tag:blogger.com,1999:blog-6189910152759578062.post6491563955063781029..comments2023-12-31T18:19:26.290+01:00Comments on cambiamondo 2.5: ETICA DEL TEMPO LIBERO CONTRO ETICA DEL LAVOROangela padronehttp://www.blogger.com/profile/01257464957067084528noreply@blogger.comBlogger6125tag:blogger.com,1999:blog-6189910152759578062.post-84407904708087664122008-03-03T16:36:00.000+01:002008-03-03T16:36:00.000+01:00Spero faccia piacere a tutti se mi permetto di seg...Spero faccia piacere a tutti se mi permetto di segnalare un iniziativa veramente interessante dedicata al mondo della Sicurezza sul Lavoro, della Tutela Ambientale, della Qualità, della Privacy e dell’Etica.<BR/>Visitate il sito www.si-web.it e fatemi sapere le vs. osservazioni.<BR/><BR/>Grazie<BR/><BR/>GianlucaGianlucahttps://www.blogger.com/profile/00096815210496763913noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6189910152759578062.post-9114834263592770052007-09-12T16:09:00.000+01:002007-09-12T16:09:00.000+01:00Non ho detto che la precarietà è causata dall' eti...Non ho detto che la precarietà è causata dall' etica del tempo libero, ma esattamente quello che dici tu: la "precarietà" (come la chiami tu), ed il mondo intorno a noi ci spingono a pensare il lavoro come una parte di noi non più dell' amore, del wellness e del divertimento. Per alcuni di noi (pochi)è un pò più importante, per alcuni (molti) è solo un mezzo, per altri è ancora un fine ed una cosa in cui riconoscersi, ma non LA COSA...Anonymousnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6189910152759578062.post-25383100364602186612007-09-11T22:34:00.000+01:002007-09-11T22:34:00.000+01:00rispondo con un po' di ritardo ai commenti a quest...rispondo con un po' di ritardo ai commenti a questo post. sono stata soprattutto impressionata da quello che scrive Davide. Io non penso che la precarietà sia spiegata dal fatto che si diffonde sempre di più l'etica del tempo libero. Però le due cose sono in qualche modo legate: nella percezione che i singoli hanno del mondo del lavoro e nella loro disponibilità a "dare" nel lavoro. Il tema meriterebbe almeno un post a sé e non è per niente semplice. Per le dimensioni del problema e tutte le sue sfaccettature servirebbe un nuovo libro!<BR/>Comunque, io non faccio una critica a chi ha questo tipo di atteggiamento, semplicemente non mi appartiene. Io ritengo di "essere", in una certa misura, il mio lavoro (o i miei lavori, visto che cominciano a essere parecchi) e credo che non si conosce veramente qualcuno finché non lo si vede lavorare...Davide invece ha una visione opposta e come lui tanti della sua generazione. Un bel cambiamento, in 20 anni, no? Spero di tornarci su prestoangela padronehttps://www.blogger.com/profile/01257464957067084528noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6189910152759578062.post-58641225726799604372007-09-10T10:20:00.000+01:002007-09-10T10:20:00.000+01:00Sono un giovane 25 enne. Era tanto tempo che non l...Sono un giovane 25 enne. Era tanto tempo che non leggevo un commento così acuto sulla nostra generazione e sul suo rapporto con il lavoro. Personalmente, però, non penso sia tanto una questione di tempo libero, quanto di liberazione dalla mistica che circonda il lavoro. I vari Corona, i soldi facili che vediamo intorno a noi, i "nuovi imprenditori" che da un giorno all' altro si arricchiscono con magliette e operazioni finanziarie, hanno fatto capire non a tutti, ma ad una maggioranza di noi, che il lavoro altro non è che un mezzo (tra i tanti disponibili) per avere il "cash", simbolo e modo di ottenere gran parte delle cose belle da fare nella nostra vita. Perchè come ha detto qualcuno "i soldi sono belli perchè sono il contrario della realtà, della fatica e della necessità". Intendiamoci, molti di noi, me compreso, hanno passioni, vogliono realizzare qualcosa di buono nel mondo, hanno ideali; ma li "separano" dal lavoro dipendente. Nel mio caso, anche se sono dipendente in un' azienda, penso di essere un imprenditore, di me stesso. Non ho la minima fedeltà, ne attaccamento al lavoro in se. Finchè mi dà cash o opportunità di crescita mi va bene, appena dovesse diventare noioso o ripetitivo cambierei senza nessuna remora. Azienda e lavoro, perchè come hai detto giustamente, per noi è un mezzo e non un fine. E' la consapevolezza, l' illuminismo giunto a maturazione, e a mio avviso non potrà che fare del bene all' umanità.Anonymousnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6189910152759578062.post-22479346069504942052007-05-03T22:52:00.000+01:002007-05-03T22:52:00.000+01:00Gent.ma Sig.ra Angela, lei contrappone l'etica del...Gent.ma Sig.ra Angela, <BR/>lei contrappone l'etica del tempo libero - di cui sarebbero tetragoni le nuove generazioni - a quella del lavoro e della "fatica" - di cui sarebbero depositari e testimoni viventi le generazioni over 40 -. Questa contapposizione è la chiave di lettura da Lei adottata per interpretare il fenomeno del precariato (che forse sarebbe meglio definire precarizzazione). A dicembre avrò 40 anni e, personalmente, mi colloco tra le due generazioni da Lei ipotizzate. Mi permetta di dirLe che, seppure fornita di una qualche fondatezza, la sua schematica contrapposizione non è rispondente alla realtà, nè, a mio parere, serve granchè a spiegare la disoccupazione o sottoccupazione giovanile. Vi sono nel pubblico e nel privato decine e decine di fannulloni incapaci ultraquarantenni come altrettanti disperati stakanovisti meno che trentenni (che sperano magari col superlavoro di farsi prorogare i contratti co.pro. o a tempo determinato). Il mercato del lavoro non funziona per nulla semplicemente perchè in Italia non esiste il mercato ma solo un sistema che garantisce chi ha gli amici o i parenti giusti al posto giusto. Come facciamo a parlare di mercato se la stragrande maggioranza delle aziende assume su basi del tutto lontane dal potenziale personale e dal merito? L'economia di cui Lei parla non è certo quella di mercato. E' l'economia di poche oligarchie e lobbystiche e caste familistiche che hanno ormai asservito tutto: politica, morale e religione. Il liberismo di mercato è realtà estranea all'Italia. Per questo, la flessibilità come palestra delle capacità e delle professionalità si trasforma nella precarizzazione a vita per i molti poveri fessi senza referenti. Temo che la sua analisi sia sociologismo privo di qualsiasi riscontro nella realtà quotidiana della maggioranza dei giovani. Cordiali saluti.Francesco Filippettihttps://www.blogger.com/profile/12196212277533925134noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-6189910152759578062.post-54460250972301736042007-05-02T21:42:00.000+01:002007-05-02T21:42:00.000+01:00La situazione mi sembra abbastanza chiara, provo a...La situazione mi sembra abbastanza chiara, provo a riassumerla nei seguenti 10 punti:<BR/><BR/>1) Ci sono in Italia molti piu’ ingegneri di quanto le aziende e la pubblica amministrazione possano assorbire<BR/><BR/>2) Le universita’, per attirare studenti e non chiudere i battenti, raccontano mentendo, che servono sempre piu’ ingegneri<BR/><BR/>3) La riforma 3+2 ha reso la laurea in ingegneria molto semplice da conseguire, permettendo a tutti gli studenti di divenire ingegneri ma svilendone il titolo<BR/><BR/>4) Le aziende ci marciano sopra, dato che l’offerta di ingegneri supera di gran lunga la domanda di posti disponibili, e offrono contratti con stipendi ridicoli (1000 €/mese, se va bene) in posizioni di basso/bassissimo livello<BR/><BR/>5) Si profila una lotta tra poveri per un tozzo di pane: ingegneri contro periti contro operai specializzati<BR/><BR/>6) La tipologia di impresa tipica italiana e’ a conduzione familiare, con il titolare che e’ al massimo diplomato e quindi non puo’ capire il valore aggiunto portato da un ingegnere<BR/><BR/>7) La spesa in R&D in Italia e’ la meta della media europea, quindi tecnologie avanzate, per cui servirebbero ingegneri, non sono sviluppate adeguatamente. In Italia le tecnologie vengono aggregate, non sviluppate<BR/><BR/>8) Le cose non cambieranno molto presto, questo e’ il trend stabile per i prossimi anni<BR/><BR/>9) Gli ingegneri disoccupati non possono permettersi di aspettare anni. Restano loro due possibilita’: rinunciare in tutto o in parte alle loro ambizioni e disputarsi stipendi irrisori con periti e operai oppure emigrare all’ estero.<BR/><BR/>10) Le possibilita’ offerte dalle aziende estere, specialmente in R&D, potrebbero essere la soluzione per tutti quegli ingegneri che vogliono, giustamente, fare il lavoro per cui hanno studiatoAnonymousnoreply@blogger.com