FELICITA' E LAVORO/2 LA FLESSIBILITA'
Riprendo il tema del lavoro e della felicità, ma prima voglio ringraziare quelli che lo hanno commentato. Credo di aver toccato un tasto molto sensibile e che mi sta molto a cuore. Siamo in molti a essere soffocati dal lavoro e forse anche dal pensiero del lavoro.
Quindi, ricapitolando, nel libro di Leonardo Becchetti "Il denaro fa la felicità?" si parla di "un effetto indiretto negativo del reddito sulla felicità". Ciò avviene perché l'aumento del reddito ha "un impatto negativo sul tempo speso in beni relazionali, il quale riduce a sua volta l'effetto positivo di questi [cioè del poco tempo speso in relazioni personali] sulla felicità. In parole povere: in Occidente guadagniamo di più perché lavoriamo di più, ma proprio per questo non abbiamo tempo per noi stessi e per gli altri. E il cerchio è chiuso.
L'altro tema che vorrei tirare fuori da questo libro ricco di spunti, è quello del rapporto tra felicità e lavoro. Si parte dalla constatazione che "nel vecchio sistema taylorista...il lavoro materiale e individuale era particolarmente spersonalizzante penoso...". Invece "nel mondo della flessibilità e della continua innovaziobne di processi e di prodotti il lavoro diventa certamente più creativo, ma richiede anche uno sforzo intellettuale di gran lunga superiore, unito a una capacità di lavoro in team...Nel vecchio modello non era necessario per l'impresa conquistare mente e cuore del lavoratore...Nel nuovo modello invece solo una forte motivazione intrinseca può garantire quel surplus di applicazione e di sforzo utili a far scaturire l'idea innovativa e a garantire all'impresa il salto di qualità e di produttività!. Quindi, sostiene Becchetti, le imprese hanno ora "l'esigenza di conciliare felicità e produttività (ovvero di conquistare il cuore e la mente dei dipendenti). (p. 59). Non sempre, va detto, ci riescono.
C'è poi in questo libro un'importante paragrafo sul rapporto tra felicità e globalizzazione del lavoro (pp. 61-62 e sgg). In un periodo storico in cui l'innovazione e la flessibilità offrono le condizioni per un lavoro più "felice", perché più basato sulla creatività e meno sulla ripetitività dell'organizzazione del lavoro taylorista, paradossalmente, la globalizzazione mette a rischio proprio questa possibilità. La globalizzazione sembra rendere certi lavoratori più infelici. Mentre alcuni, pochi, i cosiddetti "talenti" diventano superstar, più pagati e coccolati dalle imprese, la necessità di competere con mercati del lavoro molto più flessibili, dove il costo del lavoro è notevolmente più basso, mette a rischio le tutele e la stabilità dei lavoratori non specializzati dei Paesi più industrializzati, riducendo la loro felicità sul lavoro" (p. 61). E questo dà conto della contraddizione insanabile tra una flessibilità "buona", ricca di opportunità, e la sensazione di nuove e più forti costrizioni che si fa strada tra tanti lavoratori contemporanei, specie se giovani.
L'altro tema che vorrei tirare fuori da questo libro ricco di spunti, è quello del rapporto tra felicità e lavoro. Si parte dalla constatazione che "nel vecchio sistema taylorista...il lavoro materiale e individuale era particolarmente spersonalizzante penoso...". Invece "nel mondo della flessibilità e della continua innovaziobne di processi e di prodotti il lavoro diventa certamente più creativo, ma richiede anche uno sforzo intellettuale di gran lunga superiore, unito a una capacità di lavoro in team...Nel vecchio modello non era necessario per l'impresa conquistare mente e cuore del lavoratore...Nel nuovo modello invece solo una forte motivazione intrinseca può garantire quel surplus di applicazione e di sforzo utili a far scaturire l'idea innovativa e a garantire all'impresa il salto di qualità e di produttività!. Quindi, sostiene Becchetti, le imprese hanno ora "l'esigenza di conciliare felicità e produttività (ovvero di conquistare il cuore e la mente dei dipendenti). (p. 59). Non sempre, va detto, ci riescono.
C'è poi in questo libro un'importante paragrafo sul rapporto tra felicità e globalizzazione del lavoro (pp. 61-62 e sgg). In un periodo storico in cui l'innovazione e la flessibilità offrono le condizioni per un lavoro più "felice", perché più basato sulla creatività e meno sulla ripetitività dell'organizzazione del lavoro taylorista, paradossalmente, la globalizzazione mette a rischio proprio questa possibilità. La globalizzazione sembra rendere certi lavoratori più infelici. Mentre alcuni, pochi, i cosiddetti "talenti" diventano superstar, più pagati e coccolati dalle imprese, la necessità di competere con mercati del lavoro molto più flessibili, dove il costo del lavoro è notevolmente più basso, mette a rischio le tutele e la stabilità dei lavoratori non specializzati dei Paesi più industrializzati, riducendo la loro felicità sul lavoro" (p. 61). E questo dà conto della contraddizione insanabile tra una flessibilità "buona", ricca di opportunità, e la sensazione di nuove e più forti costrizioni che si fa strada tra tanti lavoratori contemporanei, specie se giovani.
11 commenti:
Parole sante Angela.
:-)
Sì, sante, ma fino a un certo punto.
Per esempio Angela fa un discorso sacrosanto sullo sviluppo di maggiore creatività dovuta alla complessità del sistema lavoro attuale. Ed è tutto vero: le troppe sicurezze implicano un lassismo spaventoso. Ma l'equazione (come ogni formula matematica) ha i suoi punti morti. I precari passano la metà della loro esistenza nell'ansia del rinnovo contrattuale e l'altra metà a produrre il più possibile per ammazzare quest'ansia. E questo non funziona proprio. - Arnald
@arnald
E' un discorso già fatto tra noi questo - sicurezze assolute non ne esistono, e neppure ne devono esistere.
Questi lavoratori flessibili di cui parli - se bravi in una professione - possono provare a mettersi in proprio per controllare meglio la loro vita: ansie ne avranno tante, ma almeno ne cambieranno la tipologia.
Anche perchè tutta questa ansia la vediamo solo in "alcuni" lavoratori flessibili, che chiameremo "precari".
:-)
Mi sembra un discorso sacrosanto, soprattutto in quest'epoca di "economia passiva" che l'Italia sta attraversando.
Penso che alcuni generi di "ansia" possano essere anche costruttivi.
Se solo le imprese venissero messe in grado di essere puntuali (sono insegnante precaria e ho ricevuto lo stipendio di novembre solo ieri!)...ma la scuola ha tutto un discorso a parte, giusto?
Un saluto!
Caro Prime,
io e te giriamo sempre in tondo sullo stesso problema, ma tu proprio non vuoi capire. Non tutti hanno l'attitudine a mettersi in proprio come non tutti hanno quella contraria. Hai letto di questa ragazza? Ha ricevuto ieri lo stipendio di Novembre. Chissà se gli imprenditore che pagano in ritardo sono coscienti di come si vive senza soldi (Stato compreso). Per mettersi in proprio, inoltre, forse prima un mestiere bisogna impararselo, oppure daremo credito a tutti i cialtroni che girano in questo paese: persone che si improvvisano pubblicitari, dentisti, sindacalisti, politici e chi più ne ha più ne metta. Ergo, mentre il mestiere lo impari e lo affini (ovviamente producendo), come pensi di campare? Insomma, non mi sembra un discorso difficile da capire no? Per il resto, sai che la pensiamo alla stessa maniera: avere un tempo indeterminato non risolve, dati alla mano, i problemi produttivi del paese. - Arnald
p.s.: Angela, come te la passi?
Nulla di più vero. All'inizio della mia avventura temevo che il tipo di lavoro mi avrebbe spenta, invece è ricco di spunti e di stimoli. Il lavoro in team, che svolgo da prima di entrare in un call center, è la parte più interessante, così come lavorare per piccoli obbiettivi di rendimento e risultati oggettivi.
Certo, non è da tutti trasformare in stimolo queste attività, che a volte vengono recepite come forte stress, ma se continuiamo a coltivare e ad allevare buoni leader potrebbe diventare una naturale conseguenza irrinunciabile.
Carissima Angela, a te che sei stata la prima persona a notare il mio callcenter, a te che ti occupi di lavoro e precariato, volevo lasciarti una testmonianza di un piccolo successo personale. Il mio contratto a tempo determinato è stato trasformato a tempo indeterminato. Ne sono siddisfatta non immagini quanto.
Un caro saluto
Fedora
@arnald
Questa ragazza lavora per la scuola, non per l'impresa privata, e ci sembra proprio il caso di dire ... che c'è una bella differenza diremmo.
:-)
Comunque la nostra era una provocazione verso la ragazza in questione, lo sappiamo di pensarla - più o meno - alla stessa maniera ...
;-)
@fedora
complimenti per te, se hai raggiunto davvero quello che cercavi.
:-)
AUGUTI E COMPLIMENTI FEDORA...IO CI HO SEMPRE CREDUTO CHE LE COSE SAREBBERO ANDATE BENE. ANCHE IL TUO BLOG MI PARE ABBIA UNA NOTEVOLE NOTORIETA'!
SALUTI ANCHE AD ARNALD: io sono presa dal lavoro e dallo sviluppo di idee nuove, che spero di mettere prima o poi nero su bianco...
GRAZIE PER I VOSTRI COMMENTI, E' BELLO LEGGERVI
é bello leggere te. ;-) - Arnald
Fedora complimenti.
Prime, allora che si fa, ci si vede il 29?
Ciao Angela,
è la prima volta che ti mando un mio commento. Trovo il tuo blog molto bello e articolato.
Io sono un lavoratore precario, il mio lavoro è gestito da una agenzia di somministrazione del lavoro.
Posso capire che con la flessibilità ci si possa convivere però rispettando certi canoni.
Oggi il lavoratore precario, almeno in certe realtà, è visto come l'ultima ruota del carro. C'è da dire che il lavoratore precario fa cose che molti lavori dipendeti non fanno.
La flessibilità, a mio avviso, dovrebbe essere organizzata in modo da non rendere il lavoro un peso - oggi è questa l'aria che tira in molti settori lavorativi - dovrebbe essere un incentivo all'impegno dei lavoratori.
Così non è! Molte persone sono stressate perchè il loro lavoro non le soddisfa, sopratutto economicamente.
Una delle cose che ancora si è gòobalizzato è proprio il lavoro.
Gent.ma Angela,
grazie alla legge Biagi le aziende farmaceutiche stanno licenziando 10000 informatori scientifici del farmaco (che sono a tempo indeterminato) con il trucco della cessione di ramo d'azienda. La flessibilità in Italia andrebbe bene se ci fossero diverse opportunità di lavoro nella ricerca e nelle tecnologie(utopia).
Segnalo inoltre questo sito
http://www.laveraverita.blogspot.com/
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