri campi e così si complica la vita da sé, dedicando molte energie a ciò che potrebbe essere semplice, e non ritrovandosi più energie per il resto.

lunedì 3 settembre 2007

MI RICORDO.... IL LAVORO NEGLI ANNI '80



Piccola esperienza personale...(oggi mi rifiuto di affrontare teorie)...

Quando avevo 20 anni, negli anni '80, nei cortei e ai dibattiti si gridava "No alla disoccupazione, no al lavoro nero". Oggi questi slogan sono caduti in disuso, vorrei che qualcuno dicesse un po' perché o ci riflettesse su. E' sparita la disoccupazione, è sparito il lavoro nero?
Quando mi laureai (sempre in quei "favolosi" anni '80) rimasi disoccupata per un po' e cominciai a fare un lavoro volontario, gratuito, all'università: un contrattino, uno stage, una borsa di studio? No, non esisteva niente di tutto ciò, o meglio era già un miraggio poter trovare qualcosa del genere.

Conobbi delle persone che lavoravano alla Rai: quasi mai avevano il contratto da giornalista, bensì da programmista. Quasi mai avevano un contratto a tempo indeterminato: spesso erano contratti di tre o sei mesi, dopo i quali dovevano stare senza lavorare per qualche mese e poi se erano fortunate, venivano richiamate. Ma anche quello per me era un miraggio. Non esistevano mica i concorsi per quelle cose! Solo le conoscenze. Era il 1985..... e la parola precariato, le leggi Treu e Biagi non se le sognava nessuno.

Un anno, in vacanza, mi trovai a discutere con un ragazzo americano: da noi è difficile trovare lavoro, anche solo per un periodo, gli spiegavo. Chi ce l'ha se lo tiene stretto, e chi non ce l'ha peggio per lui. Lui faceva delle facce sgomente, strabuzzava gli occhi. Ma come, un lavoro, un lavoretto, un lavoro temporaneo, anche questo è difficile? Sì, gli rispondevo, perchè se qualcuno ti vuole prendere per sei mesi, poi ti deve tenere tutta la vita... non ti può più mandare via. Lui era sempre più sgomento. Siete pazzi, diceva, siete pazzi. E io intanto ero disoccupata.

Nella foto vedete un'immagine di manifestazioni a favore del referendum per il punto unico di scala mobile, 1984. Per fortuna, i sindacati che vollero il referendum persero, il punto unico di scala mobile non tornò, l'inflazione calò, e i lavoratori invece "vinsero", almeno un po'.
Ciò detto, e senza voler trarre nulla di particolare da questi frammenti di ricordi, vi lascio per un paio di giorni. A mercoledì.

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