martedì 13 gennaio 2009

LE PENSIONI, LE DONNE E L'AUTOCRITICA DEGLI UOMINI (MA QUANDO?)


”Forse noi uomini dovremmo fare un po’ di autocritica. Finora abbiamo costretto le donne a farci da badanti, da infermiere e da baby sitter. E’ ora che le cose cambino”. E se la fa un uomo, questa riflessione finisce per avere un peso, ahimé, maggiore. Il ministro Renato Brunetta lo ha dichiarato, giustificando la sua scelta di allinearsi il prima possibile alla sentenza della Corte di Giustizia Europea sull’equiparazione dell’età pensionabile per le donne nella pubblica amministrazione.

L’età della pensione anticipata per le donne è una doppia fregatura. Fa diventare le donne più povere. E le rinchiude nel loro ruolo di dispensatrici di welfare gratuito. Viceversa, spingere le donne a lavorare di più sul mercato, significa riequilibrare i ruoli di cura in famiglia, spingere gli uomini a occuparsi di più di figli, genitori anziani (e anche di se stessi), e garantire alle donne livelli di reddito più alti. Significa anche, un passo più in là, garantire una maggiore crescita alla ricchezza del Paese, una crescita dei posti di lavoro nei servizi, una crescita del tasso di natalità (che infatti è più alto nei paesi dove le donne lavorano di più) e alla fine più libertà per tutti.

Ecco perché le donne dovrebbero essere le prime a chiede l’innalzamento dell’età pensionabile. Ma. Ma, con i soldi risparmiati, devono pretendere che sia agevolata la vita delle famiglie e quindi reso più facile il lavoro delle donne stesse. Questo significa: asili nido, assistenza agli anziani, congedi parentali per gli uomini, e azioni positive per agevolare il lavoro delle donne nelle aziende. Siamo pronti per questo. C’è poco da fare: Brunetta sembra di sì, ma per ora non sono molti quelli che lo seguono fino in fondo.

domenica 4 gennaio 2009

GENERATION Y


La crisi economica mondiale morderà soprattutto i lavoratori più deboli Leggetevi sull'Economist di questa settimana questo articolo: "Generation Y goes to work". I giovani in Occidente hanno un atteggiamento verso il lavoro diverso da quello dei loro padri e dei loro fratelli maggiori. La tesi dell'articolo è che però, con la crisi, anche i ragazzi della generazione Y, notoriamente poco inclini alla fatica e al sacrificio, ora si mostrino più disponibili, a causa della crisi. E siano più disposti a rimboccarsi le maniche, pur di trovare uno straccio di posto. Succede anche in Italia?
By the way, vi segnalo anche la pagina da cui ho tratto la vignetta qui sopra, con la classificazione delle diverse generazioni che si sono succedute nel Ventesimo secolo: the Silent generation, The Baby Boomers, the X generation and the Y generation.

sabato 3 gennaio 2009

UNIVERSITARI IN RITARDO


Parlavo, giorni fa, con dei professori universitari. Tutti si lamentano ormai da trent’anni, e con foga crescente, del basso livello degli studenti che arrivano dalle scuole superiori: non sanno l’italiano, non sanno la matematica, ma soprattutto sono poco motivati, sono disorientati, o non sanno studiare...tranne qualche mosca bianca. Noi già sappiamo che circa la metà di chi si iscrive dopo il liceo in una università non la finirà mai. Si chiama tasso di dispersione, e in Italia è più alto che in qualunque altro ateneo, forse dell’intero globo (azzardo!). Tra gli studenti che, bontà loro, si laureano, i fuori corso sono la maggioranza. E così perfino il 3+2, che inizialmente aveva fatto impennare il numero dei laureati e aveva fatto sperare che il sistema almeno servisse ad abbassare l’età media, ora si scopre (da Repubblica di oggi) che non ha migliorato la situazione: ”Oltre 4 studenti su 10 sono ripetenti o fuori corso, crescono gli abbandoni dopo il primo anno e si impenna il numero di chi ciondola tra le aule universitarie senza dare neppure un esame. Il tutto mentre cresce a dismisura il numero degli insegnamenti, aumenta quello dei prof e di conseguenza la spesa universitaria. E’ il quadro che emerge dall'ultimo rapporto annuale del Cnvsu, il Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, ente del ministero che a 6 anni dall'introduzione del 3 più 2 fa un primo bilancio della riforma. (...) Su oltre un milione e 800 mila studenti che hanno frequentato i 58 atenei italiani nell'anno accademico 2006/2007 solo un milione è in regola con gli studi. Il 40,7 per cento di ripetenti o fuori corso segna "il valore più alto registrato in tutto il periodo considerato", si legge nel rapporto. E quelli che ce la fanno? Il 30 per cento si laurea con un ritardo di un anno e il 29 per cento con due o tre anni di ritardo. Per la laurea triennale la durata media degli studi è record: 4,6 anni. Lasciamo stare la spesa che è cresciuta a dismisura, il numero degli insegnamenti monstre, i risultati grotteschi. Guardiamo la cosa dal punto di vista degli studenti che mediamente finiscono il 3+2 tra i 27 e i 28 anni. Davvero il basso livello delle tasse universitarie, la libertà di frequentare, fare gli esami, finire in tempo oppure no giova a qualcuno? Questi ex-giovani-28enni-neolaureati avranno tutti i problemi del mondo a trovare un lavoro, ad entrare nel mercato, ad essere credibili, a un’età in cui i loro coetanei europei hanno già anni di esperienza lavorativa e magari ripagano, con il loro stipendio, il prestito contratto per pagare tasse universitarie ben più alte. Ma in altri paesi, se sbagli un esame, se fallisci un anno lo ripeti una volta, nel migliore dei casi. Poi, fine. A casa, a fare qualcos’altro. E il valore della laurea ”si pesa”, non si vive nell’illusione (che il mercato si incaricherà di sfatare) che una laurea valga come un’altra. Non è così. Ma gli studenti italiani si rendono conto di essere le prime vittime di un populismo che li danneggia? O ancora pensano che questo sistema sia il vertice più alto della democrazia, quello che permette a un asino di diventare dottore?:-S Buon Anno

Google